philosophy and social criticism

Metafisica dei consumi

Francesco Paolella

Andri Snaer Magnason, Bónus (con il 33% di poesie in più), Nottetempo, 2017

Les bourgeois c’est comme les cochons
Plus ça devient vieux plus ça devient bête.

Per una volta, invece di rintanarci nelle giuste lamentazioni per lo squallore di una vita da consumisti, ecco che finalmente possiamo godere di una piccola provocazione: le poesie di A. S. Magnason in Bónus sono dei fulmini (non pericolosi) che illuminano per un momento questo spazio buio, perché troppo pieno. Oppure meglio: oscurano per un momento lo spazio completamente illuminato del consumatore, in cui si è a un tempo felici e costretti.
Io sono un consumatore, ovviamente vado al supermercato, anzi in più di uno, alcuni sono piccoli, altro sono grandi, qualcuno è troppo grande. Ma è davvero possibile uscire dal supermercato? Posso uscire dal regno delle offerte e della visibilità assoluta? Dal regno degli infiniti prodotti, con l’alto tasso di sensualità che ognuno di essi ha in sé?
Magnason (classe 1973) vuol farci immaginare che i tre regni danteschi siano in un supermercato; anzi che il nostro stesso mondo alla fine non sia che un grande supermercato, che assume e riassume (e vende) tutto.
Che io mi trovi all’inferno o in paradiso, sono pur sempre un cliente, con più doveri che diritti però. Devo vivere, pensare e amare persino fra gli scaffali, in mezzo alle promozioni, osservato dalle telecamere di sorveglianza, davanti a cassieri e commessi.
Il problema è che quella vita “metafisica” funzione perfettamente. I sentimenti più puri e lo squallore della maionese o della carta igienica convivono. E non serve a nulla scandalizzarsi per l’entusiasmo (disarmante senza dubbio) del consumatore: oggi è superato il trucco degli imbonitori, è inutile l’entusiasmo dei venditori. Ci si convince benissimo da sé. Gli schermi, da guardare soltanto o da sfiorare con le dita, sono la vera macchina del moto perpetuo.
Il supermercato-mondo mi serve, mi fa vivere, ha cambiato la mia esistenza, il mio sangue, la mia stessa composizione chimica:

«Io non sono al 70% acqua
tutt’al più al 17% San Pellegrino
cui sono mescolati della Coca zero e del caffé
Sono pasta italiana e riso cinese
sono prosciutto danese e ananas sudafricano
nelle mie vene scorre ketchup americano» (p. 29).

Al di là di ogni dottrina e di ogni moralismo, non c’è alternativa, e forse nemmeno sarebbe più auspicabile. Nel supermercato-mondo si possono adorare le cose che ci servono e in questo modo si prega per la nostra vita inscatolata:

«Ti ringrazio per lo shampoo, Johnson
ti ringrazio per il detersivo, Mastro Lindo
ti ringrazio per il forno a energia nucleare, Oppenheimer
ti ringrazio per il popcorn per microonde, Orville
ti ringrazio per Oggi, Rizzoli
ti ringrazio per il video, Samsung
ti ringrazio per i dolciumi, Ferrero
che sarei senza di voi?» (p. 99).

Se anche la poesia – come ci dice serio Magnason – diventa un prodotto da scaffale, la poesia può finalmente degradarsi, disperdersi nell’inferno della sofisticazione e del fac-simile, tipico del consumo di massa. Ma in questo modo la stessa poesia si permette una specie di liberazione estrema: liberazione dal supermercato fatto a misura d’uomo. Ma è una liberazione inutile, per finta: io preferisco rimanere al sicuro nel mio purgatorio di detersivi e detergenti: chi vorrebbe tornare indietro? Chi potrebbe, pur volendolo?
Per vivere, devo consumare cose almeno un po’ già consumate da altri: sono sì un raccoglitore dotato di carrello, ma non trovo più realmente niente. E bisogna adattarsi:
«Io
l’uomo moderno
tivùdipendente
sento rinascere in me l’uomo primitivo
quando filo col carrello
e raccolgo e raccolgo e raccolgo…» (p. 13).

[cite]

 

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