philosophy and social criticism

Jacques Lacan, Seminario X

Massimo Recalcati

Dedicato al tema classico e pungente dell’angoscia, il Seminario X è indubbiamente uno tra i più riusciti e tra i più sorprendenti di Lacan. La prima grande sorpresa, la più evidente e per certi versi sconcertante, è quella che ci obbliga a correggere un ritratto approssimativo ed erroneo dello psicoanalista francese, quello che lo vede proporre una concezione dell’uomo nella quale viene soppresso ogni riferimento alla dimensione dell’affettività, della corporeità e della pulsione, riducendo la realtà umana a un puro effetto dell’azione del linguaggio (come se, tra l’altro, questa stessa azione nulla avesse a che vedere con il piano del corpo). Ebbene nessun Seminario come questo demolisce la vulgata di un Lacan aereo, astruso, idealista della struttura, disinteressato alla vita e alla sua contingenza singolare, presentandoci piuttosto un Lacan che – ben prima di Deleuze e Guattari, ma anche di Foucault – è interessato a come la dimensione particolare del corpo pulsionale si riveli eterogenea e irriducibile a quella universale del significante.

Lontano dalla fenomenologia

Il corpo pulsionale sale sulla scena come protagonista, poiché per Lacan l’angoscia è innanzitutto un fenomeno del corpo, un affetto che investe e scuote il corpo vivente, ritratto nei dettagli della sua organizzazione anatomico-biologica, mentre mostra la sua vitalità, le sue pulsazioni interne, le sue differenti localizzazioni libidiche. È una raffigurazione del corpo vivente che reagisce criticamente all’idea strutturalista del soggetto come puro significato, determinato dalla catena significante. Resteranno sbalorditi i detrattori di Lacan, coloro che vorrebbero confinare la sua opera a un capitolo, magari minore, dello strutturalismo. Il lettore potrà, infatti, seguire l’affascinante itinerario che in questo Seminario porta a costeggiare i bordi del corpo pulsionale, i suoi orifizi intorno ai quali prendono forma e intensità erogena i suoi oggetti – orale, anale, fallico, scopico, vocale – portando la nozione di soggetto a acquisire uno spessore materiale, sconosciuto agli scritti precedenti dello stesso Lacan. Ma il corpo di cui egli ci parla non è quello di cui parla la fenomenologia di Husserl e di Merleau-Ponty.

Oltre l’immagine narcisistica

Qui non si tratta di rompere lo schema metafisico che separa rigidamente l’anima dal corpo mostrando come questa separazione non sia in grado di affrontare degnamente il problema del corpo vivente, perché non si dà intenzionalità se non incarnata in un corpo e, a sua volta, ogni corpo è sempre animato da una intenzionalità. La fenomenologia vede nel dualismo anima-corpo la vera minaccia indirizzata a una fondazione radicale dell’antropologia; ma non è questo ciò che più interessa Lacan. Non è questione di ricomporre il dualismo metafisico anima-corpo nell’unità del corpo vissuto, bensì di cogliere come il corpo libidico sia un corpo sovrapposto e, al tempo stesso, disgiunto da quello biologico-anatomico.
Il corpo erogeno implica infatti la persistenza di un resto di godimento che si oppone al governo dell’intenzionalità e che risponde alle leggi dell’inconscio. Inoltre, il corpo protagonista di questo Seminario non è nemmeno più riducibile a quel corpo-immagine di cui Lacan ha ipotizzato l’esistenza nella sua celebre teoria dello stadio dello specchio. Mentre quel corpo, il corpo-immagine, appariva allo specchio come un ideale narcisistico che aveva il compito di imbalsamare l’esistenza in un’unità immaginaria, offrendole una «buona forma», il corpo di cui parla ora Lacan è un corpo vivente, eccedente l’immagine narcisistica, ovvero impossibile da confinare nell’ambito ideale della bella immagine.

Questo corpo, di cui l’angoscia ci rivela l’esistenza, è un corpo costitutivamente eccessivo, che non si limita a riconquistare le regioni dell’anima – come accade nella fenomenologia – ma che si afferma come volontà di godimento, come corpo libidico che esige il suo soddisfacimento al di là del principio di piacere.

