philosophy and social criticism

F – Fascismo

Alain Brossat

Ringraziamo la rivista on line Ici et ailleursper averci permesso di tradurre e pubblicare questo interessante articolo del filosofo Alain Brossat. Nel testo, Brossat fornisce alcune importanti chiavi di lettura per interpretare, oltre i vecchi modelli, il nuovo fascismo che oggi “è composto da flussi affettivi carichi di risentimento, di desideri di morte appena mascherati, di aspirazioni incontrollate a oscure vendette, di ricerca di un possibile sfogo alle frustrazioni accumulate”.

Il testo francese si trova al seguente link: clicca qui

La traduzione è di Alessandro Simoncini

Pensare il fascismo oggi presuppone che ci si allontani da un approccio politologico (il fascismo come regime politico iper-violento) o economicista (il fascismo come dittatura del capitale) e che ci si sposti verso altri riferimenti: il fascismo come affetto di un’epoca, pandemia nel presente. Una modalità pandemica dell’“attualità” della quale si tratterebbe di studiare le forme di virulenza, il campo di espansione, i sintomi, le manifestazioni.

Oggi ridurre la questione del fascismo alla sua dimensione istituzionale (i post-neo-fascisti arriveranno a conquistare il potere per via elettorale?) significa ignorarne le caratteristiche essenziali: il fascismo del nostro tempo è ciò che prolifera nel puto di confluenza tra disposizioni collettive, stati affettivi della massa (“la gente”) e calcoli politici che mobilitano due ordini congiunti di motivazioni: legge e ordinepiù “pulizia” e eliminazione degli indesiderabili, i “di troppo”. Si tratta di flussi affettivi carichi di risentimento, di desideri di morte appena mascherati, di aspirazioni incontrollate a oscure vendette, della ricerca di un possibile sfogo alle frustrazioni accumulate: flussi in attesa dell’occasione di cristallizzarsi in forma di passaggio all’atto, in dispositivi di potere o in capacità di nuocere. John Berger lo dice bene: il fascismo oggi è “ciò che fa di quelli che tentano di sopravvivere [i migranti] dei colpevoli”, è quello che si cristallizza nella forma di questo “noi” abietto dei quali i politici usano e abusano e ai quali è vitale opporre un fermo “loro, non noi”.

Riflettere e lavorare sul fascismo nel tempo presente significa identificare queste linee di morte che striano la nostra attualità e la sfigurano. I desideri di morte sono sempre secondari: prosperano là dove le aspirazioni, le promesse e le speranze vitali sono state non soltanto tradite e deluse, ma anche deliberatamente saccheggiate dai governanti e, più in generale, da quelli che fissano le regole del gioco. I flussi di affetti negativi e i desideri di morte si affollano ai cancelli del presente, là dove i flussi vitali sono finiti in frantumi contro le pareti di vetro, il vetro blindato del “reale” – inteso come quel dispositivo generale di governo dei viventi la cui regola principale è l’intralcio, l’impedimento, la riduzione del campo dei possibili della “vita” delle genti: il “governo” inteso non solo come “dominio”, ma anche come messa sotto sequestro delle potenze vitali; il governo che punta proprio a dissociare le genti dal loro desiderio vitale, per riorientare le loro energie verso la vendetta.

Il fascismo oggi può essere visto come una macchina di cattura degli affetti e di riorientamento delle soggettività. Non è “la disoccupazione” che, meccanicamente, getta gli operai disoccupati nelle braccia dei post-neo-fascisti: in altre circostanze o con premesse diverse da quelle che oggi si impongono, la fine del pieno impiego e la smobilitazione parziale della forza lavoro potrebbero benissimo essere accolte come una lieta notizia: chi non ha mai sognato una massiccia riduzione delle ore passate in fabbrica, in ufficio, in classe, ecc. ? Quello che oggi alimenta le pulsioni fasciste è piuttosto la produzione concertata di una economia soggettiva della frustrazione, della colpevolezza, dell’odio concorrenziale, su uno sfondo di smobilitazione parziale della forza lavoro. Qui, è a ben vedere in gioco il ri-concatenamento della soggettività delle masse nell’intento di piazzarle sotto questo regime dell’autorità, concepita come ciò che presiede ad epurazioni ritenute salutari. L’aspirazione autoritaria e le pulsioni (o passioni elementari) vendicative sono qui inseparabili: è questo il suolo del fascismo molecolare contemporaneo.

