philosophy and social criticism

L’ABICÍ

Dario Borso

Il factotum di “Alfabeta2”, Andrea Cortellessa, mesi fa mi aveva invitato a collaborare stabilmente con la rivista, ed io, che da piccino compravo, leggevo e ammiravo l’“Alfabeta”-madre, accettai onorato. Così a maggio uscì un mio articolo su Croce, dopodiché, forse seguendo una mia distorta mentalità continuistica, proposi un inedito di Massimo Ferretti (segnalatomi dal fratello Maurizio, lo potete leggere nell’articolo “Il giovane Ferretti”), ch’era stato sodale nel Gruppo 63 di Nanni Balestrini e Antonio Porta, ossia dei padri fondatori di “Alfabeta”. Addirittura, confidavo amichevolmente a Cortellessa, Balestrini fu testimone di nozze di Ferretti (l’altro, ma non lo dissi, fu Renato Pedio, pure valente sessantatreino).

Bene, l’affaire Ferretti dura lo spazio di un mesetto, giugno, e si consuma tutto via e-mail. Riporto brani delle mie lettere, e riassumo quelle del mio corrispondente. La prima fa: “La poesia di Ferretti è di 3.000 battute. Va a toccare un nervo coperto, l’omosessualità di Pasolini. Ecco l’incipit: ‘Oh, cosa darei per uno specchio gigante: / che quando uno piange si vede che ride / e quando uno ride si vede che piange!’”.

Cortellessa, colpito dalla faccenda del testimone (ci tornerà su spesso), risponde che gli sembra interessante ma deve chiedere a Balestrini, al quale vorrebbe mostrare la poesia intera.

Acconsento volentieri, premettendo: “Questa Canzone del filisteo (marzo ’57) sta come tertium tra la Polemica in versi di PPP (novembre ’56) e Al di là della speranza di Fortini (gennaio ’57). Quest’ultimo ricostruirà la vicenda in Attraverso Pasolini (1993), ma senza tertium. Direi così: ci vuol coraggio a pubblicarla, e ci vuol coraggio a non pubblicarla”.

Passano due settimane, sollecito (“tutto pensavo, fuorché ci fosse un terzo aut: non rispondere!”), finché risposta arriva, il 27: Cortellessa aveva dato la poesia a Balestrini una settimana prima, senza ancora ottenere riscontri.

Propongo allora di attendere un’altra settimana, e sciaguratamente aggiungo: “Tieni conto che non solo Balestrini fu il testimone di nozze d Ferretti, ma il più grande amico di Ferretti fu Antonio Porta (cfr. il carteggio loro in M. Ferretti, Lettere a Pier Paolo Pasolini e altri inediti, a cura di M. Raffaeli, Chiaravalle 1986): Porta e Balestrini, le due colonne di ‘Alfabeta’. Perciò riformulo l’aut-aut: o pubblicate questo Ferretti inedito, o cambiate nome alla rivista (tipo ‘Gammadelta’)”.

Cortellessa replica chiaro: spesso in Italia succede che si pubblichino cose giusto perché scritte da amici, ma “Alfabeta2” vuole star fuori da questo tipo di piaceri.

Rispondo: “Suvvia, i piaceri si fanno ai vivi, mica ai morti! I morti sono monumenti, e in quanto tali vanno salvaguardati, specie se stanno alla base dell’opera nostra. O credi che Porta e Ferretti si scrivessero di bunga-bunga? Giusto per rispolverare: PPP presentò nel giugno 1957 su ‘Officina’ una piccola Antologia di neo-sperimentali di 3 autori 3 (giovanissimi): Cesarani, Sanguineti, Ferretti – a chi bisognerebbe farlo dunque il piacere?”.

Non ho più ottenuto risposta. Ora perciò mi tolgo il sassolino – ma a stento lo farei, se nella scarpa non ne avessi altri due, di ben altro valore.

Il primo è una lettera inedita di Edoardo Sanguineti a Porta del 30 aprile 1964 (ne riproduco solo pochi passaggi col beneplacito di Rosemary Liedl): “Ferretti è in evoluzione: da ‘Officina’ verso l’avanguardia; ho nuovi inediti suoi, sempre più audaci. […] Se vuoi scrivergli la tua simpatia, ne sarà certo lieto […]. Come individuo mi piace, e mi pare molto leale, molto autentico” (e continua proponendo di pubblicare in coppia Porta-Ferretti su “Marcatrè”).

Il secondo è il necrologio pubblicato da Porta su “Il Giorno” del 5 dicembre 1974 col titolo La forza della vita nel poeta “segnato”:

Massimo Ferretti è morto puntualmente: dall’età di diciassette anni sapeva che non avrebbe potuto superare la soglia dei quaranta e con un anno di anticipo, in questi giorni, se ne è andato, con la discrezione che caratterizzava i suoi modi civilissimi di condannato in anticipo. Se esemplare è stata la sua avventura umana per fermezza e serenità di fronte a una morte accettata dalla prima giovinezza come fatto non doloroso ma necessario dell’esistenza, altrettanto esemplare può dirsi la sua parabola letteraria, all’inseguimento di due diverse utopie, fino al rifiuto senza rimpianti.

La prima utopia fu un linguaggio poetico che voleva essere nuovo ma piano, acuto e crudele ma fondamentalmente comprensibile e portatore di gioia, di gioia “poetica”, s’intende. Nel suo libro Allergia (1956), la quotidianità non diventa mai “crepuscolare”, è interpretata come mediatrice di vitalità, che in ogni angolo andava scovando. Qui aveva ragione Pasolini a dire: “perché la vita lo esclude e lo isola, il segnato la ama di un amore più forte… Assordato da questo concerto altissimo di angoscia e di gioia egli non può sentire che deformato il linguaggio del rapporto storico, della cultura”.

Tale deformazione voleva subito ricomporla in un linguaggio poetico maturo, flessibile, armonico e tuttavia impotente a sostituirsi alla vita, a correggere gli insulti della storia; praticabile, dunque, entro i limiti dubitosi della istituzione poetica.

La seconda utopia fu il libro Il gazzarra (1965), lo spazio immaginato della libertà totale nel gioco da proporre all’effimera cronaca del numero finito dei nostri giorni. Lo definì come “il grido di guerra degli indiani che non combattono”. I tre “indiani” protagonisti dovevamo essere tutti noi nel paradossale ottimismo dell’autore. Ricordo di avere provato una grande gioia leggendo e mi sono certo illuso per un poco di essere davvero libero. Tale spazio non era per Massimo Ferretti né artificio né menzogna romanzesca, come s’usa dire: era così reale che l’insuccesso di pubblico e l’ipocrisia imbarazzata e inelegante con cui fu accolto dalla società letteraria, dai suoi amici e dagli ex-amici, che non sapevano perdonargli il passaggio nel campo della neo-avanguardia, a sua volta contraddittoriamente incapace di definire uno spazio letterario tanto vitale, lo indusse a lasciare la letteratura, chiudendo la partita con un silenzio che mi è parso educatamente sprezzante.

LINK: Dario Borso, Il giovane Ferretti

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ISSN:2037-0857