La cifra ultima dell’uomo

L’angoscia sarebbe innanzitutto l’affetto che ci rivela la presenza di questo eccesso, di questo corpo libidico-pulsionale, irriducibile tanto al campo narcisistico dell’immagine, quanto a quello fenomenologico del corpo vissuto. In questo senso gli sviluppi storicamente più radicali della fenomenologia, come quelli rappresentati da Heidegger e da Sartre, non casualmente vengono evocati da Lacan come riferimenti a maestri che hanno aperto la riflessione sul problema dell’angoscia.

Le analisi di Heidegger e di Sartre, così come quelle di Kierkegaard, hanno il merito, secondo Lacan, di accostare l’angoscia come un affetto diverso dagli altri, al quale viene riconosciuto un primato, un valore d’eccezione in quanto viene considerato un affetto in grado di fare emergere l’essere dell’esistenza umana. Solo che per Heidegger, per Sartre e per Kierkegaard l’angoscia è un affetto basilare in quanto rivela il carattere infondato della nostra esistenza e la sua radicale libertà, mentre per Lacan l’affetto dell’angoscia rivela il carattere pulsionale del nostro corpo, il reale del suo godimento. Da questo punto di vista il Seminario X si mantiene decisamente all’interno di quella svolta teorica che si consuma con il Seminario VII dedicato all’Etica della psicoanalisi, con il quale Lacan lasciava alle sue spalle il continente dell’ordine simbolico per accostare quello più scabroso e abissale del godimento rovinoso della pulsione di morte. In quel Seminario il godimento appariva, infatti, ai bordi del desiderio come indice di una spinta alla morte che non risponde al programma della Civiltà e all’azione simbolica del linguaggio. Ora, nel Seminario X è l’affetto dell’angoscia a dare la cifra ultima dell’essere umano al di là di ogni sua rappresentazione ideale, a consentire, come si esprime Lacan, «una presa esatta sul reale» del corpo pulsionale.

La seconda grande sorpresa riguarda il rapporto con Freud. In questo Seminario, infatti, il ritorno a Freud che aveva animato il debutto dell’insegnamento di Lacan nel corso degli anni Cinquanta sembra cedere il passo a un suo attraversamento critico. Lacan si presenta qui meno freudiano, introducendo sul tema specifico dell’angoscia una nuova prospettiva di lettura rispetto a quella praticata e proposta dal padre della psicoanalisi. Questo per due movimenti teorici fondamentali: il primo consiste nell’emancipare l’esperienza dell’angoscia da quella della perdita, dunque dallo sganciare l’affetto dell’angoscia dal riferimento alla castrazione. Per Freud, infatti, l’angoscia è fondamentalmente sempre angoscia di castrazione. Essa trova il suo prototipo originario nell’evento traumatico della nascita come rottura primordiale dell’unità intrauterina e si ripercuote in tutti quei tornanti della vita che coinvolgono fortemente il distacco e la perdita di un oggetto amato: lo svezzamento, l’educazione sfinteriale, l’interdizione edipica. In questa prospettiva l’angoscia, com’era in fondo per Heidegger, per Sartre e per Kierkegaard, rivela la dimensione della mancanza come dimensione costituente della realtà umana. Ma, Lacan ci mostra come l’angoscia non sorga affatto dalla mancanza, dalla perdita, dalla castrazione, dalla separazione, quanto, al contrario – per usare una formula cardine dell’intero Seminario X – dalla «mancanza della mancanza», da un non accesso alla separazione. Più semplicemente: se per Freud è lo svezzamento a introdurre il sentimento di angoscia in quanto segnala la perdita dell’oggetto-seno, per Lacan l’angoscia si produce piuttosto per una prossimità eccessiva con l’oggetto-seno, dunque per un difetto di svezzamento, per una mancanza di separazione simbolica. Grande e straordinaria è dunque l’attualità di Lacan.