Se restiamo prigionieri dei “modelli” del XX secolo, vediamo il fascismo come una concrezione, una « palla » di potenza e di violenza compatta, una macchina di mobilitazione totale della massa in vista della guerra. Lo vediamo, al potere, come dittatura e quindi come il contrario della “democrazia”: non sono forse “le democrazie” occidentali ad esserne state le prime vittime e ad essersi coalizzate contro di lui, alleate all’URSS, per liquefarlo ? Dunque, come pensare un’attualità del fascismo al tempo della democrazia globale, in modo tale da sfuggire a questo “o” (la democrazia) “o” (il fascismo) codificato dalla storia apocalittica del XX secolo? È precisamente questa la sfida intellettuale, teorica, immaginativa che oggi dobbiamo raccogliere: pensare i concatenamenti, le compatibilità e la complementarietà della democrazia di mercato – intesa come sistema globale di “governamentalizzazione” delle popolazioni – e di questo fascismo di flusso la cui proliferazione sfregia la nostra attualità.

Ciò che dobbiamo arrivare a concepire è l’articolazione dell’elemento risolutamente arcaicoche sostiene ogni specie di fascismo (il desiderio di regressione, il lato pipi-caca che accompagna ogni soggettività fascista) con i tratti di un’ipermodernità compiuta – come tutto ciò che si ricollega all’ingresso della politica parlamentare nella sua età “terminale”. Si tratta in fondo della figura di una democrazia autoritaria totalmente infettata, contaminata nel contesto generale della pandemia fascista. È proprio qui che si percepisce la completa infermità mentale di una posizione che consiste nell’immaginare un Macron come “diga contro il fascismo”: appena insediato, costui inizia a “costituzionalizzare” lo stato di eccezione, a renderlo permanente – ed è la figura più esemplare possibile del continuumtra democrazia autoritaria e fascismo molecolare.

Quello che del fascismo novecentesco questo fascismo odierno “conserva” è la combinazione oscura del desiderio della “bella morte” e di confraternite immonde – che non è solo una passione distruttiva ma anche auto-distruttiva (il côté“suicidario” del fascismo della massa) – e della passione per l’autorità: in breve, il desiderio della sferza.

In altri termini, niente fascismo senza “fascistizzazione”, cioè senza circolazione tra una “domanda” e un’“offerta”, senza interazione tra “la gente”, un campo sociale, le élitese gli apparati politici. Il fascismo non è mai un processo a senso unico: è fatto di scambi permanenti, di sinergie tra persone “in sofferenza” e istigatori  il cui (sporco) lavoro è quello di mettere in musica e in (cattive) parole gli oscuri desideri delle masse.

Si tratta sempre di processi dinamici. È in questo senso che si può parlare del “fascismo che viene”, come della “guerra che viene”, mentre si accumulano vere e proprie bombe a orologeria in Asia orientale o in Medio Oriente. Ma questa “promessa” non è di per sé debito: infatti la cristallizzazione di ciò che circola nel presente non è mai anticipabile.

Ciò che di meglio si può fare nel nostro tempo è quindi cogliere i sintomi, i motivi, le manifestazioni palesi o surrettizie di queste dinamiche che potrebbero catalizzare la nascita di un fascismo durevole. Questi sintomi sono innumerevoli, sono fatti di enunciati, condotte, abusi, atti mancati, ossessioni, sbruffonate, ecc. Sono i frammenti in vetro di un caleidoscopio che chiedono solo di essere assemblati. Non si finirebbe mai di passarli in rassegna.

Mi accontenterò di elencarne qualcuno tra quelli che mi sembrano, oggi, più esemplari – se così si può dire. Si tratta di un tableau necessariamente eterogeneo, perché allo stadio attuale abbiamo a che fare con un campo di dispersione, i cui “pezzi” – pezzi che aspirano a comporre il quadro di un fascismo contemporaneo – restano ancora sparsi.

 

