Nel cuore del fantastico – su Roger Caillois
Beatrice Catini
Rileggere oggi Nel cuore del fantastico a quarantacinque anni di distanza dalla sua prima pubblicazione presso Gallimard nel 1965, significa avventurarsi in una lettura che, cercando la definizione del fantastico, parla di noi, del nostro modo di percepire e di relazionarci al mistero. Roger Caillois esordisce giovanissimo, non ancora ventunenne, in seno al gruppo surrealista, dal quale si distaccherà nel 1934 per intraprendere un percorso estremamente originale, cercando di delineare una “scienza diagonale” che connetta poesia, arte e forme naturali, poemi e universo minerale. La riflessione contenuta in questo libro, condotta con un linguaggio lontano dall’accademismo ma ugualmente puntuale e penetrante, parte da una considerazione delle opere fino a quel momento consacrate all’art fantastique; il raffronto tra queste opere fa emergere come l’iconografia utilizzata sia in gran parte identica, tanto da poter stilare una lista di autori che costituiscono il nucleo costante di riferimento per chi voglia parlare del fantastico. Caillois osserva però quanto poco le opere costituenti questo “nucleo invariabile” – dal quale non mancano mai Dürer, Bellini, Bosch, Brueghel, i Surrealisti, Goya, Blake, l’Arcimboldo, G. Moreau, H. Rousseau ecc., solo per citarne alcuni – suscitino in lui lo stupore e il senso del mistero che quest’ultime si propongono di provocare. Da qui inizia il suo viaggio, attraverso la nozione di fantastico e le opere in cui quest’ultimo si mostra, magari in modo imprevisto e inatteso.
Il fantastico, per l’autore, è molto diverso dalla concezione che lo identifica meramente con tutto ciò che si allontana dalla riproduzione fotografica del reale.
Ciò che Caillois cerca è quell’impressione di irriducibile estraneità che sorge in modo subitaneo, incrinando una regolarità ben stabilita. Seguendo questa linea l’autore comincia con lo scartare ciò che chiama il fantastico “per partito preso” e quello “istituzionalizzato”, entrambi viziati dall’artificiosità di una presa di posizione preliminare: quella di sorprendere il fruitore dell’opera a tutti i costi, tramite l’invenzione di un universo fiabesco, immaginario, in cui niente si presenta o accade come nel mondo reale. In questo modo, eleggendo il fantastico a norma, a principio di un nuovo ordine di cose, esso viene annientato; la coerenza che in queste opere fa del fantastico la norma fa sì che l’insolito non vi trovi più posto perché oramai è ovunque.
Un simile discorso vale nei confronti delle invenzioni dei miti e misteri delle religioni – compresa quella cristiana – nelle quali il fantastico non può fare irruzione, in quanto il meraviglioso vi è insediato per diritto divino e tutto quello che viene rappresentato è per principio prodigio o miracolo. Al contrario, per Caillois, l’impressione del fantastico non dipende necessariamente dall’intenzione del pittore, né dal soggetto del quadro, perché «al fantastico necessita qualcosa d’involontario, di subìto, un interrogativo inquieto non meno che inquietante, scaturito all’improvviso da chissà quali tenebre e che il suo stesso autore è stato costretto ad accettare così come è venuto e a cui talvolta ha desiderato perdutamente poter dare una risposta». Ed è attraverso questa riflessione che l’autore ci conduce attraverso una galleria tanto personale quanto stupefacente di opere, che spaziano dagli emblemi seicenteschi, alle composizioni mnemotecniche, alle illustrazioni alchemiche e a quelle dei trattati di anatomia; esempi queste ultime di un fantastico che, bandito dalle favole ridotte oramai a pura scenografia, riappare, inatteso, nelle opere ambiziose a cui è affidata la conquista del reale. Quello di Caillois è così un invito alla ricerca di un fantastico che emerge, inquietante, per sussulti, baluginando, nel quotidiano, che non viene eletto a norma, bensì mantiene un carattere clandestino. A volte sono particolari, elementi, che non emergono se non dopo alcuni istanti di osservazione e attesa, illuminando di una luce metafisica una rappresentazione a prima vista innocentemente quotidiana e naturale. Quest’interesse per un fantastico quotidiano porterà l’autore, verso la fine del suo percorso, a dedicarsi completamente a studi e ricerche in campo naturalistico-mineralogico e l’immagine che apre il libro – una talpa dal naso stellato proveniente dall’America del nord – ne è un chiara anticipazione. Ciò di cui ci parla Caillois, mostrandocelo, è quel fantastico irriducibile, che non scaturisce da elementi esterni al mondo umano, ma che nasce da una contraddizione insita nella natura stessa della vita e proprio per questo ci emoziona e ci fa sussultare.
Note
[1] Roger Caillois, Nel cuore del fantastico, traduzione di Laura Guarino, Feltrinelli, Milano 1984. La traduzione è stata riproposta nel 2004 dalle edizioni Abscondita di Milano.
[Articolo apparso sulla rivista A+L, numero 5, inverno 2004]
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