Agnes Varda, Agnes la Rose
di Giulia Zoppi
Visages, villages. Regia di: JR, Agnès Varda. Titolo originale: Visages, villages. Genere Documentario – Francia, 2017, durata 90 minuti. distribuito da Cineteca di Bologna
“La ricchezza della fotografia è tutto ciò che non c’è, ma che noi proiettiamo e fissiamo in essa” (Edgar Morin, “Il cinema o l’uomo immaginario. Saggio di antropologia sociale”, trad. it. 1982, p. 40).
Sulla scia di questo assunto, è finalmente arrivata nelle nostre sale, dopo Cannes e Hollywood, questa delicata opera a due, capace di fermare il veloce oblio riservato al cinema poetico, grazie alla collaborazione di una regista celebre e originale come Agnès Varda e di JR, giovane artista e fotografo francese noto per i suoi collage monumentali.
Agnès Varda ha scritto e diretto – a partire dal lontano 1954 – una tale sfilza di film e documentari da conquistarsi molto presto un posto di assoluto rilievo nel pantheon degli autori d’avant-garde, insieme a Chris Marker e Alain Resnais, ritagliandosi, nell’alveo tutto maschile della Nouvelle Vague, un ruolo defilato ma decisivo, caratterizzato da uno stile aereo, lirico e maliziosamente sbarazzino, che non sembra perdere vitalità, nonostante i decenni.
Oggi, a ottantotto anni compiuti, la curiosità e la sete di vita di Agnès non sono svaniti, tanto da farle decidere nel 2015, grazie alla figlia Rosalie, di accompagnarsi ad un giovanotto conosciuto nel mondo della “street art” come JR (Jean René, un artista/fotografo che gira il mondo creando opere fotografiche e ritratti in B/N che incolla in sterminati collage en plein air), per girare la Francia profonda, documentandola con quattro occhi, quattro piedi e due telecamere (e un “camioncino delle meraviglie” dove è installata una sorta di cabina per fotografie).
JR che durante le riprese ha appena trentatré anni, è un giovane alto e gentile che indossa un cappello nero e nasconde lo sguardo dietro un paio di occhiali da sole che Agnès vorrebbe tanto far sparire, (come riuscì ad ottenere con l’amico di una volta Jean Luc Godard, immortalandolo privo di lenti e come nudo: reperto più unico che raro!).
La magia dell’incontro è tale che i due sembrano conoscersi da sempre, tanto da riuscire a concretizzare un’unione armoniosa nella quale, possibilmente, la parte della ragazza avventurosa e scapestrata sembra essere quella preferita dalla minuta cineasta, piuttosto che dal suo giovane amico.
Alle prese con un road movie nella Francia rurale e nelle coste del Nord, al di fuori dalle strade battute, ma soprattutto dalle grandi città, Agnès e JR vanno alla ricerca, sul “Wunder Lastkraftwagen” di lui, di volti appartenenti a persone di ogni età, da fissare in ritratti extralarge e da affiggere sulle mura di case, officine, autocisterne, camion e fabbriche.
E anche se il progetto è già stato utilizzato dallo street artist nel suo personale Inside Out, in questa nuova collaborazione acquista nuova linfa espressiva (che Agnès avesse un debole per i camion, lo si poteva già intuire guardando “Les glaneurs et la glaneuse”del 2000), assumendo nuova freschezza e animandosi di una sua personalissima grazia; elemento che li unisce insieme a tanti altri, del resto.
Durante quindici mesi di lavorazione e per una settimana al mese, i due percorrono a bordo del camioncino di JR sentieri poco battuti alla ricerca di testimoni capaci di segnare, attraverso le espressioni dei loro volti e dei loro corpi affaticati dal lavoro, spazi e tempi fuori dalle cartografie consuete, dalla cronologia dei giorni sempre uguali.
E’ la memoria il filo conduttore che li porta a visitare il porto di Le Havre, tra uomini e donne impiegate tra cargo e gru, o tra piccoli allevatori sperduti in villaggi remoti, oppure tra ragazze che spillano birra nei bar e vecchietti che giocano a carte. A ciascuno di loro è regalato un attimo, un frammento di celebrità che può anche durare per sempre, se l’affiche di JR resiste al tempo ed è ben fissato con la colla sopra la superficie di una casa, un fienile, una fabbrica.
E mentre i due sodali avvicinano i fortunati che saranno fotografati, con una gentilezza scomparsa dai nostri radar urbani, sentiamo montare una certa commozione nel vedere negli occhi sinceri di questa piccola platea di gente comune, un moto di pacata e inespressa gratitudine, sentimento sempre più nascosto tra le corsie delle metropoli, ma ancora miracolosamente vivo nella semplicità delle persone che lavorano e vivono la loro quotidianità normale.
A tratti il cammino di Varda e JR assume i connotati di un “memoir”reso credibile dall’evocazione o dalle citazioni più o meno esplicite, in forma di omaggi di grandi nomi che nutrono il ricco melieu artistico-culturale della seconda metà del secolo scorso a Parigi, dove potevi incontrare JacquesDemy (il compagno di una vita di Agnès), piuttosto che Nathalie Serraute, Guy Bourdin, Henri Cartier-Bresson oJean-Luc Godard e diventarne amici.
Non si creda che ci sia un piano prestabilito nel percorso dei due “flaneur”: essi stabiliscono le tappe del loro viaggio ad una ad una e quasi per azzardo, sulla scia dell’esperienza di Agnès che deve al CASO tutta la fortuna del suo meraviglioso girovagare per immagini.
