philosophy and social criticism

Attraverso lo specchio come fosse acqua

di Raffaele K. Salinari

«Fin­giamo di poterci entrare, Fru­frù, fin­giamo che lo spec­chio sia mor­bido come un velo, e che si possa attra­ver­sare. To’, adesso sta diven­tando come una spe­cie di neb­bia… Entrarci è la cosa più facile del mondo».
 
Ed ecco che Alice attra­versa lo spec­chio, diven­tato magi­ca­mente fluido, per ritro­varsi in un altro spa­zio tempo; una imma­gine affa­sci­nate, ripresa in altret­tante varianti da decine di rac­conti e pellicole.
 
Pura fan­ta­sia? Niente affatto: ma allora, è pos­si­bile attra­ver­sare uno spec­chio come accade all’eroina di Lewis Carrol?
 
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tysm literary review, Vol 6, No. 10,  December 2013

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La rispo­sta, mira­bile dictu, è affer­ma­tiva: è la strut­tura stessa dello spec­chio che ci dà modo di gio­care con il poten­ziale di que­sta imma­gine poi­ché, come con­stata Alice, il vetro è un fluido, una spe­cie di neb­bio­lina appunto, sep­pure di altis­sima visco­sità e con legami inter­mo­le­co­lari ed attriti che ne man­ten­gono inal­te­rata la forma per lun­ghis­simi periodi; la sua natura essen­ziale è quella di un liquido sot­to­raf­fred­dato con una cri­stal­liz­za­zione irre­go­lare, più o meno densa, come un’altra entità che molto gli asso­mi­glia: il tempo.
 
Rilke, nel terzo dei suoi Sonetti a Orfeo, canta il mistero di que­sta ana­lo­gia: «Spec­chi, nes­suno mai coscien­te­mente ha descritto la vostra vera essenza. Voi, inter­valli del tempo, cri­velli fitti di innu­me­re­voli buchi» men­tre Bor­ges, il grande poeta spa­ven­tato dagli spec­chi, prova a descri­verne i con­fini: «Dove fini­sce e ini­zia, ina­bi­ta­bile, l’impossibile spa­zio dei riflessi».
 
Anche Giano, il dio bifronte le cui facce guar­da­vano verso tempi diversi, viene rap­pre­sen­tato con volto spe­cu­lare: due occhi con­dan­nati a non guar­darsi mai.
 
E allora, in attesa di tran­si­tare fat­tual­mente attra­verso l’impossibile spa­zio dei riflessi bor­ghe­siani, noi pro­ce­diamo quo­ti­dia­na­mente verso un altro pas­sag­gio: non nella mate­ria spec­chiale, ma nel tempo, anch’esso un fluido dalla natura fram­men­ta­ria. Spec­chian­doci, infatti, cosa vediamo se non il flusso del tempo che passa? C’è da chie­dersi se que­sto avviene per­ché lo spec­chio, come gli oro­logi molli di Dalí, flui­sce lui stesso.
 
L’ingannevole con­ti­nuüm della vitrea mate­ria, erra­tico come lo è il tempo, riflette così esat­ta­mente la rela­zione tra Kro­nos e Kai­ros, le facce spe­cu­lari che adden­sano o dila­tano il suo corso. Lo spec­chio si mostra dun­que era­cli­teo, come l’acqua del fiume: in esso si riflette per­fet­ta­mente il panta rei, il tutto che scorre. Non si può mirare due volte lo stesso spec­chio poi­ché anche l’immagine che esso rimanda è sem­pre diversa, eppure familiare.
 
È così l’attraversamento dello spa­zio tempo spec­chiale crea Das Unheim­li­che, il «per­tur­bante», come lo defi­niva Freud, cioè quel sen­ti­mento che nasce da ciò che viene per­ce­pito come pos­si­bile ed impos­si­bile al tempo stesso, come un sot­tile quanto avver­ti­bile scol­la­mento della realtà.
Attra­verso lo specchio
 
Ma se la mate­ria dello spec­chio non è omo­ge­nea in tutte le sue parti, pos­siamo pure imma­gi­nare che le sue linee di rot­tura, o di attra­ver­sa­mento, sono sem­pre diverse, spe­ci­fi­che, in qual­che modo cor­re­late con chi lo attra­versa o lo frantuma.
 
