L’azzardo e la finanza sono la stregoneria del nostro mondo
Marco Dotti
In borsa non si lavora, in borsa si gioca. L’attività di speculazione finanziaria è stata segnata, fin dalle sue origini, da un forte legame con l’universo semantico del gioco, non con quello del lavoro. In francese, bourse è ancora oggi un termine gergale per definire la lotteria. Infatti, si dice jouer à la bourse, così come in spagnolo si dice juega en la bolsa o, in inglese, to play the stock market. Secondo un’etimologia un tempo ricorrente si riteneva che lo stesso terminegambling, che in inglese significa azzardo ma anche speculazione, derivasse da una radice comune a to gambol, nel significato di danzare o saltellare. Non è un caso, dunque, se numerosi tra i primi speculatori della Gran Bretagna di fine XVIII – quando la febbre della borsa incalzava – occupassero le proprie serate danzando (gamboling) e giocando d’azzardo nei pub e nei club. Si puntava su tutto, sulla vita, sulla morte, sul presente, sul futuro e il confine trascommesse occasionali e trading azionario era già allora molto sottile e labile. Come labile era il confine tra razionalità e euforia irrazionale. Ne parliamo con l’antropologo Marco Aime.
Antiche speculazioni, moderne stregonerie
Gioco e speculazione: che cosa li lega?
Il gioco è una gamma di pratiche molto differenti fra loro. Queste pratiche sono però accomunate da un elemento: il gioco comporta sempre una parte di incertezza o di rischio. Il rischio è il loro tratto in comune. Non abbiamo mai la sicurezza di come andrà a finire un gioco. La finanza, nella sua forma speculativa, include una percentuale enorme di rischio e in questo assomiglia a un gioco: quando si investono soldi nel sistema finanziario non abbiamo infatti alcuna certezza, ma una speranza e questa speranza può sfociare in euforia e, di conseguenza, in irrazionalità.
Il capitalismo classico si è per un certo periodo illuso di poter controllare i giochi, presentandosi come progetto e calcolo, non come azzardo…
Pensiamo al fatto che il capitalismo classico – quello alla Max Weber, per intenderci – si fondava su una forte dose di razionalità. L’incertezza veniva, per così dire, ingabbiata nei calcoli di probabilità. Alla base di questo capitalismo c’era, però, un’attività produttiva di beni, oggetti o servizi. Oggi il capitalismo si è smaterializzato e la maggior parte dei guadagni non li realizza più producendo beni, oggetti o servizi ma attraverso transazioni monetarie. L’incertezza è oramai parte integrante dei dispositivi del capitalismo contemporaneo. Anzi, ne è il tratto peculiare.
Il sistema, all’apice della sua razionalità, ha quasi incorporato la magia…
I dispositivi che misurano e controllano il rischio sono centrali nelle logiche del nuovo capitalismo. Un capitalismo che non ha più calvinisti ascetici al proprio servizio, ma specie di avventurieri e stregoni. Maghi, più che capitani coraggiosi. Parlo di stregoni perché lo stregone è qualcuno che manipola delle forze che noi non siamo in grado di manipolare. Ci si affida a lui sperando possa cambiare la nostra sorte.
Al verde
C’è anche un elemento simbolico nel colore verde, distintivo da sempre del capitale. I tavoli da gioco sono verdi, molti brand dell’azzardo di massa recuperano il verde, i tavoli da biliardo sono verdi. Verdi sono i dollari…
C’è una ragione anche di tipo storico. Il verde è un colore molto facile da ottenere, ma difficile da fissare. Tende a sfumare. Il verde è legato al rischio.
Ma il verde è anche il colore della speranza…
Bisogna controllare la sorte, quindi evocarne la componente di speranza.
Ma la sorte chi la può controllare?
Il sortiarius, lo stregone, il latino, letteralmente, “colui che dice la sorte”. Il sortiarius: il mago, il baro, il broker.
