Il lavoro inumano di Lautréamont
Marco Dotti
Gaston Bachelard, Lautréamont, a cura di Filippo Fimiani, Jaca book, Milano 2009.
Nel 1939, quando Gaston Bachelard pubblicò la prima edizione della sua monografia, della vita e forse anche dell’opera di Isidore Ducasse, «conte di Lautréamont», si conosceva ben poco. Nato a Montevideo, nell’aprile del 1846, trasferitosi ancora adolescente a Tarbes, nella regione dei Pirenei, Ducasse morì ventiquattrenne forse suicida, forse per un tumore al cervello, forse d’inedia nella stanza di una Parigi allora desolata.
Il suo certificato di decesso – redatto il 24 novembre 1870, proprio mentre i tedeschi invadevano la città – è stato per molto tempo l’unico «attestato» ufficiale della sua esistenza. L’unico, all’infuori dell’opera: singolare processo di inversione, dove è l’opera a certificare l’esistenza di un autore, e non viceversa, rendendo se possibile ancora più problematiche le nozioni stesse di opera e autore. Nell’agosto di tre anni prima, coperto dall’anonimato di tre asterischi, che facevano le veci del nome sul frontespizio dell’edizione tirata dall’«Imprimerie Balitout, Questroy, et C.», Ducasse aveva dato alle stampe il primo dei suoi Canti di Maldoror riservando a un compagno del convitto di Tarbes, Georges Dazet, un ruolo determinante. Ma il volume non arrivò mai nelle due librerie deputate alla distribuzione, poiché lo stampatore, temendo la «censura» e le conseguenti sanzioni pecuniarie, preferì archiviare in un magazzino le copie dei Chants. Non ebbero migliore fortuna le successive edizioni e il «ruolo» di Dazet venne presto rimpiazzato da un «polipo» e da altre figure animali.
È proprio su questo bestiario di Lautréamont e sul nodo di Gordio fra autore e opera – tanto paradossale, quanto intenso in un’«opera» che difetta quasi di «autore» – che Bachelard concentra la propria breve e densissima riflessione. Fatto di non secondaria importanza, Lautréamont è il solo «autore» (appunto) a cui il pensatore francese abbia dedicato una monografia. Nel ’39, Bachelard aveva da poco terminato due opere importanti e per il suo percorso epistemologico e per quello sull’immaginazione e la rêverie degli elementi: La Formation de l’esprit scientifique e La Psychanalyse du feu entrambe del 1938. Nalla ricerca sui Canti di Maldoror, Bachelard si serve della psicoanalisi come chiave di lettura per decriptare quella energia in eccesso che informa l’opera poetica di Lautréamont. Vertigine, potenza cinetica, aggressione, violenza e «animalizzazione» diventano le chiavi per forzare il mistero del «complesso della vita animale» così come appare nel sistema di Isidore Ducasse. L’eccesso di Maldoror, la sua ribellione a Dio e al mondo, è rappresentata da un bestiario – artigli d’aquila, pidocchi, porci, serpenti – non puramente allegorico, ma dinamico: l’animale è qui non semplice oggetto della scrittura o dell’opera, ma forza attiva che reattivamente le anima. Alcuni poeti, scrive Bachelard, «divorano lo spazio: si direbbe che hanno sempre un universo da digerire», altri, meno numerosi, «divorano il tempo». In questa che Bachelard non esita a definire una «fenomenologia dell’aggressione» ben esemplificata dalle ricorrenze «non di simboli di passioni» come in La Fontaine, ma di «reali strumenti di attacco», Lautréamont appare dunque come uno dei principali «mangiatori di tempo», al punto che proprio in questa «fame» di tempo si nasconderebbe il segreto dell’incredibile violenza (non solo poetica) dei Canti. Se La Fontaine, con le sue favole, ha descritto una psicologia umana nascosta dietro la forma animale delle favole di volpi e cicogne, Lautréamont ha inscritto una «favola inumana» rivivendo in sé gli impulsi brutalmente animali.
La poesia di Lautréamont appare quindi, letta in questa chiave (chiave che in parte sarà anche di Antonin Artaud, autore di una meno nota «lettera» sul caso-Lautréamont), come frutto di una poetica dell’eccitazione. Se si considera il bestiario di Lautréamont solo dal punto di vista descrittivo e formale, non si potrà non convenire che le forme animali hanno tratti imperfetti come imperfetta è la loro «riproduzione». In realtà, i Canti producono le forme animali di cui parlano e inducono azioni. Di questo si accorsero i primi surrealisti, artefici della sua «riscoperta», e le principali avanguardie del ventesimo secolo che, da Le Grand Jeu fino a Tel Quel, che in Lautréamont e nel suo pidocchio ribelle al mondo e a Dio videro l’idealtipo dell’indomito agitatore culturale.
[da il manifesto, 16 marzo 2010]
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