Pinku eiga: rosa come la carne
Alessandro G. De Mitri
Matteo Boscarol
Agli inizi degli anni sessanta in un Giappone che a stento era riuscito a cicatrizzare le due ferite all’idrogeno di Hiroshima e Nagasaki il movimento di ribellione che nel corso del decennio successivo avrebbe sconvolto l’arcipelago nipponico comincia quasi inconsapevolmente a prender forma.
Nel cinema questa resistenza/attacco alla societa’ si chiama anche pinku eiga. Siamo nel marzo del 1962 e nelle sale esce quello che viene considerato il primo pinku , Nikutai no ichiba (Il mercato della carne) di Kobayashi Satoru, immediatamente sequestrato per oscenità dalle autorita’.
Il titolo e’ in qualche modo paradigmatico e profetico, nikutai e’ infatti una parola che significa corpo, ma e’ un corpo opaco nella sua carnalita’, barbaque o viande avrebbe detto Antonin Artaud, una carne che e’ in vendita, merce di scambio ma che allo stesso tempo e’ irriducibile, oscena, uno scarto della societa’. Ed e’ proprio cavalcando questa stridente divergenza di significati che si svilupperanno negli anni a seguire i pink piu’ interessanti, quelli che faranno storia.
Definizione
Ma cos’e’ esattamente un pinku eiga (un pink movie)? si potrebbe definire come una categoria specifica del cinema giapponese, corrispondente in modo grossolano all’idea di un film soft-core a basso costo prodotto ai margini dell’industria cinematografica. Girati a partire dai primi anni sessanta, e ridefiniti praticamente ad ogni decennio per quanto riguarda la codificazione di contenuti, pubblico e distribuzione, i pink hanno spesso raggiunto risultati di spessore artistico, sia per quanto riguarda la critica sociale e la provocazione che per il loro ruolo di palestra formativa per cineasti indipendenti, i quali, in più di un’occasione, hanno orgogliosamente rivendicato il valore sovversivo e sperimentale del loro lavoro. Il genere, in sostanza, si è conquistato un ruolo nella storia del cinema giapponese sia per la sua eccentricità da B-movie che per l’autentico valore delle sue manifestazioni più originali dal punto di vista dell’intenzione critica o della ricerca filmica. Questi “film rosa”, malgrado il costante calo causato dalla diffusione dei video a visione domestica e dalla conseguente diminuzione delle presenze in sala (problema che investe, del resto, la totalità dei generi cinematografici), rappresentano ancora una discreta fetta della produzione nazionale (intorno al 2000 se producevano un centinaio all’anno, pari a circa un terzo delle uscite complessive).
Attualmente i pinku eiga sono codificati in maniera standardizzata, con divisioni in sotto-generi ben definite (bondage, studentesse in divisa da marinaretta e professoresse viziose, stupri, rapporti incestuosi, donne giunoniche, voyeurismo, vedove insaziabili, la clinica dell’amore, office ladies, quando il marito è in vacanza, una gita alle terme, prostituzione, film storico-erotici, polizieschi, ecc.), stereotipi rigorosi per quanto riguarda titoli, sottotitoli e perfino grafica dei cartelloni, forte tendenza alla serializzazione, obbligo di presentare una scena di sesso ogni 10 minuti, durata limitata a un’ora per consentire la proiezione di programmi serali strutturati sulla proiezione di tre film in fila (sanbontate). La produzione e la distribuzione sono regolamentate in maniera altrettanto rigida: budget limitati (tre milioni e mezzo di yen intorno al 2000), pochi giorni di riprese (da due a quattro) sfruttati intensamente, compensi non molto elevati, malgrado molte delle attrici raggiungano una fama di culto che consente loro di ottenere visibilità mediatica. La distribuzione viene curata da poche case (attualmente quattro) presso i cinema specializzati, ridotti a circa 130 in tutto il paese dopo l’avvento del video. A fronte di queste condizioni di lavoro rigide, le libertà narrative sono ammesse ed incoraggiate in maniera superiore a quanto avviene nei prodotti concorrenti e fratelli, gli adult video.