Impugnate le macchine fotografiche, tra una pausa thé, confortati dallo sguardo affettuoso del gatto di lei, la coppia discute e si confronta continuamente, ma nulla appare come il frutto di un compromesso, quanto semmai, la stretta collaborazione tra due anime sensibili, in cui lei si affida alla vista di lui (Agnès ha una malattia agli occhi e deve controllarsi spesso), quando i suoi occhi sono stanchi (e per arricchire questo film a mosaico, ricco di pezzi rari, ecco alcune velocissime immagini di “Un chien andalu” di Buñuel) o le sue gambe non la reggono.
In questo gioco delle parti, in cui c’è tempo per ridere e commuoversi davanti alla bellezza della natura e degli incontri umani (e animali, si pensi alle capre con o senza corna), i due si confessano stima reciproca e qualche leziosità: «je vieillis en m’amusant» dice Agnès a JR, ma nonostante questo non ha paura di morire, anzi, attende il suo turno curiosa, come è rimasta, nonostante acciacchi, rughe e una cattiva vista.
E anche noi siamo complici di questo girovagare leggero e libero perché abbiamo bisogno di poterci ritrovare dopo i rumori, la routine e la velocità inconcludente delle nostre vite, in un tempo calmo, sereno e pacificato, vicini alla vita di donne e uomini, ragazzi e ragazze, bimbi e bimbe che crescono e invecchiano lontani dal clamore e dalla frenesia: testimoni reali di luoghi che a noi sono sconosciuti tanto da sembrarci opera di fantasia.
Varda e JR riconsegnano a queste comunità sperdute dignità e futuro, per dimostrarci che c’è vita oltre l’apparenza dei social e la voracità dei mercati finanziari e delle multinazionali che invadono le arterie del nostro mondo inquinato e distratto.
E poiché Agnès è un’artista di lungo corso, ella può mostrare all’amico e a noi tutti, anche alcuni scatti della sua memoria personale, immagini pescate dal suo archivio più intimo.
A Saint-Aubin-sur-Mer, in Normandia, dove JR correva spesso in moto sulla spiaggia, una “mise en abîme” del ricordo di Agnès: anche lei, negli anni ’50 si trovava là dove abitava un suo giovane amico di talento, Guy Bourdin, solo più tardi ricordato come uno dei fotografi più significativi che abbia avuto la Francia del dopoguerra.
Ed ecco che la foto dell’amico fotografo viene riprodotta e fissata su un relitto post bellico che giace sulla spiaggia, dove Guy appare perfettamente a suo agio, fino a che la marea non arriva a cancellarlo, privando Agnès di un momento di gioia quasi infantile.
Ed ancora grazie ad Agnès che le mogli di tre scaricatori di porto avranno il loro fugace ma significativo momento di gloria: grazie a tre affiche applicati sui container a fissarne i sorrisi, perché loro tre dividono e condividono con i rispettivi mariti le stesse fatiche e le stesse paure…
(Pensiamo alla giovane Agnès in mezzo ai ragazzi della Nouvelle Vague, a lei così minuta e forte tra quei talentuosi giovanotti appassionati e indomiti, alla sua forza e al suo coraggio di giovane donna)!
Dal momento che «le sujetc’est le regard», è necessario riflettere sull’occhio e lo sguardo, sui diversi modi di vedere– il nostro pensiero torna per un istante alla nostra citazione iniziale– per riconoscere in questo documentario un lavoro teorico sui dispositivi della rappresentazione (come realizzare immagini, come condividerle, mostrarle ed esporle) che diventa anche riflessione socio politica.
Niente viene ripreso a caso, nonostante lo stile registico viaggi leggero come le nuvole del Nord, ogni oggetto, ogni sguardo, ogni soffio, ha la sua ragion d’essere ed afferisce ad un disegno che nella sua idealità sospesa, si concretizza in una netta presa di posizione: guardiamo il mondo con ironia, con dolcezza, ascoltando le voci dei nostri vicini, osservandoli.
La stessa dolcezza che accompagna il ricordo della giovane amicizia con Godard (vedi della Varda:“Les Fiancés du pont Mac Donald ou –Méfiez-vous des lunettes noires” con Anna Karina e J.L. Godard) che pervade tutta quest’opera, attraverso i racconti di Varda, fino all’esplicita citazione del godardiano “Bande à part” del 1964, qui citato nella divertente scorribanda al Louvre, in cui JR spinge Agnès sulla carrozzina in una corsa a perdifiato verso la bellezza della pittura italiana rinascimentale.
E anche se il film si chiude amaramente sul mancato appuntamento di Godard che Agnès vorrebbe far conoscere al suo giovane amico (il regista svizzero mancherà all’appuntamento non facendosi trovare a casa e lasciando un misterioso messaggio che la riporterà dritta al passato felice con l’amato Jacques), lasciandola delusa, scossa e in lacrime, le battute tra i due amici delusi, uno di fronte all’altro, si ammantano di tenerezza. Nel mostrare il proprio sguardo ad Agnès, libero dalle lenti scure, finalmente, JR le promette un’amicizia imperitura e magari, una nuova avventura insieme.
Ps. E’ importante sottolineare che, per la prima volta nella storia dell’Academy è una regista-artista donna a essere insignita del premio Oscar alla carriera. Tra gli altri numerosi riconoscimenti internazionali per questo lavoro, “L‘Oeil d’Or du meilleur documentaire” al Festival di Cannes 2017 e ilpremio del pubblico al Festival di Toronto.
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