philosophy and social criticism

Imaginaţie poetica di Tudor Arghezi

Italo Fiore

L’impulso dal basso richiama quello dall’alto
Zohar (I, 164a)

Tutti sono stabiliti nel linguaggio, tutti hanno le loro radici nel linguaggio, e dal linguaggio sono scaturiti: l’uomo che rubasse quel linguaggio, ruberebbe tutto
Leggi di Manu (4, 255).

Nella sua poesia, mossa da una forte tensione etica, le preghiere si cambiano in bestemmie,[I] «l’aratro si muta in spada», e «la parola di fuoco e quella formata ad arte» si ritrovano unite «nella pagina come la tenaglia abbraccia il ferro rovente». Sotto la penna di Arghezi, l’imaginaţie poetica si trasforma e, da vuota fantasticheria romantica, diventa (anche) cupiditas, brama di riscatto umano e volontà di diserzione sociale:

Ora possiamo mutare per la prima volta la zappa con la penna e il solco in calamaio perché i nostri avi, tra i buoi dorati, raccolsero il sudore del lavoro di centinaia d’anni. Dalle loro voci che incitavano gli armenti ho creato misure, accordi di parole e culle per i padroni futuri: e per migliaia di settimane, lavorandole come il pane, le ho trasformate in sogni e icone. Dagli stracci sbocciarono gemme e ghirlande. Ho mutato in miele il veleno ricevuto, lasciando intero il suo dolce potere. Filando lievemente l’offesa ne ho fatto persuasione e bestemmia. Ho preso dal focolare la cenere dei morti per alzare un dio di pietra, alto confine con due mondi sui pendii che vegli in cima al tuo dovere.

Con la sapienza di un oscuro artigiano (artifex), Arghezi torce il linguaggio, lo getta nel fango e lo innalza, per distillare poesia anche dal resto, dal rifiuto, dall’ombra, riconoscendo «ospitalità linguistica» (hospitalité langagière) [II] anche agli umori più bassi della «materia spessa e degradata», e alla vita considerata «indegna di essere vissuta» (Lebensunwertes Leben).
Tutta l’opera di Tudor Arghezi, notava Salvatore Quasimodo, «è legata alle immagini e alle leggi di linguaggio di una personalità delle più valide fra le correnti del Novecento». Partito da esperienze simili a quelle di Jean Genet (improvvisi rapimenti mistici, seguiti da altrettanto improvvise diserzioni; pellegrinaggi nei bordelli e nelle galere di mezza Europa), Arghezi inseguirà per tutta la vita una “poetica del resto” («la poesia è l’arte di utilizzare i resti, di utilizzarli e farveli ingoiare», scriveva Genet), alla ricerca di una “lingua minoritaria” e di una voce (in romeno: glas) [III] che, prestando attenzione alle venature “sporche” della lingua e delle tradizioni della sua gente, [IV]  si carica di «tutte le possibilità liriche: sublime, avvi-luppante, brutale e spesso gergale».[V]

In questa direzione, Arghezi scava alla ricerca di quei punti di snervamento che gli possono rivelare i meccanismi per diventare, al contempo, padrone e straniero nella sua lingua: «La nostra gente», ricorderà, «possiede facoltà di sintesi davvero singolari nella facilità di trasformare verbo ed aggettivo in sostantivo, e di farli entrare spontaneamente nel vocabolario dei nomi propri». [VI]

Tudor Arghezi giunge definitivamente alla poesia solo nel 1927, a quarantasette anni, quando – al termine di un percorso eccentrico che lo conduce dall’incenso della vita monastica,[VII] alla polvere respirata nei quartieri di Roma, Palermo e di Parigi – accetta di raccogliere in volume versi scritti e abbandonati qua e là. Cuvinte potrivite,[VIII]  questo il titolo, lo consacra come poeta. [IX] «Parole adatte», traduce il Quasimodo. Parole adatte a sfidare quel silenzio che Hofmannstahl, in Der Brief des Lord Chandos, chiama «scandalo e inerzia delle cose mute».

Parole scritte col sangue e la merda sull’intonaco di una prigione. Parole scritte da un esilio interiore, col piede straniero sopra il cuore, con le unghie di una sola mano: «la mano sinistra», quella del diavolo.

Note
[I]  Ogni parola di Arghezi è compresa tra due poli: l’«ontologia poetica» e il «nichilismo angelico» (rubo le espressioni a Nicolae Balotă, Opera lui Tudor Arghezi, Editura Eminescu, Bucuresţi 1979, p. 11).
[II] Uso l’espressione nell’accezione suggerita da Paul Ricoeur: «Ospitalità linguistica, dove al piacere di abitare la lingua dell’altro corrisponde il piacere di ricevere presso di sé, nella propria dimora d’accoglienza, la parola dello straniero» ( Défi et bonheur de la traduction, DVA Fondation, Stuttgart 1997; trad. it. di Ilario Bertoletti: Sfida e felicità della traduzione, in Id., La traduzione. Una sfida etica, a cura di Domenico Jervolino, Morcelliana, Brescia 2002, pp. 49-50).
[III] Sulla polisemia del concetto, non solo nel suo etimo latino, cfr. Jacques Derrida, Glas, Éditions Galilée, Paris 1974. “Glas”, in francese, indica anche il rintocco a morto delle campane di una chiesa.
[IV] Per una critica all’idea che il folklore sia semplicemente “ingenuità”, rinvio ad Ananda Kentish Coomaraswamy, Primitive Mentality (1939), in: Selected Papers. I. Traditional Arta and Symbolism, Roger Lipsey (ed.), Princeton University Press, Princeton 1977 (edizione italiana a cura di Roberto Donadoni: La mentalità primitiva, in: Id., Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Adelphi Edizioni, Milano 1987, p. 235). Cfr. Id., “The Nature of ‘Folklore’ and ‘Popular Art’ “, Quaterly Journal of Mythic Society, 1936 (trad. it. di Grazia Marchianò: La natura del “folclore” e dell’ “arte popolare”, in: Id., Perché esporre le opere d’arte, Rusconi, Milano 1977).
[V] Ioan Guţia, Introduzione alla letteratura romena, Bulzoni editore, Roma 1971, p. 63. Cfr. Jean Genet: «la poesia è l’arte di utilizzare gli scarti» (Pompes funèbres, Gallimard, Paris 1953).
[VI] Tudor Arghezi, “Le Pays du sourire contagieux”, premessa a: Mihai Ianco, Les Carpathes, Meridiens-Editions, Bucarest 1960, p. 3.
[VII] Si veda cosa ne scrive in Icoane de lemn, Editura Naţională S. Ciornei, Bucuresţi 1930.
[VIII] Tip. Fundaţii Culturale, Bucuresţi 1927.
[IX] Non si capirebbe a fondo la figura di Arghezi senza considerare la sua principale attività: il giornalismo. L’attività giornalistica – unita a quella di innovatore editoriale, di divertito inventore di giochi enigmistici e di scrittore per l’infanzia – lo condurrà due volte in prigione: nel 1918, quando viene rinchiuso nel carcere di Văcăreşti con l’accusa di tradimento, a causa della sua ferma propaganda di opposizione alla guerra, e nel 1943 quando, dopo aver pubblicato su Informaţia zilei un articolo antinazista (Baroane!, ora in Pamflete, Mariana Ionescu, ed., Editura Minerva, Bucuresţi 1979, p. 267-268), viene internato nel campo Tîrgujiu.