Economia virale: le catene del valore messe in quarantena
di Christian Marazzi
In periodi come quello che stiamo vivendo, confrontati come siamo conceventi sconosciuti, a bassissima probabilità statistica ma ad altissimo impatto sulle nostre vite e sull’economia globale (i famosi “cigni neri”), è consigliabile un po’ di prudenza nel fare previsioni a medio e lungo termine, anche per non aggiungere confusione a confusione e per
evitare di alimentare ulteriormente l’isteria collettiva. Alcune cose, comunque, si possono dire, fosse solo per tentare di ordinare il pensiero.
Come ha scritto Federico Rampini, “Non sempre un cigno nero si traduce in Apocalisse economica. La resilienza dell’economia spesso ci stupisce positivamente”.
Non solo le numerose guerre di questi anni, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria alla Libia, o le tensioni strategiche fra Usa e Iran, Iran e Arabia, Usa e Cina e la stessa Brexit, ma neppure epidemie come la Sars o Ebola, benché molto gravi sul piano sanitario, hanno avuto effetti particolarmente destabilizzanti sull’economia mondiale. Settimana scorsa
le borse di tutto il mondo, come anche le materie prime, hanno subito perdite come non si erano viste dalla crisi del 2008.
Essendo state drogate per benino nel corso degli ultimi anni, un crollo del genere può essere considerato una semplice “correzione”, per quanto vertiginosa, tant’è vero che questa settimana le Borse sembrano ritornate in territorio positivo in attesa di interventi massicci delle Banche centrali, specialmente di quella cinese.
Ma quanto può durare un rimbalzo finanziario trainato da nuove iniezioni di liquidità? I margini di manovra di tutte le Banche centrali sono ormai ridotti all’osso, ma il vero problema è che questa volta, a differenza della crisi del 2008, ci troviamo di fronte ad una crisi dell’offerta, cioè della produzione, delle catene del valore e della logistica, una messa in quarantena della produzione della ricchezza a fronte della quale le politiche monetarie ultra-espansive possono poco o niente. Già gli investimenti in capitale lo scorso anno erano ridotti al minimo in attesa che i rischi della guerra commerciale tra Usa e Cina e la Brexit scemassero. Figuriamoci oggi di fronte ad un rischio, quello del Covid-19, di cui non si sanno prevedere gli sviluppi.
Purtroppo, i tempi per un rilancio delle politiche di investimento pubblico sono lunghi, specie dopo anni di tagli e risparmi nel nome di un’ideologia liberista che ha fortemente contribuito ad abbassare le difese immunitarie. C’è chi, come a Hong Kong, ha garantito a tutti i cittadini di età superiore ai 18 anni 1.200 dollari a testa per alleviare la temporanea carenza di domanda aggregata. Si tratta di una versione fiscale dell’“helicopter money” che, se la pandemia dovesse durare a lungo, potrebbe tradursi in “reddito di base”. Non tutto il male vien per nuocere.
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