philosophy and social criticism

La disperazione ha il suo stile

M. D.

Friedrich Glauser, Outsider, a cura di Gabriella de’ Grandi, Casagrande edizioni, Bellinzona 2009.

Chi era davvero Friedrich Glauser? Un irredimibile drogato di genio, fuggito sempre troppo presto da cliniche e galere in cui regolarmente veniva rinchiuso? Il simpatico suonatore di tamburo che ai tempi di Dada, sul palco del Cabaret Voltaire, si era più volte calato nei panni della Morte armata di grancassa per interpretare i drammi scritti da Oskar Kokoschka? Oppure si trattava davvero del “Simenon svizzero”, come frettolosamente lo avevano etichettato i suoi editori, al pari dei tanti scrittori venuti di moda solo a corpo freddo, dopo la loro morte? Forse, risponderanno ben più prosaicamente i critici dopo la sua morte, era soltanto l’autore di un alter ego tanto scontato, quanto memorabile come il sergente Studer. Eppure a guardarlo bene più che a un alter ego Studer – protagonista di molti racconti di Glauser e del romanzo omonimo, Wachtmeister Studer, terminato nel 1936 – aveva le sembianze di un doppio quasi per nulla riconciliato. Fisicamente debole e impacciato, degradato e costretto a ripartire dai gradini più bassi della gerarchia dell’istituzione a cui appartiene, Studer si ritrova spesso alle prese con “modesti” casi di adulterio e omicidio, in altrettanto modesti e apatici villaggi, sullo sfondo di una provincia turpemente devastata – e qui sta il punto – dalle prime crisi finanziarie “globali”, negli anni Trenta. Quelle di Studer appaiono come piccoli esperimenti di verità, condotti ai margini della vita reale. Era proprio il rapporto con la realtà a conferire – agli occhi di Glauser – innato valore alla letteratura “poliziesca” e di genere. Da qualche anno, anche grazie al lavoro di ricerca della sua storica traduttrice, Gabriella de’ Grandi, di i lettori di lingua italiana hanno a poco a poco scoperto anche altri “esperimenti” e temi della scrittura di Glauser. Su tutti, il fil rouge autobiografico che da Morfina e Dada, Ascona e altri ricordi, editi entrambi da Sellerio, arrivano fino a Gli occhi di mia madre, pubblicato da Casagrande nel 2005.

Sempre per Casagrande è apparso Outsider, una raccolta di quattro inediti, due scritti in francese, lingua paterna di Glauser, e due nella lingua materna, il tedesco. I racconti abbracciano un arco temporale di venti anni – il primo, Nouvelle, è del 1915, mentre l’ultimo che dà il titolo alla raccolta è del ’34 – e sono ovviamente segnati dalle esperienze forti e fortemente disperanti che hanno marcato a fuoco la vita di Glauser: dal rapporto conflittuale col padre – che lo spinse ad arruolarsi nella Legione straniera – allo scontro con le autorità politiche, dall’arresto alla reclusione nella Waldau, la celeberrima clinica psichiatrica di Berna che tra i propri ospiti ebbe anche Robert Walser. “Il numero degli internamenti, delle cure di disintossicazione, delle varie catastrofi della mia vita, l’elenco della durata e delle date sono irrilevanti”, scriveva Glauser in una sorta di curriculum vitae redatto nel 1934. Subito aggiungendo che “mi sembra più utile accennare brevemente a ciò per cui nutro ancora speranza”. Anche se tutto nella sua vita – conclusasi a Nervi, l’8 dicembre del ’38– sembrava perduto, Glauser aveva la forte “sensazione di avere qualcosa da dire” e per questo cercava di esercitarsi con la penna alla ricerca di uno stile da perfezionare giorno dopo giorno. Contro la seducente estetica del maudit di: professione, scriveva che “non si diventa Hamsun solo perché si sono fatte certe esperienze”. Il tempo gli ha dato ragione.

[da Alias, 4 ottobre 2008]

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ISSN:2037-0857