Prossimità alla nostra epoca

Ad angosciare non è il confronto con il nulla, con la libertà o, più freudianamente, con l’interdetto presentificato dalla castrazione, bensì il confronto del soggetto con l’assenza del divieto, con il troppo pieno del godimento, con la mancanza della esperienza della mancanza. Non si tratta forse di una concezione dell’angoscia più vicina alla nostra epoca? Più consona ai nostri tempi che sono tempi nei quali ciò che è in rilievo non è più il potere repressivo della Legge ma la difficoltà a renderla operante, a causa della diffusione senza regole di un godimento a portata di consumo immediato?
Il secondo movimento teorico intorno alla definizione freudiana dell’angoscia consiste nel correggere l’ipotesi – condivisa anche da Heidegger e da Sartre – che l’angoscia, diversamente dalla paura che è sempre una reazione di fronte a qualcosa di riconoscibile come minaccioso, sia priva di oggetto. Questo secondo movimento comporta a sua volta una ridefinizione della celebre tesi che da Kojève risale a Hegel, ossia del desiderio come desiderio dell’Altro. In una prima versione questa tesi metteva in luce il carattere antropogenico del desiderio umano il quale non si soddisfa attraverso il consumo dell’oggetto, ma è innanzitutto «desiderio di riconoscimento», gratificabile solo nella mediazione di un altro: solo, appunto, nel riconoscimento del desiderio da parte dell’Altro. Nel Seminario X invece, il desiderio come desiderio dell’Altro assume una venatura diversa e decisamente più enigmatica. Il punto centrale non è più che il desiderio del soggetto si diriga verso l’Altro in cerca di riconoscimento, ma proprio che nell’Altro, nel luogo dell’Altro, abita sempre, per ciascuno di noi, un desiderio enigmatico, che ci ha presupposto come suoi oggetti. È questo il significato dell’inquietante figura della Mantide religiosa che apre emblematicamente il Seminario e che bene si presta a incarnare questa svolta di Lacan intorno al desiderio.

La Mantide religiosa è quell’insetto che nel corso dell’accoppiamento sessuale divora, al colmo del suo piacere, il proprio partner. Questa figura diventa per Lacan il paradigma di una versione angosciante del desiderio, e per farsi meglio intendere ci invita a un esperimento mentale.

Sulla natura del desiderio

Immaginiamoci in una situazione nella quale incontriamo una Mantide e immaginiamo di avere una maschera, di cui non conosciamo la natura, che ricopra il nostro volto. E supponiamo anche che la maschera da noi indossata possa essere quella del Mantide, destinato a diventare il partner sacrificale del godimento terrificante della Mantide. Ebbene questo interrogativo spalanca il sorgere dell’angoscia. E se proprio io avessi la maschera del Mantide destinato a diventare la vittima del godimento atroce della Mantide religiosa?

L’angoscia, dunque, sorge dal sentimento della nostra riduzione ad essere oggetto del godimento dell’Altro, della sua ferocia di Mantide religiosa. Mi angoscio quando smarrisco il mio statuto di soggetto e quando mi ritrovo soffocato dal desiderio dell’Altro.

Il filo conduttore della riflessione di Lacan è l’idea che nell’angoscia l’essere umano è confrontato con qualcosa che il potere del linguaggio non può padroneggiare. Si tratta di un resto, di un frammento di reale che sfugge sia all’immagine sia al significante e che ha a che fare con il godimento inossidabile della pulsione. Nella sua algebra Lacan lo nomina come «oggetto piccolo (a)», oggetto che definisce ciò che buca ogni idea della persona umana come totalità. Dalla persistenza di questo residuo si può trarre una lezione essenziale circa la natura del desiderio umano.

Una calamita enigmatica

Se la psicoanalisi può convenire, sempre secondo Lacan, con la grande saggezza buddhista nel ritenere che gli oggetti del desiderio siano tutti eugualmente vuoti, destinati a permutazioni continue, inconsistenti, esiste però un oggetto che non risponde a questa logica metonimica e che si profila come ciò che causa il desiderio.

Ebbene l’angoscia ci consente di incontrare questo oggetto che causa il desiderio, e dunque non è reperibile nella serie delle chimere immaginarie capaci di catturare il desiderio; ma che funziona, piuttosto, come una calamita enigmatica in grado di causare e orientare fantasmaticamente la direzione stessa del desiderio.

[da il manifesto, 12 aprile 2007]