philosophy and social criticism

Fuori fuoco, nel fuoco. Lisetta Carmi

di Francesco Paolella

Giovanna Calvenzi, Le cinque vite di Lisetta Carmi, Bruno Mondadori, Milano 2012

La vita di Lisetta Carmi si presta magnificamente a essere raccontata in una biografia. Una donna che è stata, che anzi continua a essere tante cose, che ha saputo fare bene tante cose. Ha saputo cambiare, seguire le proprie vocazioni e riconoscere le occasioni.

Di Lisetta Carmi tutto conoscono le fotografie: i ritratti de I travestiti (e un libro a sé meriterebbero le vicende che hanno accompagnato la vita di quel suo libro uscito nel 1972); le immagini di fatica e rabbia raccolte fra i portuali genovesi (Genova è la città della Carmi); il progetto sulla metropolitana parigina.

Non tutti ricordano o conoscono le sue altre vite, come la passione per il pianoforte o la scoperta della spiritualità orientale. Esperienze lunghe, ma non “infinite”. Totalizzanti, ma a tempo. La Carmi ha saputo scegliere, cambiare (cambiarsi), non per incoscienza, ma senza troppa coscienza di sé. Così è accaduto proprio per la fotografia (la sua seconda vita): ha iniziato seguendo un amico in un viaggio di studio. La scoperta della fotografia è avvenuta con “levità”. La fotografia è stata per lui prima di tutto un lavoro su di sé, fusione di distacco e compassione.

Lisetta Carmi è stata una fotografa in un periodo in cui – gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – tutto spingeva all’impegno. Ma la “levità” della Carmi non è stata intaccata dall’ideologia. Senza dubbio, il suo lavoro fotografico, la scelta dei suoi progetti esplicita idee “partigiane”: viaggi verso e nelle marginalità, nelle povertà, attraverso una fotografia essa stessa povera.

Alla fine degli anni Sessanta, per esempio, la Carmi ha compiuto da sola un lungo viaggio fotografico in America Latina. Ricordando quell’esperienza, scrive:

«La nostra abitudine all’orrore è così grande che nulla più ci colpisce veramente. E allora? La critica è rivolta prima di tutto verso me stessa, anche se io non ho mai lavorato per un grande rotocalco e ho quindi avuto maggiore libertà di scelta per il mio lavoro. Oggi mi sembra più utile documentare la potenzialità umana dei poveri, degli uomini che vivono in una costante paura dell’oggi e del domani, che sono obbligati dalla violenza del potere economico a morire anziché a vivere, che sono la vera forza vitale del mondo, obbligata però a sopravvivere come una massa sfruttata» (p. 56).

Lisetta Carmi è una donna in movimento, e in attesa. Di origini ebraiche e costretta da ragazza a subire gli effetti dell’antisemitismo fascista, la Carmi non ha mai smesso di sentirsi – questo almeno ci sembra di ricavare da questo volume a lei dedicato e al quale essa ha collaborato attivamente – una specie di “dilettante”, una magnifica dilettante di talento, eppure radicalmente estranea al mondo dei “professionisti”, degli uomini di cultura (e di potere), che impera da sempre in Italia.

Così è per Lisetta Carmi fotografa: scatti – i suoi – sempre generati dalla condivisione emotiva con ciò che stava osservando.

Pensiamo ai dodici impressionanti ritratti che poté fare a Ezra Pound, davanti al suo ritiro italiano, nel 1966. Questo il suo racconto diretto:

«Era l’11 febbraio del 1966 quando, su invito del diretto dell’ANSA di Genova andai a trovare Ezra Pound. Avevo con me un negativo 400 ASA e una Leica 35 mm. Arrivammo senza sapere che Pound era solo in casa, ammalato. Al nostro bussare, dopo un lungo silenzio, fu lui stesso ad aprire la porta, poi uscì per pochi minuti e, senza dire una parola, rientrò. Nel breve lasso di tempo in cui lo ebbi dinnanzi scattai 20 fotografie. A Genova, in camera oscura, sviluppai il negativo, stampai, e la straordinarietà di quel fugace incontro mi apparve lì, sulla carta fotografica» (p. 44).

Lisetta Carmi ha saputo sottrarsi ai tanti “sindacati”, alle categorie e alle professioni rassicuranti, ma prima o poi inevitabilmente soffocanti. Non si è trincerata, per parafrasare Flaiano, dietro un “noi” qualsiasi. Oggi la sua arte (e la sua vita, più che mai “vita d’artista”) si impone appunto perché si è rivelata come eccezione, perché testimonia di una libertà possibile.

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tysm literary review, Vol 2, No. 4 – april 2013

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ISSN:2037-0857