Pietro Chiodi, orgoglio partigiano
di Marco Dotti
«Forse per vivere bisogna dimenticare, ma certamente per capire bisogna ricordare». La pensava così Pietro Chiodi, bresciano della Valle Camonica. Qualcuno lo ricorda perché ne ha intravisto la figura nei libri di Fenoglio (è il Monti del Partigiano Johnny), altri hanno una copia ingiallita del suo Banditi nascosta fra gli scaffali. Altri ancora hanno studiato sulla sua traduzione di Essere e tempo di Heidegger (nb: molto facile criticare una traduzione, soprattutto in tempi come i nostri ancora più facili, quindi: passiamo oltre). Altri non lo ricordano affatto. E a mio avviso sono i migliori: hanno dimenticato per continuare, vogliono ricordare per capire. Comunque, ecco un suo articolo tratto dalla Voce, un periodico di Cuneo, del 28 settembre 1952. Se ci insegni ancora qualcosa oppure niente giudicherà chi legge.
«L’orgoglio non è una virtù. Non si dovrebbe mai essere orgogliosi. Tanto meno poi di aver fatto qualcosa, come il partigiano, che mirava proprio a ricostituire l’uguaglianza morale fra gli uomini, fra i cittadini, come membri di una collettività priva di discriminazioni e di «meriti» e di «orgoglio» patriottici. Ma, alle volte, dentro di me, mi succede di sentirmi pieno di un infinito orgoglio e sempre solo per una sola cosa: d’aver fatto il partigiano.
Sono orgoglioso d’aver fatto il partigiano quando vedo gli uomini e le donne, i democristiani e i comunisti, i forti e i deboli, che vanno a votare: perché so che un popolo degno di questo nome non può ubbidire che a coloro che egli stesso si è scelto con libere e genuine elezioni.
Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando dico quello
che penso, senza preoccuparmi di chi mi possa sentire, ma soprattutto quando qualcuno sostiene liberamente il contrario di ciò che io penso e dico: perché so che la libertà di pensiero è la sostanza stessa dell’uomo.
Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando vedo un
democristiano che legge «L’Unità» o un comunista che legge «Il Popolo Nuovo»: perché so che la libertà di stampa è la condizione fondamentale per l’educazione d’un popolo civile.
Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando i lavoratori
scendono in sciopero per difendere il pane dei loro figli e la loro dignità di uomini: perché so che l’educazione alla tutela dei propri diritti ed il riconoscimento di quelli altrui si ottiene solo attraverso la libertà. Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando incontro l’ebreo senza triangolo giallo ed il negro a braccetto con una bianca: perché so che gli uomini, a differenza dei cavalli, non si dividono in razze.
Sono orgoglioso d’aver fatto il partigiano quando vedo le fotografie dei campi di Dachau e di Buchenwald: perché so di aver contribuito a cancellarli dalla faccia della terra.
Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando tocco con
mano che i nemici della nostra causa coincidono coi nemici della libertà umana, dell’elevazione degli umili e dei poveri, con gli esaltatori della violenza e dell’oppressione.
Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando penso che
coloro che ci vilipendono hanno avuto anche da noi la possibilità di stampare liberamente i loro giornali e di scegliersi non più obbligatoriamente i loro padroni.
Sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando mi accorgo
che alcuni partigiani hanno compiuto azioni indegne della causa per cui combattevano: perché so che questo non tocca né la validità della causa né la gloria dei 70.000 che si immolarono per essa. Ma soprattutto sono orgoglioso di aver fatto il partigiano quando qualcuno mi dice che non dovrei esserne orgoglioso: perché penso che sono io che, combattendo per la libertà, gli ho conferito il diritto di dirmelo».
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