philosophy and social criticism

Il successo di un cadavere

di Francesco Paolella

Andrea De Luca, La scienza, la morte, gli spiriti. Le origini del romanzo noir in Italia fra Otto e Novecento, Marsilio, Venezia, 2019, 152 pagine

È sempre sotto gli occhi di tutti l’eterno, imperturbabile successo del romanzo noir, del poliziesco, insomma di tutti i possibili sottogeneri che compongono la galassia del “giallo”. Un successo che ha molte ragioni, ragioni che interessano gli studiosi di sociologia e psicologia, ma che interessa anche, inevitabilmente, quelli di storia culturale.

Questo libro, appena edito da Marsilio e scritto da Andrea De Luca, ci riporta proprio alle origini del poliziesco italiano, origini tardo ottocentesche e, per questo, necessariamente intricate con le idee e le mode culturali allora dominanti (il positivismo, la criminologia, lo spiritismo), ma anche con la prepotente affermazione del feuilleton o del romanzo d’appendice. Senza dubbio, l’industria culturale di allora, con editori scaltri e lungimiranti (pensiamo a Sonzogno o Treves) e con un ruolo sempre più incisivo rivestito dalla stampa, ha contribuito enormemente alla diffusione dei primi gialli, dei primi racconti e dei primi romanzi dedicati ai delitti, ai conseguenti processi e, più in generale, al mistero della morte. Nonostante le critiche, ovviamente snobistiche, della critica “alta”, sono nati veri e propri cicli di storie, con le quali si sono poi anche imposti, come veri protagonisti, gli investigatori.

Il giallo italiano è nato e cresciuto in coincidenza con il successo della scuola lombrosiana di antropologia criminale e, più in generale, con il diffondersi di una attenzione sempre più viva verso tutto ciò che appariva misterioso, insondabile e incontrollabile (come, appunto, la malvagità umana). In modo molto diversi, con intenti moralistici o pedagogici oppure, all’opposto, soltanto sensazionalistici, tanti scrittori – oggi assai poco ricordati – hanno collezionato grandi successi con storie di assassini inspiegabili e veleni invisibili, imbastendo trame complicate, molto spesso tratte dalle cronache giudiziarie. Un po’ come Parigi per la Francia, è stata Napoli la città ideale per i primi polizieschi italiani; Napoli è stata la loro ambientazione più “facile”, per così dire, perché la metropoli meridionale, con tutti i suoi lati oscuri e pericolosi, si prestava benissimo ad ospitare racconti carichi di enigma o, semmai, di vero e proprio orrore. Altra particolarità italiana, tanti autori – qui ricorderemo soltanto Francesco Mastriani, Matilde Serao ed Emilio De Marchi – utilizzarono il poliziesco anche per accendere i riflettori sui problemi che, negli anni successivi all’Unità, angustiavano le città italiane, dove il crimine era davvero endemico e, in ultima analisi, invincibile. Una esplicita, ricorrente denuncia sociale che in altri paesi, invece, mancò.

Con il poliziesco, la morte – anche nei suoi aspetti più crudi (le autopsie, i sepolti vivi…) – è entrata, e dalla porta principale, nei romanzi italiani. Il successo del poliziesco è, dunque, proseguito senza soluzione di continuità, tranne che nell’epoca fascista, quando il regime, sempre ostile ad ogni manifestazione culturale esterofila (e che, soprattutto, mostrasse come ci fossero delinquenti in Italia), ha cercato di limitare la diffusione delle serie di “gialli”. Ma il fascismo non è riuscito, ovviamente, a far dimenticare agli italiani il fascino che solo la paura sa avere.

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TYSM REVIEW
PHILOSOPHY AND SOCIAL CRITICISM
ISSN: 2037-0857
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