philosophy and social criticism

L’arte del morfinomane

di Francesco Paolella

Michail Bulgakov, Morfina, Passigli, Firenze, 2020

Indubbiamente, anche perché trae origine da una dolorosa esperienza autobiografica, questo racconto di Michail Bulgakov riesce a farci entrare nella mente angosciata e disperata di un morfinomane. Di più, è il racconto fatto da un medico, ossia da una persona, almeno a tratti consapevole della terribile tortura che si sta infliggendo e di cui è vittima. In altre parole, Morfina è, allo stesso tempo, un diario clinico e una confessione.

La vita, con i suoi tumulti, con i suoi rumori sempre più fastidiosi, con le convenzioni sociali e l’empatia per i mali altrui, rimane sempre più sullo sfondo, allontanata nel passato e nel buio dalla imperiosa, continua urgenza di nuove iniezioni. Questa dipendenza dalla morfina è una morte lenta e – nota Bulgakov – in quell’«idolo di cristallo solubile» si nasconde sempre il diavolo.

Questa cronaca vede alternarsi inevitabili fasi di smarrimento e altre di esaltazione, con tutto il classico corredo di errori, che ogni dipendenza comporta: l’illusione di potersi curare da soli o almeno di saper gestire il proprio comportamento in pubblico; l’illusione di poter accedere a un livello superiore di saggezza o lucidità; l’illusione che il proprio corpo abbia, anche se ridotto all’estremo, comunque delle risorse nascoste.

Il medico che, in prima persona, ha tenuto questo diario di tormenti, lasciandolo infine a un collega come una specie di testamento dopo il proprio suicidio, finisce per perdere ogni fiducia nella stessa medicina, nei farmaci e negli altri medici (e, in particolare, negli psichiatri); questi ultimi vengono liquidati come uomini di nessuna utilità e assolutamente incapaci di comprendere il dolore del malato. Il bisogno crescente di morfina fa perdere ogni freno inibitorio, fa degenerare ogni senso morale e, soprattutto, fa escludere ogni possibile solidarietà umana: la morfina condanna a una solitudine assoluta, la quale è sì un ulteriore supplizio, visto che quel povero medico di campagna si trova isolato e assediato in un mezzo a una massa di «contadini malati»; allo stesso tempo, però, quella solitudine è anche una vera, anzi l’unica fonte di felicità (una felicità demoniaca, s’intende):

«Il morfinomane possiede una gioia di cui nessuno potrà privarlo: la possibilità di trascorrere i propri giorni in assoluta solitudine. E la solitudine significa pensieri seri, densi di contenuto significa contemplazione, calma, saggezza…» (pagina 55).

Le iniezioni sempre più frequenti, che sono causa di un inevitabile aggravarsi dei sintomi (dal vomito agli ascessi sulla pelle alle allucinazioni) diventano man mano l’unico gesto significativo in una esistenza condannata. Fra il dolore e la vergogna, di quel diario non resta che un ineliminabile stato di angoscia; in questa, come in altre Memorie di un giovane medico, Bulgakov è riuscito a trasmetterla intatta, esponendoci ancora una volta alla forza urente del male e della vita.

TYSM REVIEW
PHILOSOPHY AND SOCIAL CRITICISM
ISSN: 2037-0857
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