Un comitato invisibile (per l’insurrezione che viene)
Sylvère Lotringer
Anticipando la decomposizione sociale provocata dal consumo e dalla fine della lotta di classe, i teorici post-marxisti francesi (Foucault, Guattari, Deleuze, Baudrillard) si erano risolutamente rivolti verso in capitalismo avanzato, cercando di sottrargli l’energia di cui avevano bisogno per rilanciare nuove strategie politiche di sovversione. Il fatto che queste teorie siano emerse in Francia non è di per sé sorprendente: sola in Europa, la Francia del dopo Sessantotto ha opposto resistenza a ogni cambiamento e si è rifiutata di integrare gli insegnamenti della rivolta studentesca. Invece di offrire alternative al malessere crescente, i governi (tanto i socialisti, quanto quelli più conservatori) hanno preferito adottare una politica repressiva rispetto al disagio sociale e alle «aspirazioni utopiche» delle giovani generazioni.
L’arresto recente di nove ragazzi nel villaggio di Tarnac, con capi d’accusa vaghi e senza fondamento (in sostanza li si imputava di aver sabotato le linee dell’Alta Velocità), e la loro successiva liberazione non hanno fatto che riconfermare questa modalità brutale e ottusa di affrontare le questioni. Alla stregua del pamphlet situazionista che aveva fatto da preludio al Maggio, L’Insurrection qui vient (La Fabrique, 2007), registra brillantemente la «miseria» della vita quotidiana nella Francia di oggi e, per estensione, del cosiddetto «primo mondo», dove la mobilitazione infinita e senza prospettive e la coazione compulsiva al lavoro hanno rimpiazzato le forme più classiche del controllo sociale. Scritto nei giorni della rivolta in Grecia e dell’esplosione delle banlieues parigine, il libro del Comité Invisible è prima di tutto un segno di impazienza, se non di disperazione, è una messa in guardia e un richiamo ad altre forme di vita e coloro che si fanno scudo del potere dovrebbero prestarvi parecchia attenzione, anziché giocare alla «reality-police». Criminalizzare con la forza ciò che, fondamentalmente, si rivela essere l’ambizione da parte della nuova generazione di prendere le distanze da una «corsa folle» diventata senza oggetto, senza fine e senza scopo, sperimentando cretivamente nuove forme di vita in comune, si rivela un errore di proporzioni gigantesche. Il fatto che il Comité si richiami, sotto il nome di «comunismo», a nuove forme collettive di solidarietà può sembrare, soprattutto negli Stati Uniti, una provocazione, ma il problema è tutt’altro. Il Comité non è neppure il solo, d’altronde, a rivendicare un «ritorno» al comunismo. Come altri teorici francesi che l’hanno preceduto, il Comité raccomanda di rivolgere contro il sistema le sue stesse armi e ha certo qualcosa di ironico il fatto che il governo di Nicolas Sarkozy, mobilitando in massa la sua «real-polizia», abbia conferito al libro un grado di realtà che in origine non aveva. Il montare dell’onda repressiva si è, infine, davvero rivolto contro chi l’ha generata: anziché cancellare il «pericolo», il governo francese non ha fatto che amplificarne l’eco, producendo un cortocircuito mediatico che a poco a poco ha fatto si che dell’Insurrection qui vient si cominciasse a discutere in Europa e negli Stati Uniti.
Negli Usa, il segnale è stato captato da Glenn Beck, vecchia volpe dello schermo, personalità mediatica, bizzarro appartenente alla destra conservatrice che nel suo programma su Fox News ha lanciato spropositati segnali di allarme: il libro, nella sua recentissima traduzione inglese (The Coming Insurrection, Semiotext<e>, 2009), è stato mostrato al pubblico accompagnato da immagini delle periferie francesi in fiamme e dall’annuncio «extreme left calling people to arms». Un segnale contraddittorio, ma comunque indicativo. Jon Steward ha d’altronde perfettamente descritto il ruolo occupato da Beck nel contesto dei media americani: «Ecco un tipo che dice ciò che pensa la gente che non pensa». Non c’è dubbio che il Comité Invisible pensi, pensi bene e soprattutto pensi per gente che ha bisogno di un sovrappiù di riflessione, al fine di rendere conto delle forme insidiose della cooptazione tipica delle società contemporanee. Ciò che conta, ben più delle diatribe burlesche di Glenn Beck, è il fatto che il libro contribuisca a suscitare una riflessione necessaria su un sistema capitalistico in affanno e che ha persino smesso di offrire le sue risposte senza contraddittorio alla preoccupante miseria del mondo.
Al di là delle azioni specifiche che preconizza, spesso in modo retorico, l’impatto immediato avuto dal libro sui giovani è un indicatore di per sé sufficiente per cominciare a parlare della crescente, larvata disaffezione nei riguardi di una società che ha perso la propria ragione d’essere, ma che non cessa per questo di correre alla cieca verso un precipizio. Questo libro è riuscito a toccare corde che per fortuna non smettono di vibrare.
L’insurrection qui vient (in francese, pdf)