E dun­que non c’è un solo modo di fran­tu­mare o attra­ver­sare lo spec­chio: ad ognuno il suo. È que­sta, a ben vedere, la costante che ritro­viamo in tutta la let­te­ra­tura e nella cine­ma­to­gra­fia del genere: la natura del tran­sito, o della rot­tura, non è sem­pli­ce­mente fun­zione della forma o della den­sità dello spec­chio, ma dipende altresì dall’inclinazione dell’attraversatore, dal suo cli­na­men; come nell’Opus magnum del pro­cesso alche­mico l’intento dell’operatore influenza la mate­ria ope­rata, e vice versa.
Lo spec­chio che si attra­versa o si fran­tuma per ritro­varsi o per­dersi dall’altra parte, non è allora l’algido e distante oggetto del verso di Mal­larmé: «Oh spec­chio, fredda acqua della noia nel tuo riqua­dro gelato…», bensì lo Spe­cu­lum majus di Vin­cent de Beau­vais, morto nel 1264 che, nell’omonima enci­clo­pe­dica opera, descrive il Mondo quale immenso tea­tro catrot­tico in cui il Tutto si spec­chia nel pro­prio riflesso, dove la Natura natu­rans di Gior­dano Bruno e Spi­noza si riflette, senza decre­scere, nella Natura natu­rata dell’uomo.
 
Secondo Mae­stro Eckart (XVI sec.): «Il riflesso dello spec­chio nella luce del sole è nel sole stesso; eppure sole e spec­chio restano quello che sono. Lo stesso accade per Dio: egli si trova nell’anima… eppure non è nell’anima, è il riflesso dell’anima che è in Dio… Dio diventa così ogni creatura».
 
In que­sta visione del mistico medioe­vale tro­viamo tutte le com­po­nenti imma­gi­nali dello Spe­cu­lum majus, quello che attra­ver­se­ranno per­so­naggi let­te­rari come Alice e Lord Pat­chouge, o cine­ma­to­gra­fici quali Orfeo ed il Poeta di Coc­teau, dei comics come Man­drake in lotta con­tro il mal­va­gio popolo degli spec­chi, o ancora quello in cui si tra­sfor­merà L’uomo di vetro di Paul Valéry.
 
Lo spec­chio di que­sti per­so­naggi non solo si lascia attra­ver­sare, ma si fa attra­ver­sare, accor­dando la pro­pria natura a quella dell’attraversatore; così come lo sguardo del dio di Mae­stro Eckart tra­smuta il suo stesso vedere nel vedere di chi lo guarda.
 
Il tempo e lo stato fisico dello spec­chio diven­tano così tutt’uno con l’intento dell’attraversamento: in que­sto istante pre­ciso, in que­sto kai­ros, ci si ritrova di fronte a que­sto spec­chio, e non ad un altro, che ora ricom­bina la sua natura con quella del suo attra­ver­sa­tore, si fa attra­ver­sare attra­ver­san­dolo, mutando la con­si­stenza degli stati fisici che può assu­mere: liquido, solido, gassoso.
 
E allora, diversi sono i modi di attra­ver­sa­mento e le con­se­guenti tra­sfor­ma­zioni di stato. Il pas­sag­gio di Alice è in moda­lità subli­mata, cioè dal solido al gas­soso diret­ta­mente: «Alice stava sulla men­sola del cami­netto men­tre diceva così, seb­bene non sapesse spie­garsi come fosse arri­vata lassù. E certo il cri­stallo comin­ciava a sva­nire, come una neb­bia lucente. L’istante dopo Alice attra­ver­sava lo spec­chio e sal­tava agil­mente nella stanza di die­tro. La prima cosa che fece fu di guar­dare se ci fosse il fuoco nel cami­netto, e fu tanto con­tenta di vedere che ce n’era uno vero, pieno di fiamme vive, come quello che aveva lasciato nel salotto».
 
La sug­ge­stione è tal­mente forte che anche Topo­lino, in un cor­to­me­trag­gio del 1936, attra­versa lo spec­chio come Alice, que­sta volta in moda­lità liquida, cioè tuf­fan­do­cisi den­tro, per tro­varsi poi in un mondo fia­be­sco di oggetti animati.
 