In ogni caso, con lo scopo di evitare le violazioni del comma 175 del codice penale, che proibisce le rappresentazioni oscene, l’organo di autocensura del cinema giapponese (regolato dall’Eiga Rinri Katei Jinkai, codice dell’etica cinematografica della commissione amministrativa, noto come Eirin, gestito da numerose sotto-commissioni, costituito nel ’49 e rifondato nel ’57) stabilisce inderogabilmente (grande fu lo scandalo per Ai no korida di Oshima e polemiche accompagnarono l’eccezione fatta più recentemente per Al di là delle nuvole di Antonioni e Wenders) il divieto di mostrare atti sessuali espliciti, parti intime che siano in contatto, peli pubici, organi maschili in erezione, organi femminili che subiscano penetrazioni anche con dita e oggetti, talvolta ricorrendo ad un effetto censorio di sfumatura (cerchietti fuori fuoco, i bokashi, non molto usati nei pink), immagini immediatamente associabili al sesso, e riproduzione di suoni e dialoghi troppo “realistici”. Il pedantissimo regolamento, concepito per “impedire l’abbassamento del livello morale degli spettatori”, è stato più volte rivisto dal 1965 agli anni settanta. A queste limitazioni i registi reagirono con un vocabolario tecnico di sfumature, allusioni, angolature particolati ed inquadrature ravvicinate volutamente fuori fuoco. Se il contesto ed i movimenti sono spesso espliciti, i film di fatto rimangono lontani dalla frontiera dell’hard, anche nel caso dei video (la produzione hard-core è clandestina e punibile). È la decisione delle commissioni a categorizzare i film per adulti con la famigerata R (restricted), condizione necessaria e sufficiente perché un film appartenga al circuito pink.
La nascita
il meccanismo che porta alla nascita dei pink movie è piuttosto semplice da analizzare, e prende origine dalla crisi delle grandi case cinematografiche, sottoposte dall’inizio degli anni sessanta all’attacco su due fronti della grande cinematografia hollywoodiana e del cinema indipendente d’autore, spesso impegnato politicamente e nel contempo sperimentale. Colpite dalla diminuzione degli incassi e dall’erosione delle tematiche e dei generi, le major si trasformano in case di distribuzione e supportano la formazione di un cinema di basso costo e di ampio consumo, inizialmente prodotto da case indipendenti che fiutano il vento nuovo e poi riproposto direttamente dalle major stesse (estremamente rilevante il fenomeno del roman-poruno, genere parallelo ai pink, in grado di rilanciare per diversi anni la moribonda Nikkatsu). Approfittando della libertà di temi loro concessa a fronte di un numero definito di scene di sesso, i registi riescono ad imporre la loro visione del cinema fatta di nuove soluzioni visive e narrative e di analisi sociale in chiave marxista o anarchica, rafforzando la loro posizione grazie al relativo successo di pubblico, agli scandali ed ai processi conseguenti all’uscita delle opere più provocatorie, ed al riscontro di critica a livello nazionale ed internazionale. Da cinema pornografico “moderato” (pensiamo all’iniziale illusione di creare un cinema pruriginoso non rivolto a uomini soli, come in occidente, ma a giovani coppie), il genere pink diventa rapidamente cinema di rivolta, e mantiene il suo status per tutto il decennio.
Il termine viene coniato dal giornalista Murai Minoru e sostituisce alla fine del decennio le iniziali denominazioni ero-sen, linea erotica, ero-dakushion, produzione erotica, e sanbyakuman eiga, film da tre milioni.
Come gia’ detto, il primo pinku eiga e’ considerato Nikutai no ichiba, diretto Kobayashi Satoru e prodotto da Okura Mitsugi, ex dirigente della Shintoho che aveva reagito alla crisi mettendosi in proprio; la Okura è rimasta una casa di produzione di rilievo fino ai tempi attuali, e Kobayashi ha girato per essa più di 400 film. La seconda casa protagonista dello sviluppo dei pink è stata la Kokuei, passata dalla produzione di film educativi e didattici ai film con strip-tease nello stesso periodo.
Il genere trova rapidamente il suo spazio negli anni sessanta, in un quadro fatto di uscite cinematografiche numerose (545 film nel 1960) ma di incassi in calo, che mette in difficoltà le major e favorisce le piccole produzioni. Il numero di film erotici passa da 4 nel 1962 a 58 nel 1964 e a 250 nel 1969, facendo diventare il genere pink il più rappresentativo del cinema nipponico.
I protagonisti
I registi della prima generazione provenivano da esperienze formative variegate: Kobayashi Satoru, Ogawa Kin’ya, Sawa Kensuke venivano dalla scuola della Shintoho, Shino Koei dalla Daiei, Seki Koji e Watanabe Mamoru dalla televisione, Yamamoto Shun’ya e Mukai Kan dai documentari, Motoki Sojiro era stato produttore di Kurosawa Akira.