  • “Conserveremo il tuo indirizzo, così sapremo dove trovarti”, dice uno sbirro alla giovane donna presa in custodia e fermata a causa della sua detestabile abitudine di filmare gli interventi della polizia. Questa minaccia aperta, certa della sua impunità, non è né più né meno che il subliminaledegli squadroni della morte. Il fascismo si cristallizza nel momento in cui una parte dei corpi repressivi dello Stato si sente in diritto di amministrare la “giustizia” mentre i giudici vengono considerati troppo lenti in virtù dei loro scrupoli legalisti e delle loro lentezze procedurali. Si sa bene che chi fa questo genere di promesse muore dalla voglia di passare all’atto. Quando i poliziotti locali iniziano a somigliare ai “drughi” di Alex in Arancia meccanica, con tanto di uniforme, e i loro capi all’ufficiale cocainomane de Il cattivo tenentedi Abel Ferrara, significa che siamo sull’orlo del precipizio.
  • Si diffonde la nostalgia del militare, degli inni, della gioventù che marcia al passo e obbedisce in tutto e per tutto. Questa destra d’ordine sogna a voce alta di studenti in uniforme, di alzabandiera quotidiano negli istituti scolastici, di reintroduzione della leva obbligatoria, ecc: è la messa al lavoro del vecchio inconscio petainista nella sua incrollabile progenie. Come sintetizza il cineasta algerino Tariq Teguia: “questo petainismo avrà le sue affiches rouges[1].
  • Ci sono poi queste “alzate di mento” mussoliniane, questi imperativi “Io voglio !”, queste mascelle volitive, queste prepotenze e questi modi da pretoriano, alla Sarkozy, alla Vals, suo emulo – tutto ciò mostra bene come questa tentazione del “trionfo della volontà” e del cesarismo attraversi tutti gli apparati della politica istituzionale. Il calcolo di questi specialisti delle maniere forti è trasparente: ciò a cui, in questi tempi di crisi, aspira la massa è un capo, uno vero, dal pugno di ferro! Tutto l’immaginario fascio-repubblicano di questi piccoli maestri della democrazia da caserma sta allo Stato contemporaneo come i fascio-musulmani dei film di Clint Eastwood stanno al cinema statunitense.
  • C’è poi questo “che crepino!” sempre meno dissimulato, questo desiderio di scomparsa dei migranti che equivale a un desiderio di morte e che sta alla base della relazione con loro per un numero crescente di persone di questo paese, dai vertici dello Stato fino ai banconi dei bar delle zone rurali. Da questo punto di vista, la battuta di Macron sui kwassa-kwassa è esemplare: il comoriano non è che carne umana indesiderata e destinata a nutrire i pesci …[2]. Il lapsus dell’omuncolo dell’Eliseo non è che l’eco della sua politica. Nell’ex giungla di Calais, sempre più ripopolata di aspiranti al passaggio in Inghilterra, la polizia si attiva per proibir loro l’accesso ai rubinetti d’acqua e ai pasti distribuiti dalle associazioni: che crepino ! Il fascismo è anche questo: è l’evidenza sempre più condivisa secondo cui la scomparsa di una parte indesiderabile della popolazione sarebbe una condizione vitaleper l’altra sua parte. Così la “frattura biopolitica”che attraversa la società si inscrive sotto il segno del terribile, del terrore.
  • Come c’è un fascismo anti-immigrati, esiste anche un fascismo anti-animale (l’animale libero, il selvaggio: il lupo). Una compulsione sterminista si è impadronita di popolazioni intere, là dove prospera la fantasmagoria del lupo che divora le greggi: un immaginario promosso dal personale di Stato – “i nostri bambini non ci dormono più!” ha sentenziato un giorno Ségolène Royal sempre a proposito del lupo[3].È ovviamente più facile incitare alla morte del lupo che riformare le pratiche industrial-concentrazionarie di messa a morte degli animali da macello. Il nemico della pecora, per inciso, non è il lupo, è il tizio che la alleva per poi abbatterla.

La struttura di questo fascismo è l’odio del presente: l’odio di sé e degli altri in questo presente. È l’incapacità crescente a immaginare uno o altri presenti possibili, e se stessi (con gli altri) fuori da questo presente deleterio: è l’incapacità crescente ad astrarsi da sé e da questa condizione presente; a differire e a creare il nuovo. Come direbbe Deleuze, questa reclusione in un presente che vive all’insegna della stupidità e della cattiveria è una fabbrica di “dannati”. Il fascismo è la punizione che i dannati del presente infliggono a se stessi.

Note

[1]Nel novembre del ’43, dopo l’arresto di alcuni membri del gruppo partigiano Manouchian e dello stesso Manouchian, gli occupanti nazisti e i collaborazionisti di Vichy fecero affiggere 15.000 manifesti di colore rosso (l’Affiche Rouge) su cui campeggiavano i nomi e le fotografie di dieci partigiani stranieri ed ebrei e degli attentati che gli erano stati attribuiti. Quei partigiani erano rappresentati come criminali e terroristi assetati di sangu. Lo slogan riportato sui manifesti era: Liberatori? La Liberazione dell’esercito del crimine!(ndt).

[2]Brossat si riferisce alla gaffe con cui il primo giugno 2017, durante una visita ufficiale in Gran Bretagna, Macron ha pronunciato battute offensive verso i migranti africani delle Isole Comore. «Il kwassa-kwassa pesca poco! Porta i comoriani» ha detto Macron. I Kwassa-kwassa, simbolo della tragedia nazionale delle Isole Comore, sono le imbarcazioni di fortuna utilizzate dagli immigrati per giungere sulle coste dell’isola di Mayotte, ancora oggi colonia francese africana con statuto di Dipartimento d’Oltremare. Un rapporto del Senato francese stima che dal 1995 al 2012 almeno diecimila comoriani siano morti durante l’attraversata per raggiungere il Dipartimento francese in Africa (ndt).

[3]Brosnan si riferisce alla decisione con cui l’allora ministra francese dell’ecologia Ségolène Royal aumentò la soglia massima di lupi da abbattere tra il 2015 e il 2016 (ndt).

 

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