L’onirismo del tuffo attra­verso lo spec­chio ridi­ve­nuto liquido mercé la sua capa­cità tra­smu­tante è ancora più accen­tuato ed espli­cito in due film di Cocteau.
 
Uno è Il san­gue di un poeta del 1930. Ecco la sto­ria: un pit­tore dipinge un volto sulla tela appena abboz­zata. Improv­vi­sa­mente la bocca del dise­gno si mette a par­lare; il pit­tore cerca di farla tacere, ma le lab­bra gli segnano il palmo della mano. Dispe­rato le imprime su di una sta­tua che, anch’essa, comin­cia a par­lare: dice insi­sten­te­mente al pit­tore di attra­ver­sare uno spec­chio se vuole libe­rarsi di lei.
 
La sta­tua: «Ti resta una via d’uscita. Entrare nello spec­chio e pas­sare di là».
Il poeta: «Non si entra negli specchi».
La sta­tua: «Prova, prova sempre».
 
Dap­prima esi­tante, il pit­tore tasta la con­si­stenza vitrea dello spec­chio poi, seguendo le sug­ge­stioni della sta­tua, sale su una sedia e, ad un tratto, si tuffa nello spec­chio dive­nuto improv­vi­sa­mente liquido e lo attra­versa, ritro­van­dosi in un mondo oni­rico dal quale rie­mer­gerà, riat­tra­ver­sando lo spec­chio, per infine distrug­gere la sta­tua e tra­sfor­marsi in essa.
 
Par­ti­co­lare inte­res­sante, in una delle stanze che il poeta scru­terà nel suo viag­gio allu­ci­nato, si vede una bam­bina che sale su un cami­netto, come Alice.
 
«Con Le sang d’un poéte ho pro­vato a girare la poe­sia come i fra­telli Wil­liam­son hanno girato il fondo del mare. Si trat­tava di spro­fon­dare in me stesso, nella mia notte, la cam­pana subac­quea ch’essi cala­vano giù nel mare a grande pro­fon­dità. Biso­gnava sor­pren­dere lo stato poe­tico di cui molti negano l’esistenza… Natu­ral­mente è molto dif­fi­cile avvi­ci­nare la poe­sia… non vi nascondo che ho ado­pe­rato dei truc­chi per ren­dere la poe­sia vedi­bile e udi­bile». (J. Coc­teau, con­fe­renza al Teatro Vieux-Colombier prima della pro­ie­zione del film, 1932).
 
Ed infine, lo stesso Coc­teau torna sull’attraversamento dello spec­chio in Orfeo. Ambien­tato nella Parigi anni cin­quanta, Euri­dice muore in un inci­dente stra­dale. Un miste­rioso per­so­nag­gio, Heu­ter­bise, una sorta di angelo custode del poeta, aiuta Orfeo ad attra­ver­sare uno spec­chio per­ché egli possa recarsi nell’aldilà e ripor­tare indie­tro sua moglie. Gli fa indos­sare dei guanti e gli dice: «Adesso voi attra­ver­se­rete lo spec­chio come fosse acqua, pro­vate». Allo sguardo atto­nito di Orfeo, con­ti­nua: «Vi rivelo il segreto dei segreti: gli spec­chi sono le porte attra­verso le quali la morte viene e va. Del resto, guar­da­tevi tutta la vita in uno spec­chio e vedrete la morte lavo­rare come api in un alveare di vetro».
 
Orfeo, spinto dal suo men­tore, pene­tra a que­sto punto nello spec­chio, dap­prima esi­tando con la punta delle dita rico­perte dai guanti.
 
A detta di Coc­teau lo spec­chio nel quale si tuffa il pro­ta­go­ni­sta di Le sang d’un poéte era costi­tuito, per ren­dere l’effetto di un vero e pro­prio attra­ver­sa­mento in un liquido, da una vasca di mer­cu­rio in cui si immerge l’attore! Qual­che anno dopo Jean Marais, nella parte di Orfeo, si limi­terà a immer­gere nel mer­cu­rio solo le dita guantate.