La grande libertà di espressione condivisa con la noberu bagu (la nouvelle vague nipponica), idealmente guidata da Oshima, che negli stessi anni aveva portato alla formazione di case di produzione indipendenti ed a una teorizzazione forte di nuove istanze cinematografiche, fa dei migliori registi di pink autentiche spine nel fianco della società giapponese. Più ancora di Mukai Kan, è Wakamatsu Koji a spiccare, con il suo cinema radicale e politico, violento ed anarcoide, sostenuto dallo stesso Oshima e spesso caricato di messaggi filosofico/politici dalla collaborazione dello sceneggiatore e regista marxista Adachi Masao. Guerrigliero con la macchina da presa Adachi trova nella lotta rivoluzionaria in Libano (a cui partecipa in loco per 30 anni) assieme ai militanti della R.A.F. la naturale continuazione del suo lavoro come sceneggiatore e regista. Ricordiamo almeno la sua collaborazione con Oshima per Shinjuku dorobo nikki, mentre fra le sue opere vale la pena di citare lo sperimentale A.K.A. Serial Killer o il pinku jÔgakusei gerira.
Tornando a Wakamatsu, i suoi film aggressivi ed espliciti hanno generato molto clamore dal 1965 fino alla fine del decennio, come non ricordare Kabe no naka no himegoto (Il segreto nel muro, storia di una morbosa relazione tra idealisti passati al compromesso con la società, assassinati da uno studente voyeur), presentato al festival di Berlino contro il parere dell’associazione giapponese del cinema, preoccupata della possibile immagine negativa del paese che lo defini’ una “vergogna nazionale”. Wakamatsu ha continuato a girare un gran numero di film provocatori e di buon livello, dove la critica al sistema sociale nipponico, fortemente compresso e piegato all’espansione economica, nel quale la mancanza di ideali si accompagna alla frustrazione ed all’incomunicabilità, si esplica attraverso l’esplosione degli impulsi e dei desideri inconfessabili dell’individuo, espressa frequentemente tramite la violenza. In un celebre articolo intitolato ‘Discriminazione e carneficina’ apparso su Eiga Hihyo nell’ottobre 1970, è proprio Oshima a rimarcare come Wakamatsu offra agli spettatori “un’esperienza che non ha un equivalente alla luce del sole. È la voce del desideri, dei propositi delittuosi, e quindi della miseria screziata, che echeggia nella notte”, sottolineando la natura privata e quasi psicanalitica delle rispondenze tra il film e lo spettatore, e mettendo a fuoco le tematiche della rimozione operata dalla cultura ufficiale nei confronti del cattivo gusto dei film erotici, nati proprio per impulso dell’industria ufficiale, e la valenza sovversiva delle rappresentazioni dell’ “altra parte del fiume”, dove la vendetta e la violenza sono specchio dell’esistenza umana. Molte le opere di vario ma autentico valore, in collaborazione con artisti di rilievo come il jazzista Yamashita Yosuke e l’autore ed attore teatrale Kara Juro, come Akai hanko (Crimine rosso, 1964), Taiji ga mitsuryo suru toki (Quando l’embrione caccia di frodo, 1966, storia inquietante della vendetta di una donna su un maniaco dopo giorni di violenze subite nel suo appartamento), Yuke yuke, nidome no shojo (Su, su, due volte vergine, 1969, nel quale un ragazzo aiuta una compagna violentata a vendicarsi di un gruppo di pervertiti in un delirio di sangue), Shojo geba geba (La violenza della vergine, 1967), Okasareta byakui (Angeli violati, 1967), opere segnate ossessivamente dal desiderio di superare il trauma della nascita tramite il ritorno all’utero e dalla denuncia delle responsabilità della società moderna per l’insozzamento del mondo, Tenshi no kokotsu (L’estasi dell’angelo, 1972) e Seizoku – Sekkusu Jakku (Il ribelle – Sex Jack, 1970), due film nei quali i protagonisti si muovono all’interno della lotta armata e dove il sesso e la violenza politica assumono valenze sempre più nichiliste. Segnato in gioventù dall’esperienza yakuza e dal carcere, Wakamatsu lavorerà a ritmo elevato per tutti gli anni settanta senza l’ispirazione dei giorni migliori, chiudendo la produzione nell’ ’82, nel pieno della crisi del genere, e proponendosi negli ultimi trent’anni con uscite più rarefatte e vicine al cinema d’autore; il resto e’ storia recente da 17-sai no fûkei – shônen wa nani o mita no ka , visto a Torino fino all’ultimo Jitsuroku rengô sekigun: Asama sansô e no michi, colossale riflessione sulla lotta armata e sulla sua necessita’. Sempre importante la sua attività di produttore, che oltre al lanciare registi giovani di valore lo ha portato a finanziare Ai no korida del suo mentore Oshima.
