philosophy and social criticism

Diari unici

M. D.

«Ho trascorso la maggior parte della mia vita a dormire, un’altra buona parte in attesa di un miracolo, meditando l’irraggiungibile». Si aprono così gli inquietanti Appunti di un’anemica, redatti da Unica Zürn a partire dal 26 dicembre 1957, in un periodo chiave per la tormentata esistenza dell’artista berlinese. La Zürn  aveva allora quarantuno anni e da quattro portava avanti una complessa relazione con Hans Bellmer. Si erano conosciuti al vernissage di una mostra organizzata dal gallerista-editore Rudolf Springer e per entrambi fu un colpo di fulmine, tanto che i testimoni ricordano la stupita reazione di Bellmer: «Voilà la Poupée», ecco la bambola. Bellmer era allora impegnato nella realizzazione della serie di manichini e fotografie che dovevano preludere alla realizzazione di una sorta di donna-automa calibrata sull’immagine dell’Olimpia di Hoffmann e sulla omplessa relazione psicofisica già teorizzata nel saggio dedicato all’Anatomia dell’immagine (Adelphi, 2001) e l’ingresso di Unica nella sua vita sembrava rappresentare una sorta di quadratura del cerchio. In Bellmer, invece, Unica Zürn ritrovava i tratti di Jean-Louis Barrault e un’immagine di paradossale purezza che la riportava all’infanzia e alla rêverie suscitata – su di lei e su un’intera generazione di giovani europee  – dall’attore protagonista del film Les enfant du Paradis di Marcel Carné. Raccolti e tradotti con grande attenzione da Eva-Maria Thüne accanto a La casa delle malattie in un volume pubblicato nel 2008 dalle  le edizioni L’Obliquo col titolo Due diari, gli appunti della Zürn sono inscritti ancora nella prospettiva dell’ «io» (ich), prospettiva che cambierà sensibilmente nei testi autobiografici successivi al 1960, in particolare nell’Uomo gelsomino e in Oscura primavera, quando  si affermerà l’uso della terza persona singolare «lei» (sie), anche per descrivere le più intime, personali e drammatiche vicende di vita. Oltre a Bellmer, però, in questi anni a segnare  scrittura e  visioni della Zürn è la presenza di quello che lei stessa chiama «l’uomo bianco», altre volte indicato con le sole iniziali «H. M.», facilmente identificabile con l’amico Henri Michaux, nel cui viso lei crede di  intravedere la «somma di tutti gli altri visi». Uno strano, doppio legame e una serie infinita di coincidenze legheranno la coppia Zürn-Bellmer a Henri Michaux e, tramite lui, allo psichiatra Gaston Ferdière, che oltre che medico di Unica (dopo esserlo stato di Antonin Artaud e Isidore Isou) diverrà un medio inconsapevole dei giochi di ruolo della coppia. Ossessionata dai numeri, dalle coincidenze, dai transfert  e dalla telepatia, attratta come il suo compagno Bellmer dalle possibilità di «amare a distanza» Zürn lavorerà sulle proprie memorie da malata di nervi con estrema e perturbante perizia, ma anche con una non meno disorientante propensione per la naïveté e il rimpianto per un’infanzia violata, ma non irrimediabilmente perduta. In un passo di Katrin. Die Geschschte einer kleine Schriftellerim, il suo libro per bambini opportunamente richiamato da Eva-Maria Thüne nella premessa al volume,  Zürn ricordava come la lingua sia «una giungla con piante rampicanti e tagliole e trappole e cani mordaci e veleno per topi». In questa giungla di pericoli crescono però i frutti migliori «ed è proprio questi frutti che bisogna trovare per poi, bene ordinati, servirli al lettore».

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ISSN:2037-0857