philosophy and social criticism

Miracoli a Milano

 di Francesco Paolella

Nota su: Tatiana Agliani, Giorgio Bigatti, Uliano Lucas, È un meridionale però ha voglia di lavorare, Franco Angeli, Milano 2011.

 

 «Mattoni su mattoni / sono condannati i terroni / a costruire per gli altri /appartamenti da cinquanta milioni».

Anche se Dalla e Roversi si occupavano in Un’auto targata “TO” (da Anidride solforosa) appunto di una famiglia meridionale che «torna da Scilla a Torino», queste parole ci sono molto utili per introdurre questa nota su un libro fotografico, dedicato alla Milano degli anni del boom economico e poi della contestazione.

Scatti realizzati per le pagine milanesi de “L’Unità”. Uliano Lucas, fotografo e critico fotografico di assoluto valore, assieme a Tatiana Agliani, ne ha raccolti un centinaio, tutti dedicati al fenomeno migratorio degli anni Sessanta e Settanta; immigrazione interna, quindi. Milano era il simbolo stesso di quei trasferimenti dal sud e dalla campagna verso la città e la fabbrica. Destinazione voluta e necessaria per centinaia di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Un percorso obbligato: l’arrivo alla stazione centrale, per prima cosa la ricerca di un lavoro e di un tetto, poi gli spostamenti frequenti da un alloggio a un altro: sfratti, miseria, fatica – precarietà, come si è soliti dire oggi. Negli anni in cui dicendo “immigrato” si intendeva “meridionale”, una schiera infinita di uomini hanno vissuto e sono sopravvissuti al trauma di arrivare in luoghi sconosciuti e spesso ostili, costruendo i palazzi e i capannoni che hanno costituito la sterminata regione industriale milanese, lavorando in fabbriche che sono divenute però anche luoghi di integrazione. Senza dubbio – come ci ricorda Giorgio Bigatti nella introduzione al volume – non è proprio il caso di mitizzare la classe operaia, facendone un campione di virtù e tolleranza: anche nelle fabbriche non mancavano diffidenza, pregiudizi e razzismo verso i terroni.

Le fotografie di cui ci occupiamo qui sono fotografie per un giornale organo dell’allora Partito comunista italiano (è una definizione non esaustiva per quel giornale). Un giornale militante. Si tratta di fotografie orientate, destinate a illustrare le pagine di cronaca e a mostrare alcune idee: fotografia politica, non soltanto fotografia sociale. In questo senso, ci troviamo di fronte a immagini a senso unico: per i meridionali a Milano potevano esserci soltanto degrado, sfruttamento, emarginazione. Dalla fine degli anni Sessanta, poi, sono iniziate le proteste per avere case e servizi pubblici decenti, oltre alle lotte operaie, ovviamente. Gli immigrati vivevano male, morivano sui luoghi di lavoro per mancanza di sicurezza, trovavano soltanto case malsane ma costose, da cui pure spesso erano sfrattati. Ogni fotografia rappresenta una microstoria, ma voleva anche essere la prova dei fallimenti del capitalismo italiano e della politica democristiana. Occorreva invece insistere per una politicizzazione dell’immigrazione come via per una reale integrazione.

Immagini di denuncia, ma a senso unico. In quelle fotografie le persone ritratte non ridono mai, neanche i bambini, neanche i ragazzi quando vengono ripresi di domenica, vestiti bene o in costume da bagno, all’Idroscalo.

Ciò che manca in quella rappresentazione è l’altra integrazione, quella davvero vincente, quella dei consumi di massa, degli elettrodomestici e dei supermercati, delle automobili. Anche per gli immigrati che arrivavano in stazione centrale, carichi di pacchi e di spaesamento (un po’ Rocco e i suoi fratelli, un po’ Totò e Peppino) il boom economico è stato comunque un successo. Come ha ricordato uno di loro: «Questa gente mangiava molto più bene delle nostre abitudini, che noi mangiavamo pane e pomodoro o pane e catalogna. Invece qui il mangiare era tutto differente perché quello che là lo mangiavamo una volta all’anno qua lo mangiavano tutti i giorni» (p. 18). Contadini arrivati nella metropoli industriale, confinati sì nelle periferie, tutelati poco e male, e che avrebbero dovuto lottare molto per migliorare un po’ la loro vita e il loro lavoro; ma che hanno trovato a Milano la possibilità inimmaginabile di una vera liberazione.

Queste fotografie, povere ed essenziali, sono immagini che non parlano soltanto di disperazione e umiliazione, ma anche – e più profondamente – di libertà conquistata, di desideri nuovi e inaspettati.

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ISSN:2037-0857