Altro caso noto è quello della breve esperienza cinematografica di Takechi Tetsuji, regista di formazione teatrale passato al pink in chiave anche qui esplicitamente politica e sovversiva. Dopo l’esordio del 1963, Nihon no yoru – onna onna onna monogatari (Notte giapponese- storia di donne), Takechi si fece conoscere l’anno successivo con due lavori tratti da Tanizaki, venati di accenni a violenza sadomaso e torture sessuali, Hakujitsumu (Sogno ad occhi aperti) e Koukeimu (Sogno della camera rossa), che suscitarono scandalo. Il suo film più duro, Kuroi yuki (Neve nera), del 1965, prodotto dalla Nikkatsu, narra la storia di un giovane nazionalista, figlio di una prostituta, che riesce ad avere rapporti erotici solo quando impugna un’arma, e che finisce per sparare, in una frenesia orgasmica liberatoria, ad un soldato americano di colore, per poi venire a sua volta ucciso. Il violento anti-americanismo del film, condito da una metafora sessuale di esplicito significato politico (l’orgasmo come liberazione dalla castrazione indotta dall’occupazione, la prostituzione come condizione della nazione di fronte all’occupatore), valse al regista un processo per oscenità e l’umiliazione dell’arresto. In seguito al clamore generato dalla vicenda Tetsuji riuscì “provvisoriamente” a farsi riconoscere in tribunale il diritto di espressione artistica, dopo essere stato sostenuto in una durissima polemica contro l’imperialismo americano e l’ingerenza della C.I.A. nella vita artistica della nazione (polemica che metteva in discussione il concetto stesso di adattabilità della democrazia alla specificità culturale giapponese) su svariate riviste da numerosi intellettuali e registi, tra i quali Masumura, Oshima e Mishima. Dopo altri tre film tra il 1966 ed il 1968 (Genji Monogatari [La storia di Genji], dal romanzo medievale, Sengo zankoku monogatari [Racconto crudele del dopoguerra], e Ukiyoe zankoku monogatari [Racconto crudele delle immagini del mondo fluttuante], ambientato nei quartieri di piacere del 1700) Takechi ritorna alla sua attività nel mondo del kabuki, toccando il cinema nuovamente soltanto con tre film negli anni ’80 (Oiran [Cortigiana], un remake di Kuroi yuki, e Kuroi yuki 2).
Alcuni registi famosi si sono avvicinati al mondo del pinku, e’ il caso per esempio di Yamatoya Atsushi (Kowa no dacchiwaifu [Bambole nel deserto, 1968]), mentre altri ancora hanno ripreso le tematiche del genere ad un livello qualitativo più elevato, come Masumura, Imamura, fino al controverso Oshima, che darà scandalo rischiando di rovinarsi la carriera con il quasi pornografico Ai no korida (L’impero dei sensi, 1976) dove violerà il codice di autoregolamentazione mostrando organi sessuali e rapporti orali e genitali espliciti.
Dagli anni settanta ai giorni nostri
Dal ’65 al ’73 almeno la metà dei più di quattrocento film prodotti in Giappone è pink; la concorrenza favorisce l’inclinazione verso una messa in scena sempre più incline all’oscenità, ed ha come conseguenza la rigida strutturazione del mercato, con grandi blocchi che uniscono case di produzione, di distribuzione, e cinema, legati da contratti di esclusiva, quando non di proprietà delle case stesse.
