La terribile forza del leggere
di Giorgio Manganelli
Il libro è una lettera che non ha busta, né indirizzo. Riguarda la vita di tutti noi, di ciascuno di noi. E’ nostra, ma anche di persone che non sono più, o non sono ancora. Nulla più di un libro ci fa consapevoli di appartenere ad una comune umanità, illuminata e tormentata dalle medesime speranze e angosce. Il libro non sa dove va, chi incontrerà, come sarà accolto; esso viaggia in mezzo a noi, come un meraviglioso enigma.
Non tutti i libri hanno la stessa vitalità. Molti, la grande maggioranza, si estinguono; ma quei pochi che sopravvivono sembrano eterni. Essi sono totalmente umani, e che siano vecchi di una sola, o di trenta generazioni, pare non avere alcuna importanza. Leggiamo Omero, leggiamo Leopardi. Tra mille anni, se vi saranno uomini, leggeranno Omero e Leopardi. Dunque ci sono “grandi” libri, e ci sono “piccoli” libri. Ma non è facile definirli, né i grandi né i piccoli.
Vi è qualcosa di misterioso attorno ad un libro “grande”, e di solito il mistero avvolge anche il suo autore. Chissà se è esistito Omero. Di Shakespeare conosciamo data di nascita e morte e il nome della moglie. Di un “grande” libro possiamo dire che esso viene letto una generazione dopo l’ altra; i Fratelli Karamazov di Dostoesvkij ha compiuto cent’ anni, e grandi libri sono stati scritti e si scriveranno sull’ autore e su quel grande libro. Un grande libro racconta contemporaneamente molte storie; ed ogni lettore vi trova qualche cosa di diverso. Dunque, un grande libro è inesauribile, come inesauribili sono gli esseri umani, misteriosi a se stessi.
Vi sono libri che restano piccoli per molto tempo, poi, improvvisamente, diventano grandi. Pinocchio fu un libro per bambini, e solo da pochi anni ci si è accorti che è grande. I romanzi storici del nostro Ottocento ebbero migliaia di lettori, fecero piangere e disperare, ed ora non si leggono più neppure a scuola, e di regola li leggono solo professori pagati per farlo.
Non avere accesso al libro è dunque non avere accesso a noi stessi, alle zone più oscure, magiche, enigmatiche; a ciò che in noi sogna, ama, teme, crede e dispera. Oggetto umile e potente, il libro entra nella nostra vita con una forza terribile: e non è un caso che quelle parole siano state così spesso, siano tuttora perseguitate, trattate con diffidenza, con astio, con ira, giacché esse parlano a tutto ciò che è umano, o debbono tacere. Ma la totalità dell’uomo, sempre proposta e sempre elusa, è una oscura minaccia per chiunque abbia una verità in testa, e la forza di imporla.
Ci fu un tempo in cui la parola scritta era intimidatoria; pochi leggevano, e leggevano poche cose, e ne scrivevano anche di meno. Poi la parola scritta venne consegnata a tutti: divenne un privilegio, e insieme un mezzo per dominare. Parole liberatrici si mescolavano a parole che volevano persuadere all’ ubbidienza. Allora qualcuno si rammentò che il bandito analfabeta imprendibile in mezzo alle montagne, era libero, assai più libero dell’ uomo d’ ordine che quotidianamente imparava una piccola e disonesta verità da un giornale qualsiasi. Ma il tempo passa, e le cose cambiano.
Oggi, nuovamente, l’uomo orecchio, l’uomo palpebra, l’uomo che si consegna al quotidiano ipnotismo – manifesti, televisione, discorsi di potenti, immagini, tutto ciò che, apertamente o occultamente, è “propaganda” – è l’analfabeta che sa leggere, colui che ignora i libri, e soprattutto quello che i libri possono toccare dentro di lui.
In un mondo di pubblicità e di imbonimento, di menzogne non di rado confortato da cultura e da ingegnosa malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non essere strumenti di incomprensibili, o fittizie battaglie, sta nella nostra esperienza di noi stessi, della vastità e della drammaticità della sorte dell’ uomo.
Da questo punto di vista, non vi sono libri innocui, e non v’ è cultura “che, non fa male a nessuno” e rende migliori. Un grande libro è terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai, e sarà la storia della nostra libertà.
Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose; è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è silenzio, ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia, soprattutto, è un infinito labirinto, ed un enigma che non vogliamo sciogliere, perché la sua misteriosa grandezza dà un oscuro senso alla nostra vita quel senso che la pubblicità va cercando di cancellare.
[il testo è apparso per la prima volta sulle pagine culturali de La Repubblica, martedì 30 maggio 2000]
TYSM LITERARY REVIEW
VOL. 16, ISSUE 21
JANUARY 2015
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