Se parliamo di stregoni, allora dovremmo concludere che le loro previsioni e le loro analisi del mercato non sono più razionali o attendibili di quelle di una venditrice di oroscopi…
Se parliamo di stregoni, allora dovremmo concludere che le loro previsioni e le loro analisi del mercato non sono più razionali o attendibili di quelle di una venditrice di oroscopi…
Ambrose Bierce, nel suo celebre Dizionario del diavolo, scriveva: «Magia: arte di trasformare la superstizione in denaro». Il problema è che, vista con gli occhi dell’uomo comune, l’attività finanziaria è qualcosa di estremamente indecifrabile, anche se è onnipresente. Non c’è notiziario, telegiornale, non c’è cronaca che non apra e chiuda con notizie su crolli o risalite delle borse. Sono gli oroscopi del mondo 2.0.
La superstizione e le credenze, oltre un certo limite, si cristallizzano e anche a un presunto sapere finiamo tutti per credre. Al tempo dellabolla dei tulipani, nel XVII secolo, frotte di esperti rassicuravano gli investitori europei sul fatto che un pugno di bulbi valesse più di cento Rembrandt o mille buoi… Tutti credevano, la mala fede mai come allora era ridotta al grado zero. Eppure…
Un proverbio africano racconta che «un uomo trova un diamante, ha fortuna, se un uomo trova due diamanti, ha molta fortuna, se un uomo trova tre diamanti: è stregoneria». La stregoneria è la promessa di questi tre diamanti. Come diceva, in borsa non si lavora, in borsa si gioca. Si gioca con quella componente imponderabile che solo il miraggio di un miracolo può far diventare accettabile. Ai miraggi si crede per definizione, quando si ha sete.
Desideri di finzione
Per l’antropologo Malinovski, l’atto magico era l’espressione simbolica di un desiderio completamente slegato dal rapporto causa-effetto e, quindi, da ogni rapporto con un principio di realtà.
Torniamo un attimo alla storiella africana cui ho fatto cenno: lavorando, forse si arriva a trovare un diamante. Lavorando molto e con l’aiuto della fortuna anche a trovarne due, ma è solo la credenza negli indici di borsa che può farci credere di poter guadagnare tre diamanti in breve tempo e senza lavoro. Proprio Malinovski, in un suo celebre saggio ricordava che mentre la scienza è aperta a tutti ed è un bene di tutti, la magia è occulta e viene insegnata attraverso miseriose relazioni e trasmessa attraverso canali molto chiusi. Così avviene per l’informazione che circonda la finanza d’azzardo e sulla fascinazione di chi dà a intendere di saper leggere il futuro.
Questo “credere” è una componente strutturale dell’euforia finanziaria, che come ogni euforia prevede alti e bassi…
In genere le credenze in magia e stregoneria vengono evocate come marcatori di primitività, come sintomo di un pensiero irrazionale, pre-logico; detto in altri termini è un dato che distingue «noi» dagli «altri». Uno scenario dove gli «altri», con una lettura implicitamente evoluzionista, sono più arretrati di noi. In realtà, la stregoneria non è tanto un retaggio del passato ancestrale, come si pensa comunemente, ma ha un intimo legame con la modernità capitalista.
Il gergo dell’inautenticità
C’è anche una grande componente di finzione…
È stato calcolato che nelle tre principali borse al mondo – Londra, New York e Tokyo – si raggiunge ogni giorno una somma che equivale a 8 volte il Pil mondiale. Questo significa che per ogni dollaro reale, ce ne sono almeno 7 che non esistono. O meglio, esistono virtualmente poiché legati a tutta questa serie di giochi e scommesse vuote.
In questi giorni, dopo il voto inglese sullaBrexit si è parlato a non finire di crolli delle borse. Si è detto e scritto di 411 miliardi di euro bruciati.
Il participio “bruciato” necessita di un complemento, il combustibile. In realtà, quei soldi non c’erano: si è trattato di un mancato guadagno ipotizzato. I giornali dovrebbero ragionare su come vengono create queste “ricchezze”, altrimenti l’impressione è che si brucino ricchezze reali.
Gli stregoni hanno un linguaggio oscuro, criptico eppure evocativo…
Anche gli operatori di Wall Street non sono da meno. Subprime, spread, credit default swap non sono termini tecnici, ma termini esoterici. Termini che servono a dare l’idea che “certe cose” possono essere fatte unicamente dai detentori del senso ultimo e primo di quelle parole. Alla fine, sia la stregoneria, sia la magia, sia la speculazione si fondano sull’azzardo.
