philosophy and social criticism

Una lama per la madre

Luca Giudici

Nelle colline del Canavese, teatro di Madreferro di Laura Liberale (Perdisa, 2012), vi sono alcuni dei giacimenti ferrosi più antichi d’Italia. I nomi di Brosso e Traversella (così come l’isola d’Elba, il Monte Amiata, Cogne, e molti altri) sono toponimi di giacimenti che per secoli hanno rappresentato il luogo in cui l’uomo si confrontava con lo ctonio e le profondità della terra. E’ in questi cunicoli stretti, dove il respiro è sempre corto e la luce anemica, che gli uomini rubano il frutto di questa relazione clandestina: il minerale. Generazioni di raccoglitori hanno seguito il cammino dei minatori, scalpellando le rocce per estrarre il cristallo, modello esemplare della bellezza più antica, quella della pietra, la bellezza immutabile. La miniera è uno stupro, e la violenza che si esercita alla terra gode delle stesse ambivalenze del rapporto di genere, dove il maschio/minatore è contemporaneamente il primo tra gli avvinti dalla bellezza propria all’oggetto del suo desiderio. Il minerale, magnificato dalla sua forma più eccelsa: il cristallo, è l’alchemico frutto della terra, che ingravidata dallo stupro-furto della miniera cede i suoi figli all’uomo. Il Ferro e il cristallo sono le due forme opposte e complementari in cui si esprime lo ctonio. Caotico, caldo e plasmabile il minerale, ordinato, freddo e immodificabile il cristallo. Certamente è troppo limpida questa tassonomia, e difatti ognuno degli estremi si mescola con l’opposto, così che – escludendo le estreme forme del carbonio – i cristalli da un lato acquistano vita e colore, diventando berilli, acquemarine, smeraldi, rubini, tormaline, granati, agate, e molto altro, mentre il minerale si solidifica assumendo le forme eccelse e squadrate della pirite, dell’antimonite, della pechblenda, della magnetite e dell’ematite.

Così come il tesoro di Gollum viene forgiato da stirpi ormai dimenticate in altoforni posti nella profondità della Terra, così Efesto, forgia nell’Etna il metallo per le armi; così Mijolnir, il martello di Thor vola su Asgard, così il fulmine di Zeus fonde la pietra che imprigiona i Titani. Il mito del Ferro e dell’Acciaio che nella mitologia norrena raggiunge la sua massima espressione, è presente in ogni archetipo, poiché nella Fornace si tempra il metallo come l’uomo stesso, ed entrambi escono plasmati da questa nuova nascita. Lo stesso va detto per il mito dell’Uomo di Ferro, che oggi è Tony Stark / Iron Man nel volante fumetto Marvel ma anche “Tetsuo” di Tsukamoto, demone posseduto dal metallo, ma che in una certa misura richiama tutti gli automi e i Robot visti nei tempi, aliene coscienze di una meccanica che lega e divide gli elementi (Solve et coagula). Questo è quindi lo sfondo della storia. L’antica relazione tra gli uomini e la Terra, attraverso il bastardo che ne nasce, il minerale, il Ferro. Un arcano grumo si mostra tra le radici del mondo propostoci da Liberale. Il calore della fusione, testicolo cosmico, il secondo Chakra della Terra, da cui erompe la colata, viene vinto dal fabbro, che con la sua arte costruisce legami (chiavi e catene), ma soprattutto armi: la spada. Da Excalibur fino alle katane di Hattori Hanzo la lama è il prodotto dell’incontro di caldo e freddo, del vulcano e del ghiaccio, il simbolo di un potere che ha la forza di unire ciò che è diviso. Lo stesso termine ‘fondere’ significa sia unire che liquefare. Laura – la protagonista – è una lama: è la figlia della Terra, ma una figlia diseredata, fuggita e tornata, e quella che lei svolge è una lotta profonda, pe r la vita e per la morte, contro chi vuole dividere ciò che dovrebbe essere unito. Il Nemico, per trovare la forza necessaria, deve unirsi alle forze oscure, spezzando antichi patti, e pagando per ciò un mefistofelico prezzo eterno.

Le antiche tradizioni del paese sono legate a qualcosa di scellerato tracciato tra gli abitanti e il regno delle tenebre, ed è solo richiamando l’ancora più arcaico rapporto tra gli uomini e la Terra, attraverso il minerale, quel Ferro che diventa l’essenza dolorosa dell’essere femmineo, che Laura, in questa continua oscillazione che unisce e divide, nella vibrazione della lama tra caldo e freddo, tra tradizione e autonomia, interpreta e soffre. L’archetipo è Kali, divinità cardine del femmineo, che nel sangue trova la sua cifra, dove il sangue è sia quello versato dei sacrifici, sia quello che da linfa alla terra, in cui si perdono i rivoli rossi che incorniciano i templi. Ci si interroga sul gineceo e il matriarcato, ripensando Bachofen e l’ampia corrente nel pensiero di genere che ricerca la sua stessa origine. La Domanda che si pone riguarda come, e quando, allo sbocciare dell’occidente il Mondo è diventato maschile e la Terra è rimasta madre? Il titolo stesso ci pone domande, soprattutto pensando (mi si perdoni se svelo questo retroscena) che in origine doveva essere solamente “Ferro” e così è stato sino a pochi giorni dalla stampa, per poi trasformarsi, unirsi, ricongiungersi, nel titolo definitivo, incontrando la Madre. Ancora il movimento che unisce e divide. Qui si scopre però che si tratta di un’appropriazione, di una rivendicazione. Il ferro è come si è visto attributo della mascolinità, della forza, della virilità. Liberale cerca di riportare il ferro, attraverso l’alchimia del sangue, nel mondo femmineo. Di ricomporre la separazione provocata dall’insipienza della stirpe, e questo avviene attraverso il figlio bastardo, nato dallo stupro/miniera, ancora il minerale. Non è più tanto la scrittura ad essere la formula che delimita, ma è il corpo stesso il medium dell’alchimia tra gli estremi. Non servono mantra e formule magiche, è la biologia, sono i corpi e la sessualità il discrimine tra i mondi. Prova una sottile forma di compassione mescolata al disprezzo per Daniele, l’unico maschio che l’avvicina in quanto donna, ma vi è comunque una comunicazione, aperta proprio dalla modernità, dall’autonomia che viene cercata.

La riappropriazione del Ferro – la ricongiunzione – le permette lo sradicamento, uno sguardo indipendente. Laura, cerca le sue origini nel racconto della memoria, e contestualmente cerca di liberarsene, ovvero di riappropriarsi del passato che le era stato espropriato, ma solo per potersene liberare, per ricongiungersi a un mondo pre-esistente alla cripta della tradizione. Per far questo ha bisogno della forza che le è data dal possesso del ferro, della mascolinità e della violenza. Ma qui si ferma: la violenza non viene esercitata, rimane attributo del Nemico, persino a Daniele viene solo ‘chiesto’ di andarsene. Liberale guarda il mondo nella sua totalità e cerca di riportarlo nell’orizzonte dei corpi, della Terra e dei Principi Primi, ma si ferma di fronte all’esercizio della violenza, che è il discrimine. La differenza si riconosce tra chi la forza la possiede e chi la esercita. Qui scorre l’Acheronte. 

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ISSN:2037-0857