philosophy and social criticism

Dio è il sommo banchiere

Peter Sloterdijk

Intevista di Stefano Vastano

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In God we trust

Il più grande e, in apparenza, affidabile banchiere della storia resta Dio, l’amministratore delegato dell’eternità. E il suo istituto di credito è il Paradiso. Miliardi di fedeli hanno investito nei secoli le speranze in Dio, attendendo il riscatto della vita eterna…”. Parole un pò ciniche di Peter Sloterdijk, sessantenne filosofo tedesco, professore di Estetica alle Università di Karlsruhe e di Vienna, considerato un geniale e controverso maestro del pensiero. “E siccome le agenzie celesti sono fallite, non ci rimane che il capitale, in cui ripongono le speranze 6 miliardi di fedeli consumatori. Il capitalismo”, prosegue il filosofo, “è un progetto di antropologia universale. Al suo interno l’uomo è prima di tutto un essere che desidera. Non in senso materialistico, ma edonistico: dall’ epoca moderna in poi, l’uomo occidentale cerca la felicità tramite il possesso di oggetti e consumo di merci”.

Lei dice che il prodotto di base dell’ epoca moderna è il capitalismo. Ma non le pare che ora, con la scoperta che molti dei valori venduti in Borsa non esistono, se non come pura astrazione e speculazione, questo prodotto mostri tendenze al suicidio?

Per quanto gravi siano gli incidenti sul fronte ecologico o gli intoppi sui mercati finanziari, il capitalismo non è sull’orlo del suicidio. Bisogna essere radicalmente disperati o orgogliosi per suicidarsi: e oggi il capitalismo è forse disorientato, ma mai disperato. Continua anzi a invitare il mondo intero al suo grande party del possesso e del consumo. I poveri ci invidiano.

“In God Trust” è scritto sul dollaro: con le recenti crisi finanziarie il risparmiatore può credere ancora nella bontà divina dei mezzi e sistemi finanziari?

Certo, gli attori, i mezzi e la bontà del sistema finanziario americano sono scossi da una profonda crisi di portata teologica.

Teologica?

C’è una specie di tensione di stampo protestante negli Usa: il fedele risparmiatore si rivolge disperato ai cardinali delle banche e ai vescovi della Borsa. E questi chiedono al presidente Bush di salvare, come se fosse un
novello Lutero, i valori in crisi del sistema finanziario. Questa crisi teologico-monetaria però non è l’eccezione, ma la conferma del sistema capitalistico.

Vuol dire che, come sosteneva Weber, la fede nel capitale è di stampo protestante?

Voglio dire che la fede e credibilità del sistema monetario hanno bisogno di continue rigenerazioni: le bolle speculative nascono e scoppiano ciclicamente, riportando i valori in circolazione a contatto con la
realtà del mondo produttivo. E questa capacità autocorrettiva, al di là di ogni febbre speculativa, induce il capitale a rigenerare in continuazione i suoi valori, e dunque la sua incrollabile fede di fondo. Il credo del sistema
capitalistico è per l’appunto che l’uomo sia ricorso da continui desideri di merci che solo il capitale può riprodurre e soddisfare. Ma per capire tutta l’importanza storica e antropologica dell’edonismo di stile capitalistico basta
immaginare una fede e uno stile di vita opposti.

Come ad esempio la vita monastica e francescana?

Certo, può essere un valido esempio di vita impostata su valori ascetici”.

Dove vuole arrivare?

Il punto è che il capitalismo assomiglia a una religione e un po’ lo è. E solo una ipotetica nuova religione, questa volta una confessione che abbia al suo centro una rinuncia radicale, per lo più annunciata da un profeta molto
carismatico, può svuotare dall’interno la matrice e la dinamica edonistica del capitalismo.

Il mercato offre merci sempre più avariate. E’ questa la felicità?

Il cliente occidentale oscilla fra l’indignazione per la dubbia qualità dei prodotti e la rassegnazione alle offerte del mercato. Leggiamo sui giornali quanto basta per sapere che la Germania è attraversata da un fiume di carne
avariata: ma reagiamo sperando di non scivolarci di persona in quel veleno. Accettiamo l’offerta di oggi sapendo che la sublime “cosa in sè” di cui parlava Kant – il prodotto perfetto – non è per le nostre tasche.

[da L’Espresso, 20 settembre 2007. Si ringrazia la redazione dell’Espresso per l’autorizzazione a riprodurre l’intervista]