Il mito Pasolini
Francesco Paolella
Tutto Pasolini – o meglio: ciò che resta di Pasolini, ciò che è più visibile, ciò che è stato più consumato e digerito in un certo qual modo – è stato raccolto in una mostra, a Bologna. Al MAMBO vediamo una mostra ovviamente celebrativa in questo tempo di celebrazioni pasoliniane, culmine di una “volgarizzazione” sempre più estesa e più profonda dei tanti sguardi pasoliniani sul mondo passato e su quello futuro. Si tratta di una esposizione-officina (senza dubbio il titolo è davvero azzeccato) che ci fa entrare nel mondo poetico e immaginifico del poeta-regista, ma, per ovvie ragioni, senza rendere a pieno i tanti Pasolini, così diversi, anzi stridenti fra loro.
Per celebrare il mito-Pasolini, il cui successo sembra non fermarsi, ecco qui raccolte immagini e suggestioni (o almeno le più fortunate e popolari) sui miti che hanno segnato Pasolini, la sua mente, i suoi sogni, la sua disperazione. Anche se – va detto – solo in qualche occasione, queste suggestioni riescono a restituirci il concreto e l’attuale di quella esistenza unica.
I curatori della mostra hanno voluto specificare subito di non aver voluto ripercorrere tutta la biografia di Pasolini, quanto piuttosto il sommare (e in ordine crescente) diversi punti del suo cammino, dalla nascita e alla formazione bolognese fino a Salò e alla morte. Ecco allora che ritroviamo Pasolini regista anzitutto, Pasolini censore, Pasolini cristiano, Pasolini tragico, Pasolini profeta: tutti ottimi spunti, a cui si sarebbero dovuti aggiungere, o comunque sottolineare meglio, altri altrettanto essenziali: Pasolini pedagogo, Pasolini scrittore e, se così si può dire, Pasolini-corpo, ovvero la questione del corpo e dei desideri (non riducibile solo alla questione dell’omosessualità ovviamente), temi che in questa occasione non sono emersi a dovere.
Ciò detto, e ribadendo che inevitabilmente il mito Pasolini arriva a noi oggi consumato, questa esposizione, già a partire dall’organizzazione degli spazi, con la creazione di una navata come si potrebbe trovare in una chiesa romanica, vuole dirci qualcosa del grande esperimento tentato dal poeta bolognese: accostare, confrontare, coniugare mito e modernità, anzi mito e critica della modernità. Per fare questo, sono raccolte qui alcune fra le più importanti maschere e icone che Pasolini ha usato, amandole od odiandole, per combattere la sua guerra proprio contro gli alfieri del moderno, dalla borghesia alla televisione.
La storia di Pasolini è tutta una storia sacra, in fin dei conti. E’ uno straordinario, quanto disperante, tentativo di disvelamento dell’inferno, del nostro nuovo inferno. Ciò che resta oggi dell’officina-Pasolini non può consolarci, né strapparci (se ci siamo immersi) a una ottusa nostalgia.
Cosa c’è più sotto di Pasolini usato come modo di dire? Cosa c’è oltre gli usi quotidiani dell’aggettivo “pasoliniano” – il quale, fra l’altro, suona del tutto diverso da come suonava quaranta o cinquanta anni fa?
Su tutto, su tutti i documenti, i costumi e le fotografie portate in mostra, ci sono le parole di Pasolini, le tracce della sua poesia. E ci sono in particolare le parole per sua madre:
«Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…».
La poesia e la madre sono state forse gli ultimi (se non gli unici) suoi veri rifugi, in un mondo terribile.
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
vol. 29, issue no. 32, january 2016
issn: 2037-0857
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