Chiamami col tuo nome
Giulia Zoppi
Regia di Luca Guadagnino con Armie Hammer, Timothée Chalamet, Michael Stuhlbarg, Amira Casar, Esther Garrel. Titolo originale: Call me by your name. Genere Drammatico – Italia, Francia, USA, Brasile, 2017, durata 132 minuti.
È stato detto che la bellezza è una promessa di felicità. Inversamente, la possibilità del piacere può essere un principio di bellezza (Marcel Proust)
Terza opera di una trilogia che è stata definita Trilogia del Desiderio, Call Me by Your Name, è l’ultima fatica del regista meno italiano tra i nostri cineasti, Luca Guadagnino che, con questo titolo, si è aggiudicato un unanime successo di critica (la stampa anglofona si è pronunciata con toni entusiastici), quattro nominations all’Oscar e altri prestigiosi riconoscimenti in giro per il mondo.
E’ un successo più che meritato quello attribuito al film, più di quanto non lo si sarebbe potuto dire delle due opere antecedenti (Io sono l’amore del 2009 e A Bigger Splash del 2015) perché qui, finalmente, l’autore riesce a sviluppare al meglio le tematiche che si era proposto di approfondire nei due precedenti affreschi altoborghesi, tutti rivolti verso un modello di società aristocratica chiusa e autoreferenziale, alle prese con un imprevisto ed imprevedibile decalage socio culturale, in grado di sovvertire l’ordine, provocare crisi valoriali, credenze e abitudini.
Ho chiamato in causa Proust e non a caso. La citazione che apre questo scritto si attaglia perfettamente all’anima di quest’opera esteticamente impeccabile e conturbante (direi panica), che molto deve anche al cinema di Bernardo Bertolucci (le opere più recenti), alla Nouvelle Vague (nel film un significativo cameo è riservato alla giovane Esther Garrel, figlia del noto cineasta Philippe che al movimento della nouvelle vague ha sempre guardato con rispetto), da cui ruba la freschezza espressiva dei suoi giovani e, in parte acerbi, protagonisti del film: Elio (Timothée Chalamet) e Oliver (Armi Hammer), riservando al loro lento e timido avvicinamento, lo stesso candore di alcune pellicole di Rohmer e di Louis Malle (ma il formalismo di Guadagnino è decisamente più vicino all’autore di Au Revoir Les Enfants che non allo spartano ed essenziale cinema rohmeriano).
Nondimeno, per concludere la lunga carrellata di omaggi (e debiti) a cui Guadagnino attinge a piene mani (pur mettendoci molto del suo), non posso dimenticare James Ivory, autore di questa sceneggiatura, capace di infondere al racconto, il suo stile impeccabilmente decorativo e sensuale, al servizio di una storia tratta dal romanzo omonimo di André Aciman.
E in effetti la vicenda di Chiamami col tuo nome molto assomiglia a quella narrata nel bellissimo Maurice, film che Ivory diresse nel 1987, (quando parlare di omosessualità era ancora raro e complicato), mettendo in scena la tenera relazione sentimentale tra due giovani studenti di Cambridge, alle prese con le paure e le incertezze di una società (siamo nel 1909) ancora molto lontana dall’aver cancellato il reato di sodomia.
Ma veniamo brevemente alla storia del film.
Il giovane Elio, il cui punto di vista ci accompagna lungo tutto il film, ha 17 anni ed è il figlio unico di una coppia di intellettuali cosmopoliti: i genitori di origine ebraica ma non osservanti, appartengono all’alta borghesia e il clima che si respira tra le mura dell’elegante proprietà alle porte di Crema, in campagna, è intriso di atmosfere di sobria ricchezza e di apparente e perfetta armonia.
Siamo in estate e come ogni anno la famiglia Perlman si appresta ad ospitare per qualche settimana uno studente americano (come americano è il padre di Elio, fine antichista e uomo di larghe vedute) che affronterà un percorso di ricerca dietro la supervisione dello stimato docente.
All’arrivo del prestante Oliver, Elio si mostra tanto incuriosito quanto infastidito.
Davanti all’apparente spavalderia del ragazzo (di qualche anno più grande) Elio si sente inadeguato e fragile.
L’avvenenza di Oliver è così evidente e reclamata da amici e familiari che il diciassettenne si sente emarginato, imperfetto ed escluso e poco importa se i genitori continuano ad amarlo con la dolcezza di sempre, Oliver è ai suoi occhi un usurpatore, un ingombro.
