philosophy and social criticism

I sogni curiosi di Paolo Albani

Francesco Paolella

Come pochi altri scrittori italiani, Paolo Albani è davvero efficace sulla breve distanza. I suoi libri, come questi suoi due ultimi (I sogni di un digiunatore e Bibliofilia curiosa) sono raccolte di racconti o di discorsi attorno a una idea o a un tema, e finiscono sempre per assomigliare molto a enciclopedie astruse o, magari, a veri dizionari romanzati. Molti ricorderanno i suoi lavori sui mattoidi italiani, sulle lingue immaginarie o sugli istituti anomali nel mondo: Albani è, in questo senso, un collezionatore inesauribile di stranezze vere o verosimili, di “casi umani” ed eccentricità.

Nei racconti contenuti in I sogni di un digiunatore, ci troviamo davanti (o meglio: sempre nei panni di) tipi complicati, esagerati e troppo rigidi: di solito, sono dei solitari, uomini che devono per qualche ragione scontrarsi con il mondo (vicini rumorosi, familiari votati al veganismo…) e che, per difendersi, sono costretti a inventare qualche idea originale o proprio assurda. Albani si fa il paladino di narcisi incompresi e maltrattati, di uomini che subiscono questo nostro mondo ormai totalmente alienato (perché digitalizzato) e tentano di sopravvivervi escogitando qualcosa.

Sarà forse un’impressione, ma i personaggi creati da Albani, oltre ad avere in generale un’alta considerazione di sé e delle proprie opinioni, sono spesso degli attaccabrighe, sono insomma uomini col vocazione al litigio, anche se spinti soltanto dal bisogno di manifestarsi e imporsi in qualche modo. E come forse in nessun altro campo, quello della “cultura”, dei libri e degli scrittori è congeniale per descrivere il narcisismo di massa, in cui viviamo immersi; per rappresentare quel miscuglio di ambizioni e impotenza, che trasforma tanti uomini comuni in (sedicenti) scrittori di talento.

Diversi racconti de I sogni di un digiunatore e tutti i saggi contenuti in Bibliofilia curiosa, sono appunto dedicati a un tema molto caro ad Albani: ai libri – ai libri contenuti e catalogati in biblioteche immaginarie, oppure alle istruzioni (anzi: sono vere ricette) necessarie per diventare bibliofagi e così via. E ci sono poi pagine molto divertenti sugli scrittori in erba, su chi vorrebbe arrivare a vedere, magari nonostante le proprie capacità, pubblicato qualcosa col proprio nome in cima. Così, una volta Albani propone – soluzione surreale ma non troppo – di accordare i benefici della legge Bacchelli anche ai giovani letterati squattrinati; un’altra volta, immagina la cerimonia di inaugurazione di un monumento allo Scrittore ignoto, a chi, cioè, non poté mai pubblicare qualcosa in vita.

I sogni degli scrittori, persone quasi sempre frustrate e deluse, si trasformano facilmente in sogni di vendetta e rivalsa contro l’accademia e di scherno contro l’empireo dei grandi, degli autori da bestseller. Ecco allora Albani che scrive una lettera per rifiutare preventivamente il premio Nobel per la letteratura (senza dimenticare di paragonarsi a Sartre, ovviamente), oppure eccolo che fa inventare a uno dei suoi personaggi un sistema infernale di contrappasso per grandi scrittori del passato. Con Albani entriamo poi nel mondo della bibliofilia più spinta: dalle sue pagine emerge un verso amore sensuale, anzi un vero feticismo per i libri, intesi anzitutto nella loro corporeità. Albani racconta in pagine bellissime delle diverse forme e sui diversi usi che i libri possono assumere (i libri-giocattoli, i libri-oggetto, i libri monocromatici, i libri combinatori…), inserendosi così in una lunga, gloriosa storia di scrittori bibliofili (da Borges in giù).

Allo stesso tempo, però, secondo Albani, i libri esistono soprattutto, verrebbe da dire, quando non esistono ancora: quando sono solo abbozzi, quando nuotano senza forma nella mente del loro potenziale autore, e anche quando rimangono semmai semplici spunti mai portati alla luce. Il mondo dei libri potenziali, dei libri abortiti, vive in parallelo con quello dei libri “in carne ed ossa”: forse, il caso dei “libri vergini”, quelli rimasti cioè intonsi e invenduti, mai recensiti né segnalati, rappresenta il punto di contatto fra quei due mondi; e rappresenta, senza dubbio, l’incubo assoluto di ogni scrittore, quello sempre temuto e che soltanto altra scrittura può esorcizzare.

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