L’orologio di Momo
Dario Borso
Il Battaglione Bassano si costituì a Bassano del Grappa [mio suol natìo] nel febbraio 1944: un’accozzaglia di coscritti (truppa), richiamati (sottufficiali) e volontari (ufficiali) che, pur tra continue defezioni, andò a ricongiungersi in Germania con altri battaglioni formati dagli internati che avevano giurato fedeltà alla RSI.
Istruito da personale tedesco fino ai primi d’agosto, il battaglione (600 uomini scarsi), comandato dal maggiore Molinari, tornò per venir schierato prima in Liguria (nell’ipotesi di uno sbarco alleato), e da ottobre nel Cuneese, tra la Val Maira e la Val Varaita (per difendere il confine francese dai gollisti, con la supervisione del tenente colonnello Armando Farinacci, fratello del gerarca Roberto).
Ben presto però gli alpini della Bassano furono impegnati quasi esclusivamente dai partigiani, alle cui azioni si reagì diversamente. In Val Maira la compagnia del tenente Capece rastrellava alla montenegrina, ossia a tappeto; in Val Varaita la compagnia del tenente Adami (supportata da quella del tenente Momo) adottava tecniche non convenzionali di guerriglia (infiltrazione, tortura ecc.).
Dopo la tregua invernale (durante cui uscì La vedetta alpina, motto: “Viva la morte!”), gli eventi precipitarono nel marzo 1945. In risposta a vari attacchi, una pattuglia comandata da Adami uccise a freddo otto partigiani, e trovò in una cartella appunti di una trattativa in corso tra il maggiore Molinari ed emissari partigiani per impedire il sabotaggio delle due centrali elettriche della Val Varaita – sicché, quando il capo della 2a divisione alpina “Giustizia e Libertà” ripeté la proposta a Momo, che presidiava la centrale di Sampeyre, ne ottenne un secco rifiuto.
Dopo lo sfondamento americano della Linea Gotica, Molinari tratta la resa col comando unificato azionista-garibaldino, in cambio della vita e di un giusto processo per i suoi uomini, che però non avverte. Così il 26 aprile sera i partigiani irrompono nella caserma del comando e arrestano tutti gli ufficiali fuorché Adami, il quale riesce a dileguarsi con altri cinque più l’amante ausiliaria, finché il 28 viene intercettato dai garibaldini e portato a Saluzzo, dove intanto erano stati ammassati i repubblichini (truppa e sottufficiali in un campo, gli ufficiali in una caserma).
Il 29 inizia il primo processo per dodici imputati, con una giuria formata da sei capi partigiani (tra cui Giorgio Bocca): Molinari nega di sapere dell’operato di Adami, Adami tace, altri ammettono qualcosa, la popolazione sa e parla.
Il primo maggio la sentenza: quattro assolti, tre deferiti al tribunale del popolo (tra cui l’ausiliaria), cinque condannati a morte (ossia il gruppo Adami).
Il 2 maggio la fucilazione, con Adami che incita i suoi: “Gridate con me: viva l’Italia grande!”.
(finisce domani)
Leggi la prima parte, “L’orologio di Cacciari”, cliccando qui
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ISSN:2037-0857