La guerra delle tasse
di Christian Marazzi
Siamo ancora al prologo, ma la guerra delle tasse sembra davvero iniziata. Negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden intende aumentare la pressione fiscale sulle società e sui più ricchi per finanziare il piano delle infrastrutture e quello a sostegno delle famiglie americane più povere. La strategia fiscale di Biden, diametralmente opposta a quella del suo predecessore Donald Trump (che aveva abbassato le imposte societarie dal 35 al 21%, mentre Biden intende aumentare l’aliquota al 28%), prevede anche un accordo internazionale per stabilire un’aliquota minima del 21% per le grandi multinazionali che dovrebbe disincentivare le società americane dal cercare ospitalità in altri lidi, come la Svizzera, per sfuggire al fisco statunitense.
In Italia, il leader del PD Enrico Letta ha lanciato la proposta di una tassa sull’eredità dei più ricchi (oltre 5 milioni di euro) per finanziare un assegno di 10 mila euro da dare ai diciottenni quale forma di risarcimento per le difficoltà subite durante la pandemia. Una proposta che il primo ministro Mario Draghi non ha esitato un secondo a rimandare al mittente: “L’economia è ancora in recessione, ha detto il premier, non è il momento di prendere i soldi, ma di darli”.
Sono segnali politici contrastanti a fronte di un medesimo problema: come finanziare lo Stato sociale per promuovere in un modo o nell’altro la riduzione delle disuguaglianze.
Prendiamo la Svizzera. Visto l’aumento generale dei debiti pubblici, visto il rischio di inflazione ventilato dai mercati, è necessario ripensare il sistema fiscale per sostenere una ripresa economica robusta e soprattutto duratura. Bene ha fatto Samuele Vorpe, responsabile del Centro di competenze tributarie della SUPSI, ad intervenire su quelle che potrebbero essere le conseguenze per la Svizzera di questo cambiamento di paradigma fiscale, almeno per quanto riguarda l’introduzione dell’aliquota minima mondiale del 21% per le grandi multinazionali (Verso una nuova realtà fiscale, “la Regione”, 8 maggio 2021). Premesso che una simile riforma fiscale su scala mondiale può solo essere attuata da un organismo sovranazionale come l’OCSE, per un paese come la Svizzera in cui il tasso medio intercantonale delle imposte societarie è pari al 15% (con una tendenza al ribasso nei prossimi anni) rispetto a una media del 24% per i paesi OCSE, è chiaro che l’implementazione di un’aliquota superiore a quella svizzera avrà come effetto quello di costringere il nostro Paese a decidere se accettare la nuova situazione o rischiare di restare “isolati”, subendo le conseguenti ritorsioni economiche.
In uno scenario isolazionista, l’esodo di non poche multinazionali (o il non arrivo di nuove) sarebbe altamente probabile. In tal caso, secondo il Consigliere federale Ueli Maurer, le mancate entrate per Confederazione e Cantoni potrebbero ammontare fino a 5 miliardi di franchi. Visto il precedente del segreto bancario, “letteralmente frantumato attraverso l’implementazione a livello globale dello scambio automatico di informazioni”, sarebbe bene affrontare in modo nuovo questo cambio di passo fiscale internazionale.
Comunque vada, una cosa è evidente: non è, non sarà più possibile ricorrere alla mera strategia della concorrenza fiscale, né a livello internazionale né tantomeno a quello intercantonale. Invece di attirare le imprese con privilegi fiscali, sarà assai più pagante investire nelle infrastrutture e nella formazione della forza-lavoro, evitando magari di isolarci ulteriormente dall’Unione europea.