philosophy and social criticism

Il rompicapo dell’inflazione

Christian Marazzi

È ancora possibile prevedere come evolverà l’inflazione? Sembrerebbe di no, almeno sulla base degli assunti utilizzati negli ultimi decenni dalle banche centrali di tutto il mondo, che sono due: in primo luogo, l’indice dei prezzi al consumo aumenta quando la banca centrale espande la sua base monetaria; in secondo luogo, l’inflazione riprende a salire quando l’economia cresce abbastanza da far calare la disoccupazione (la cosiddetta curva di Phillips). Secondo questi due assunti, in questo periodo l’inflazione dovrebbe aumentare. E invece no. Di fatto, le principali banche centrali, come la Fed o anche la nostra banca nazionale, hanno seguito una politica monetaria fortemente espansiva a partire dal 2009, e la disoccupazione è indubbiamente diminuita con la ripresa economica.

Ma di rialzo dei prezzi, neanche l’ombra. L’unica vera inflazione la si ritrova sui mercati borsistici, ed è qui che le autorità monetarie dovrebbero veramente concentrare la loro attenzione. E invece continuano a giustificare le loro politiche monetarie espansive a partire dall’economia reale la quale, una volta ben avviata sul sentiero della crescita, dovrebbe portare il tasso d’inflazione al 2% e magari oltre.

Le ragioni alla base di questo rompicapo (di un’inflazione che non decolla) e della fallacia dei modelli utilizzati dalle banche centrali sono strutturali. Già nel 1996, Roger Bootle scrisse un libro che avrebbe dovuto aprire gli occhi agli esperti monetari.

Il titolo era: La fine dell’inflazione. A tutt’oggi la si può considerare una delle opere più profetiche degli ultimi decenni. Quali erano, e continuano ad essere, le cause di fondo che ci hanno fatti entrare in un’era di bassa inflazione? Secondo Bootle, ci sono due “poteri” che condizionano i prezzi: il potere dei produttori nel fissare i prezzi stessi e il potere dei lavoratori nel fissare i salari. Entrambi questi poteri sono, da una ventina d’anni a questa parte, fortemente erosi, e questo a causa degli effetti della globalizzazione e delle nuove tecnologie. Non solo la globalizzazione ha raddoppiato la forza lavoro di mercato a basso costo con l’entrata in scena della Cina, dell’India e della Russia. Ma le nuove tecnologie tanto permettono di ridurre l’uso della forza lavoro e altrettanto riducono la forza contrattuale dei sindacati.

A queste due cause strutturali all’origine della bassa inflazione andrebbe aggiunto un altro fattore più recente: la digitalizzazione dell’economia. Da una parte, nell’economia digitalizzata i cambiamenti qualitativi dei prodotti, ad esempio la potenza computazionale, aumentano l’offerta di servizi a parità di prezzo; dall’altra, esiste un settore, fortemente in espansione, di transazioni non-monetarie del tipo “ti offro gratuitamente una app in cambio dei tuoi dati personali”. La statistica ufficiale non riesce a catturare questi cambiamenti (strutturali), con la conseguenza che tutta una serie di segnali relativi ai prezzi sfuggono completamente. Con buona pace dei modelli delle banche centrali e delle politiche monetarie destinate a restare espansive, a tutto vantaggio della finanza. Finché tiene.

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