Giovani e politica monetaria
di Christian Marazzi
Del crescente disagio dei giovani all’interno del mondo del lavoro si parla ovunque da tempo.
Non c’è dubbio che le trasformazioni del mondo del lavoro
degli ultimi due decenni rendono sempre più difficile un inserimento
professionale stabile e duraturo. Il lavoro a tempo indeterminato è
infatti diminuito, mentre sono aumentati i lavori atipici, dal lavoro a
tempo determinato a quello interinale e a chiamata, fino ai lavori a
tempo parziale, oltretutto con durate sempre più brevi. Sono lavori
contingenti e il più delle volte mal pagati, che rendono difficoltoso
per i giovani costruirsi un’identità professionale, come pure una forza
contrattuale oltremodo necessaria in un mondo spesso indifferente al
futuro delle giovani generazioni.
Il disagio dei giovani va però interpretato anche quale conseguenza
delle politiche monetarie delle banche centrali perseguite a partire
dalla crisi del 2008. Come noto, per salvare il salvabile, ossia i
portafogli di banche e investitori, peraltro già deteriorati nella fase
di euforia finanziaria precedente l’esplosione della crisi stessa, nel
corso degli anni successivi le banche centrali hanno iniettato quantità
fenomenali di liquidità, oltretutto a tassi pari a zero o negativi.
Questa strategia monetaria ha avuto quale effetto quello di inflazionare
gli attivi finanziari, cioè di far crescere i dividendi e qualsiasi
forma di rendita, in particolare della proprietà. Si è così avuta una
vera e propria divaricazione tra la condizione sociale e economica di
chi vive di solo salario, come i giovani, e gli adulti che, avendo avuto
la possibilità di risparmiare nel corso di una vita lavorativa meno
precaria, hanno beneficiato della politica monetaria accumulando rendita.
Come dire, salario versus rendita, oppure millenials, coloro che sono
nati tra il 1981 e il 1996, versus baby boomers (nati tra il 1946 e il
1964). Una contrapposizione intergenerazionale destinata ad avere
effetti politici interessanti, magari sconvolgenti.
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