Democrazia e mercati
di Christian Marazzi
Che la democrazia, un po’ ovunque, non goda di ottima salute è risaputo da tempo, tanto che già una ventina d’anni fa (2003) il politologo Colin Crouch pubblicò un libro dal titolo polemico Postdemocrazia. Secondo Crouch, viviamo in un sistema politico che, pur essendo regolato da istituzioni e norme democratiche, è in realtà pilotato da grandi lobby, come le società multinazionali, i mass media e, sempre più, i social media.
Per questo motivo, l’esercizio delle regole democratiche nella prassi politica viene progressivamente svuotato, trasformando le democrazie riconosciute in regimi di tipo elitario. È all’interno di queste coordinate per così dire postdemocratiche, che i recenti smottamenti borsistici scatenati dallo sciame di milioni di piccoli investitori muniti di smartphone e intenti a punire le élite finanziarie e i loro bracci armati (gli hedge funds), hanno costruito la narrazione secondo cui i mercati finanziari sono stati democratizzati a favore di un capitalismo sempre più inclusivo. Il che è semplicemente
falso: i mercati e la democrazia non sono la stessa cosa, anche se, dall’inizio degli anni ’80, i politici di tutti gli schieramenti hanno preteso di sì, favorendo non poco la finanziarizzazione, con la centralità del valore azionario (shareholder capitalismo) e la svalorizzazione del lavoro a favore dei dividenti distribuiti, con l’aumento della quota di rendita finanziaria nel consumo di beni e servizi a scapito del reddito generato dal lavoro.
A parte il fatto che le piattaforme di trading come Robinhood sono scientemente costruite in modo tale da aspirare denaro dal basso verso l’alto della società, così che “la rivolta populista dei piccoli, in finanza, rischia di rafforzare solo i grandi” (Federico Fubini, “Robinhood, radiografia di un ingranaggio”, in La Regione, 15 febbraio 2021), quello che più colpisce è che per “punire” i grandi investitori il popolo dei piccoli trader abbia scelto, almeno all’inizio del suo assalto alla Bastiglia, GameStop, una catena di negozi di videogame ormai in declino ma con un forte valore simbolico, purtroppo negativo.Tra il 2000 e il 2014 GameStop fu il più grande creatore di posti di lavoro precari degli Stati Uniti, con un esercito di lavoratori part-time pagati meno di $ 8 l’ora e nessun tipo di tutela assicurativa.
La catena di vendita al dettaglio fu definita “la nuova faccia della creazione di posti di lavoro in America” (Jerry Davis, Managed by the Markets. How Finance ReShaped America). Che questa fucina di lavori precari sia stata eletta dai sanculotti come simbolo della loro rivolta
contro il capitalismo predatorio, sembra come minimo un caso di dissociazione cognitiva. No, democrazia e mercati non sono la stessa cosa. La democrazia ha a che fare con la voce, non il trading, ha a che fare con la presa di parola, il conflitto, la faticosa costruzione della rappresentanza dei più deboli. La democrazia è una lotta infinita contro i tentativi di piegarla alle leggi del mercato.