Un suo collega, l’antropologo Abner Cohen, ha studiato a fondo riti, miti, costumi, relazioni dell’élite finanziaria della City di Londra…
L’élite di persone che tratta affari per milioni di sterline usa pochi documenti scritti, comunica spesso a voce, si fonda molto sull’oralità e la fiducia reciproca. Ma è un tipo di fiducia che può esistere soltanto tra persone che condividono gli stessi valori, che parlano un linguaggio comune e sono legate da reti di relazioni primarie. Abner Cohen ha calcolato che il tasso di endogamia tra le élites finanziarie di Londra è molto più alto della norma. La City si mostra quindi come una comunità tenuta assieme da un complesso corpo di consuetudini, usi e rituali che, visti da fuori, possono apparire bizzarri ma che, in realtà, mostrano un gruppo a sé, un’élite appunto.
Non c’è solo il gergo e non c’è solo l’esoterismo, spesso le narrazioni legate al mondo della borsa suonano famigliari. Lo storytelling funziona anche lì…
Sì, pensiamo all’espressione «i mercati hanno fiducia» oppure «i mercati sono depressi». L’impersonale diventa intimo, si umanizza. In molti casi i mercati sono governati da gente cinica, stregoni furbi e spietati, ma poi – questo ci indicano le due espressioni che ho citato – anche lì vige la legge del gregge. Sono molti gli operatori di borsa che, controllando in tempo reale il proprio computer, non sapendo scegliere seguono il mainstream…
Gli stregoni vengono a loro volta stregati, insomma…
Qui siamo davvero nel campo della credenza. Se andassimo a vedere gli scambi nell’Africa tradizionale, anch’essi sono basati su convenzioni orali, modellati sulla fiducia. C’è un’estrema somiglianza fra questi sistemi di scambio e la borsa: in entrambi i sistemi la crisi non sarebbe altro che il venir meno della fiducia…
Si legge la crisi come una messa in discussione del sistema. Se qualcuno non crede, la credenza crolla…
Se non si crede nella salvifica attività del mercato. Si rientra qui nel mondo dell’imprevedibile e dell’ignoto, ma un ignoto che non spaventa. Come non spaventa il gioco…
Sempre Malinovski ricordava – erano gli anni a cavallo della Grande Crisi del ’29 – che la magia scaturisce dall’idea di un certo potere mistico impersonale in cui credono certi popoli primitivi… In fondo siamo un po’ primitivi anche noi, che crediamo alla borsa e ci affidiamo all’azzardo...
L’azzardo è proprio questa credenza irrazionale di poter modificare la nostra esistenza non attraverso pratiche e pratiche di lavoro, ma attraverso un salto logico e di realtà. In un certo senso, rispetto all’idea di disincanto, l’azzardo e la borsa reincantano il mondo. Ma il forma perversa… In forma, direi, allucinata.
L’ospite
Marco Aime insegna Antropologia culturale all’Università di Genova. Ha condotto ricerche sulle Alpi e in Africa Occidentale. Oltre ad articoli scientifici, ha pubblicato favole per ragazzi, saggi e testi di narrativa, tra cui: Le radici nella sabbia(EDT, 1999); Il primo libro di antropologia (2008),L’altro e l’altrove (con D. Papotti, 2012), La fatica di diventare grandi (con G. Pietropolli Charmet, 2014); Contro il razzismo (con G. Barbujani, C. Bartoli, F. Faloppa, 2016) per Einaudi; Il lato selvatico del tempo (Ponte alle Grazie, 2008);Verdi tribù del Nord (Laterza, 2012); Gli specchi di Gulliver (2006), Timbuctu (2008), Il diverso come icona del male (con E. Severino, 2009), Gli uccelli della solitudine (2010), Cultura(2013) per Bollati Boringhieri; La macchia della razza (2012), Etnografia del quotidiano(2014) per elèuthera; Tra i castagni dell’Appennino (con F. Guccini, 2014),Senza sponda(2015) per Utet, Dialoghi sull’uomo.
Fonte: Vita, 4 luglio 2016
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philosophy and social criticism
vol. 31, issue no. 34, may 2016
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