Nel dolce far niente di interminabili giornate assolate spese tra la piscina e il prato fuori casa, tra un tuffo, una lettura e una talentuosa esibizione al pianoforte, Elio comincia a rispondere al richiamo avvolgente del contesto in cui si trova e intraprende un piccolo ma profondo viaggio verso il desiderio.
Desiderio di corpi femminili (perde la sua verginità con l’amica francese Marzia), desiderio per la bellezza (il ritrovamento di una statua antica che il padre e Oliver prelevano da un fondo marino ci mostra plasticamente la forza del binomio nicciano di Apollo e Dioniso), desiderio di crescita.
Ed è ancora Marcel Proust a consegnarci le parole più giuste per delineare il sentimento che pervade l’animo di Elio, calato com’è, in un’armoniosa sensazione di bellezza e incanto, spinto da naturali impulsi giovanili, veicolati da un’insaziabile ricerca delle novità:
(…) quando desidero una donna non desidero solo una donna, ma desidero anche un paesaggio che è contenuto in quella donna, un paesaggio che forse neanche conosco, ma che intuisco e finché non ho sviluppato questo paesaggio non sarò contento, cioè il mio desiderio non sarà compiuto, resterà insoddisfatto.
Anche se il desiderio di Elio non è ancora indirizzato verso qualcuno in particolare, egli desidera e in questa sua spinta vitale e inarrestabile, ciò che lo circonda lo protegge e lo sfida.
L’esempio proustiano che ho preso dalle parole del filosofo francese Gilles Deleuze (cfr. L’abécédaire, programma tv andato in onda nel 1996, otto anni dopo la sua registrazione) descrive perfettamente il sottile lavorìo che Guadagnino compie nella costruzione dell’identità e della consapevolezza del giovane Elio.
Quando finalmente il ragazzo comprende che il solo corpo che desidera è quello di Oliver, nonostante la primitiva diffidenza, raccoglie tutto il suo coraggio e si butta sull’oggetto dei suoi sogni, confessando la sua passione acerba ed innocente, come mai prima era riuscito a fare.
Quello che pensavamo essere un giovane forte e coraggioso si dimostra adesso fragile ed insicuro perché Oliver, che reprime la sua omosessualità dietro ad un apparente virilità, è invece un giovane uomo schiacciato dalle convenzioni e da una famiglia che ripudia la sua scelta sessuale, relegandolo al ruolo di tombeur des femmes, in procinto di sposarsi con una coetanea appena rientrato a casa.
La felice riuscita del film sta proprio e in larga misura, nel pedinamento emotivo che i due ragazzi subiscono per respingere ed accogliere i loro impulsi reciproci, nel rispetto di una cornice che ne esalta perfettamente i gesti e i movimenti, donando alla pellicola una serie di sequenze equilibrate per delicatezza e realismo.
Seppur di nascosto da tutti, i due riusciranno finalmente ad amarsi, ma con la fine dell’età dell’innocenza, finirà anche l’estate e con essa la loro relazione.
Con la partenza di Oliver però, il cuore pieno d’amore di Elio subirà un arresto doloroso e repentino e solo il finale, potrà in parte risarcirlo dal dolore provato.
Scopriremo infatti, che sarà solo il padre tanto saggio e amato, (figura calda e aperta, a dispetto della madre affettuosa e distaccata) ad ascoltarne le pene, durante una toccante conversazione privata, in cui il figlio si spoglierà di ogni paura e rivelerà tutta la sua disperazione.
Sorprendentemente la confessione darà modo al genitore di dichiarare al figlio tutta la delusione sofferta lungo una vita apparentemente perfetta, svelandoci un inaspettato epilogo: la bellezza intorno ad Elio, i colori, la musica e l’amore, erano soprattutto nei suoi occhi, nel suo cuore giovane e curioso. La realtà è ben più complessa e ambigua, come sempre.
Guadagnino è stato molto bravo nell’accompagnarci sin qui con discrezione, sentimento, leggerezza e poesia, senza mai cadere nella retorica, senza sbavature o eccessi.
Occorre aggiungere che il suo film è privo di ideologia, non ci sono istanze rivendicative nel suo raccontarci la relazione di due ragazzi, bensì un messaggio che contiene una verità incontroversibile e potente: vivere un amore fino in fondo, sfidare la sorte, rischiare la reputazione è un atto politico rivoluzionario e riguarda tutti: ragazzi e adulti…
[cite]
tysm review
philosophy and social criticism
issn: 2037-0857
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