philosophy and social criticism

Le scomode ironie di Ennio Flaiano. Dialogo con Gino Ruozzi

di Francesco Paolella

Ennio Flaiano è un autore senza dubbio molto citato: ma cosa c’è dietro i suoi aforismi così popolari? E cosa conosciamo dei suoi libri, del suo lavoro per il cinema, per il teatro, per il giornalismo? Ne abbiamo parlato con Gino Ruozzi, che ha appena da poco pubblicato un volume sull’opera del “cronista” abruzzese: Ennio Flaiano. Una verità personale, Carocci, Roma 2012(→QUI).


Dovendo scegliere, non senza forzature, una parola per contrassegnare l’opera di Flaiano, sceglierei “errori” – e non mi riferisco solo al suo Diario degli errori: è un termine che segue tutto il suo lavoro. Ci ricorda che cosa rappresentano gli “errori” per Flaiano?

Per Flaiano gli “errori” sono possibilità; possibilità anche di sbagliare, comunque possibilità di scegliere. Questa libertà anche di sbagliare ma comunque di sperimentare e di decidere secondo una inclinazione e una “verità personale” è uno dei capisaldi etici ed estetici dell’opera di Flaiano.

Quella di Flaiano è stata la costruzione, allo stesso tempo disincantata e appassionata, di una “filosofia del rifiuto”. Flaiano come Bartleby. Flaiano si è trovato a descrivere una società e una cultura – quelle dell’Italia del boom e della società di massa, da sradicato, da “malpensante”. cosa pensava Flaiano della “dolce vita”?

Flaiano è stato tra gli inventori del mito della “dolce vita”, insieme a Federico Fellini e a Tullio Pinelli, con i quali ha ideato e portato a termine il capolavoro cinematografico. In realtà però il titolo significa il contrario: si tratta di una vita difficile e agra, per citare Dino Risi e Luciano Bianciardi. Il film è un affresco straordinario di un’epoca in trasformazione, di un autentico passaggio epocale. Flaiano guardava però con spavento e tristezza alla volgarizzazione di massa che stava modificando la società e che è giunta a pieno compimento oggi.

Tristezza, noia, volgarità: questi sono i sentimenti che con più forza ci restano dello sguardo di Flaiano sull’Italia e sulla vita: Flaiano è stato in sostanza un conservatore?

Tutti i grandi moralisti sono conservatori, nel senso che non credono nelle “magnifiche sorti e progressive” della civiltà. In questo senso Flaiano è simile a Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi, Leo Longanesi, scrittori e moralisti dallo sguardo lucido e implacabile, in cui la società viene ritratta nella propria cruda realtà. Il disincanto è quindi la loro cifra, che smaschera l’uomo e il mondo nella sua radicale ingiustizia e infelicità.

L’origine della decadenza italiana per Flaianoo è nel fascismo e nel non superamento del fascismo. In che senso Lei parla di Flaiano come di un antifascista pessimista?

Lo sguardo di Flaiano va oltre e ben prima del fascismo, se pensiamo che egli si sentiva in sintonia con i poeti latini, Marziale, Giovenale, Persio. Il suo è quindi un realismo storico e antropologico, che osserva l’uomo (e in particolare l’uomo “italiano”) dall’antichità a oggi. Nel fascismo, che egli come Brancati vive in pieno negli anni Trenta, egli avverte un senso di soffocamento e di noia, di sostanziale e paralizzante violenza e impotenza. Che è quella che descrive nel romanzo Tempo di uccidere. Ma non è che poi egli veda con speranza quello che accade dopo, anzi proprio nel finale del romanzo preannuncia la nascita della repubblica italiana associandola al disgusto di un cattivo odore.

Nonostante il titolo che ha scelto, questo Suo libro è un libro senza dubbio corale: sul mondo di Flaiano, sui suoi amici e colleghi, sulla società in cui Flaiano è stato, suo malgrado, inserito e che gli ha procurato anche tanta delusione. Perché Flaiano non è stato riconosicuto ancora oggi come scrittore tout court e non solo uno scrittore “satirico” (“uno “spiritoso”)?

Flaiano oggi vive un paradossale rapporto tra successo e insuccesso. Egli è tra gli scrittori più citati (spesso anche a sproposito) e molto amato dalla critica militante, che gli riserva quasi un culto. È invece quasi ignorato (tranne poche eccezioni) dalla critica accademica e dai profili letterari, in cui spesso viene citato come collaboratore di Fellini. In questa emarginazione ci sono probabilmente anche ragioni politiche dure a morire. Flaiano è stato un indipendente e questa autonomia di pensiero e posizione l’ha pagata.

Perché ha pubblicato poco? Perché secondo Lei ha trovato congeniali delle scritture “laterali” (come aforismi ed epigrammi), e così diversi fra loro?

Flaiano ha scritto parecchio e ha pubblicato in vita solo la metà dei propri testi. Occorre dire che Flaiano è uno scrittore molto legato alla concretezza professionale del proprio lavoro, per cui è stato soprattutto recensore di teatro e di cinema (le sue recensioni sono bellissime), soggettista e sceneggiatore cinematografico. Buona parte della sua scrittura è stata infatti indirizzata al cinema, in cui ha firmato importantissime sceneggiature, dalla Dolce vita e Otto e mezzo con Fellini, La notte con Michelangelo Antonioni, Un amore a Roma con Dino Risi. In tutti questi film non si può non avvertire la satira tagliente che è in buona parte frutto del suo originale contributo. Nella propria produzione letteraria Flaiano riprende e rivisita in piena consapevolezza generi della tradizione europea quali l’aforisma e l’epigramma (il primo generalmente in prosa, il secondo in versi). Sono generi di grande rilievo europeo ma un po’ trascurati in Italia. Lo sguardo lucido e penetrante di Flaiano trova nelle forme brevi una misura congeniale e gli permette di fissare fulmineamente pensieri, persone, quadri sociali. Sono le lenti con cui fotografa in modo illuminante la società contemporanea.  

 

tysm literary review, Vol 2, No. 4 – april 2013

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