philosophy and social criticism

La moneta sovranazionale necessaria

di Christian Marazzi

Le politiche monetarie ultra-espansive di questi anni, che hanno azzerato i tassi di interesse e fatto scendere sotto lo zero i rendimenti sui titoli di Stato di paesi come la Germania, la Francia, il Belgio e, naturalmente, la Svizzera (a tutt’oggi sono 16 mila miliardi i debiti sovrani globali che danno rendimenti negativi!), sono motivo di grande preoccupazione sia per gli effetti collaterali, sia per il senso di inesorabilità che ormai pervade la comunità economica e finanziaria. Ricordando di passaggio che tali politiche monetarie furono perseguite per supplire al cretinismo austeritario in voga prima e, ancor più, dopo lo scoppio della crisi del 2008, è bene riassumerne brevemente le conseguenze.

La riduzione dei tassi di interesse e le politiche di acquisti di obbligazioni pubbliche (ma anche private) da parte delle banche centrali hanno a dir poco distorto i mercati, favorendo la crescita inflazionistica (speculativa) dei mercati finanziari e di quelli immobiliari e assicurando l’afflusso di capitali (e quindi l’indebitamento) a imprese per nulla sane, quando non manifestamente inquinanti. Queste stesse politiche stanno penalizzando non poco i risparmiatori e creano un bel po’ di problemi ai fondi pensione, che di conseguenza sono spinti ad avventurarsi in territori pericolosi pur di far rendere i propri capitali.

Tutto questo, per cosa? Per una crescita anemica e iniqua con, oltretutto, un tasso di inflazione sempre molto basso. E dire che l’aumento del tasso d’inflazione è uno, se non l’obiettivo, principale delle politiche delle banche centrali! Per la Svizzera, come osservava recentemente Sergio Rossi (“Plusvalore”, 20.01. 2020), il bilancio è altrettando desolante, se è vero che la politica della Banca nazionale non è riuscita affatto a contenere la rivalutazione del franco per sostenere le imprese d’esportazione e per proteggere l’economia interna dalla concorrenza dei beni importati.

Ma c’è un’altra conseguenza importante di queste politiche monetarie. I paesi dell’area euro (con, anche, la Svizzera) hanno ormai sorpassato la Cina e il Giappone per quanto riguarda il possesso di titoli di Stato americani. Con tassi a zero e depositi bancari negativi alla Bce e alla Banca nazionale, gli investitori cercano rendimenti più favorevoli oltreoceano (un bund tedesco decennale ha un rendimento negativo pari a -0,26 mentre un Treasury Usa decennale vanta un +1,78%). La rivalutazione del dollaro che ne consegue non fa che accrescere le esportazioni dall’Europa verso gli Usa, facendo incazzare il sovranista Trump (che minaccia di imporre dazi sui beni europei importati), ma soprattutto sposta capitali verso gli Stati Uniti, deprimendo la crescita da noi e sostenendo il “miracolo” americano.

Se il problema è, come è, il duplice disavanzo statunitense (di bilancio e commerciale), se a questo problema strutturale concorre la supremazia e la sopravvalutazione del dollaro, allora è tempo di ripensare il sistema monetario globale. Una vera riforma, basata su una moneta sovranazionale, che riduca l’invasività di monete nazionali come il dollaro. La detenzione di una parte importante del debito pubblico americano da parte dei paesi europei rafforza geopoliticamente l’euro, e questo legittima il ritorno di John Maynard Keynes e di Bernard Schmitt, gli economisti che davvero hanno pensato a come riformare il sistema monetario internazionale

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