philosophy and social criticism

La Coop eri tu

Francesco Paolella

A leggere questo volume sulla storia della cooperazione in Italia, può venire il dubbio – magari soltanto a un lettore non troppo informato sul tema – che il fenomeno cooperativo abbia un passato indubbiamente grande, ma che oggi sia difficile riconoscere chiaramente la diversità delle cooperative rispetto alle altre attività imprenditoriali. La cooperazione è condannata all’inattualità, a essere semmai un simulacro? Si tratta di una nobile eredità del nostro passato prossimo, eredità avviata però al declino, almeno nella sostanza?

Scandali grandi e piccoli, che semmai rimangono relegati nelle cronache locali, rappresentano una realtà, quella delle cooperative, sempre più complessa e sfuggente: in altri termini, c’è da chiedersi se la convivenza di etica ed economia sia ancora il valore aggiunto della cooperazione. La stessa rete delle cooperative si è impegnata di recente per proporre strumenti anche legislativi di contrasto alle finte cooperative (o cooperative spurie), una vera e propria “perversione” del principio mutualistico con cui imprenditori di ogni settore sfruttano a un tempo i benefici fiscali previsti e i “dipendenti-soci”.

Le ricerche di Menzani ci danno comunque il senso di quanto la cooperazione abbia pesato sulla storia economica, sociale e culturale italiana degli ultimi due secoli. Anche le cooperative (quelle di lavoro, quelle di consumo e quelle di supporto, come le cantine o le cooperative di tassisti) hanno dovuto affrontare, specie negli ultimi cinquanta anni, processi di fusione e di modernizzazione non sempre facilmente conciliabili con l’originale loro “identità proletaria”. Per crescere e “restare sul mercato”, generazioni successive di dirigenti hanno intrapreso la strada di una maggiore complessità delle strutture, provocando mutamenti anche traumatici e non riuscendo sempre a preservare una presenza attiva e consapevole dei soci. Pensiamo solo a un colosso come la Coop: milioni di soci che forse hanno anche dimenticato di esserlo e che rappresentano un azionariato di massa assolutamente passivo ed inerte. Una modernizzazione controversa, ma indubbiamente di successo (almeno fino all’inizio della crisi attuale).

Oggi le cooperative sono ormai “normalizzate”, e cioè depoliticizzate: sono superati i rischi di un legame troppo stretto con ideologie e movimenti politici. Se, appunto, l’identità si è via via smarrita, o quanto meno trasformata, è stato possibile superare le divisioni partitiche fra cooperative di diverso colore: oggi l’unione delle diverse cooperative – che solo in Italia contano 12 milioni di soci e 1,2 milioni di addetti – ha portato quel mondo a essere un interlocutore economico al pari e al fianco degli altri, da Confindustria a Confcommercio.

Gli anni del boom economico sono stati forse il momento cruciale in cui il movimento cooperativo – che pure è sopravvissuto, convivendoci, al fascismo – ha dovuto scegliere la via di quella modernizzazione di cui dicevamo poco fa: in questo senso, il patrimonio ideologico originario poteva essere davvero un freno mortale. Pensiamo soltanto al mondo agricolo, ma non solo:

«Proprio il fatto che le “cooperative rosse” di quegli anni agissero nell’economia di mercato con logiche che talvolta volevano essere apertamente antitetiche al capitalismo ha indotto a sostenere che l’ideologia comunista era diventata un freno per il movimento cooperativo italiano che negli anni Cinquanta si riconosceva in questo orientamento. Varie cooperative agricole bracciantili non sfruttarono l’opportunità di comprare la terra negli anni della riforma agraria, e anzi in certi casi vendettero delle proprietà fondiarie risalenti a prima della guerra perché considerate incoerenti con l’impostazione di chi avocava allo Stato il possesso dei mezzi di produzione. Analogamente, le cooperative di costruzione non dovevano utilizzare il lavoro per creare un utile, ma impiegare l’utile per creare lavoro, per cui si assumeva personale a discapito degli investimenti tecnici come l’acquisto di gru e betoniere» (p. 21-22).

La cooperazione è stata una via alternativa anche al welfare paternalistico concesso dalle grandi imprese del Novecento ed è stata anche uno strumento utile per i dipendenti delle imprese tradizionali, divenendo una pietra di paragone utile per chiedere migliori condizioni, in primo luogo salariali. Una cooperativa di successo dimostrava che si poteva essere competitivi e allo stesso garantire integrazioni contrattuali e diverse forme di assistenza ai lavoratori.

Un’ultima parola va spesa sulle cooperative sociali: giustamente Menzani sottolinea l’originalità e il valore di questi veri e propri strumenti di emancipazione che la legge del 1991 ha ratificato: cooperative di ex-alcolisti, di ex-tossicodipendenti, di ex-carcerati, ma anche di persone affette da disturbi psichici – pensiamo solo a quanto fatto negli anni Settanta per i pazienti manicomiali, come la CLU a Trieste con Franco Basaglia – hanno rappresentato e rappresentano l’occasione per condividere un lavoro, un reddito, e molto di più ancora.

[cite]

 

tysm review
philosophy and social criticism
vol. 24, issue no. 34, march 2016
issn: 2037-0857
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