Negli anni settanta i pinku eiga soffrono la concorrenza delle grandi case in crisi, che si rivolgono al mercato del morboso in cerca di ossigeno. Nascono così la serie new poruno della Tokatsu (affiliata della Shochiku), i pinky violence della Toei (con le serie Sukeban, Kyofu joshi koko [Terrore-studentesse] e Sasori 701 [Prigioniero 701]) e sopratutto la linea roman-poruno (porno romantico) della Nikkatsu, alla quale abbiamo già accennato, iniziata nel novembre 1971 con film che tornano alla durata standard (90′), proiettati in programma doppio. Strutturato dal punto di vista narrativo come un film canonico, basato spesso su adattamenti di opere letterarie (in prima fila il dandyismo feticista del primo Tanizaki Jun’ichiro, i gialli con risvolti morbosi di Edogawa Ranpo e lo scrittore erotico Uno Koichiro) e con una evidente inclinazione per la violenza sadomasochista il tipico film del genere, pur mantenendo la tendenza a limitare i costi, si avvale dell’apparato produttivo della casa per quanto riguarda studi, scenografie, attori, sceneggiatori e registi già professionisti, circuito di sale e distribuzione capillare, e di fatto si sovrappone alla categoria pink propriamente detta, che continua ad esistere nelle sale a luci rosse, e vede sorgere una nuova generazione guidata da Takahashi Banmei e Izumi Seiji, comprendente anche Nakamura Genji, Yoyogi Tadashi, Izutsu Kazuyuki. Malgrado i problemi con la censura e le forti critiche moraliste, la Nikkatsu investe fortemente sul roman-poruno e sul sottogenere ero-guro (erotico grottesco), formando nuovi registi, tra i quali Kumashiro Tatsumi, Tanaka Noboru, Konuma Masaru, Sone Chusei, Nishimura Shogoro, Kato Akira e Fujita Toshiya, Murakawa Toru, e riesce a rinviare il definitivo declino con una produzione massiccia (due film ogni 15 giorni, accompagnati da un terzo acquistato da indipendenti). Sono Kumashiro e Tanaka i direttori più rappresentativi. Il primo si distingue per lo spiccato nichilismo esistenzialista temprato da uno spiccato senso dell’umorismo, ed il ruolo forte ed attivo dei personaggi femminili, capaci di esprimere il loro desiderio e di rivelare le debolezze del maschio. I suoi film più noti risalgono agli anni settanta: Nureta kuchibiru (Labbra bagnate, 1972), Ichijo Sayuri – Nureta yokujo (Desideri bagnati, 1972) semidocumentario su una spogliarellista sadomaso, Akasen tamanoi. Nukeraremasu (Il bordello di Tamanoi, 1974), ritratto realista della quotidianità delle prostitute, Yojohan fusuma no urabari (Dietro la porta di quattro tatami e mezzo, 1975), Kurobara shoten (L’ascensione della rosa nera, 1975) ed il celebre Akai kami no onna (La donna dai capelli rossi, 1979), storia di una relazione nata occasionalmente in una città bagnata da una pioggia continua, con l’uomo che si scopre sempre più dipendente dalla donna, tratto da un racconto di Nakagami Kenji ed interpretato dai famosi attori Ishibashi Renji e Miyashita Junko.
Più cupo e teatrale nella sua ricerca estetica all’insegna di un realismo onirico il cinema di Tanaka, che si fa notare con Maruhi – Shikijo mesu ichiba (Mercato sessuale delle donne, 1974), che descrive la routine quotidiana di una prostituta, e lascia il segno con due opere significative come Jitsuroku Abe Sada (Dossier Abe Sada, 1975), elegante e gelida rappresentazione dello stesso fatto di cronaca (l’assassino a sfondo sessuale di un uomo da parte della sua amante) narrato da Oshima l’anno dopo ne L’impero dei sensi, ed il voyeuristico Edogawa Ranpo ryokikan – Yaneura no sanposha (L’uomo che cammina nel solaio, 1976), da un racconto del giallista Edogawa, spesso rivisitato dal filone ero-guro.
Gli ultimi spiccioli di gloria del genere si consumano al volgere del decennio, con una serie di opere dedicate al sadismo, dirette dai veterani Konuma Masaru (Kashin no irezumi [Il fiore tatuato], la serie Dorei keyakusho [Contratto di schiavitù] del 1982, e Nawa to chibusa [Corda e seno], dell’ 83) e Dan Kiroku, interpretati dalle attrici Tani Naomi e Matsukawa Tani, e la contemporanea serie Pinku no katen (La tenda rosa) di Uegaki Yasuro, che lanciò sull’onda pruriginosa del tema dell’incesto la divetta Miho Jun. In questo periodo avviene anche l’esordio di Kaneko Shusuke, con il fresco e giocoso Uno Koichiro no nurete utsu (Shoot & wet, 1984). La Nikkatsu riduce ulteriormente i costi ricorrendo a produttori esterni e rimpiazza attori e registi passati al cinema di genere con esordienti, sfruttando fino in fondo i principali filoni codificati (il sadismo, la scuola, le terme, i personaggi da romanzo); ancora al principio degli ’80 pinku e roman-poruno costituiscono il 70 per cento della produzione nazionale, ma la fine è soltanto rinviata.
La linea roman-poruno si chiude nel giugno 1988, dopo un calo iniziato alla fine dei ’70, perdendo la battaglia con gli adult video per il mercato domestico, che soffrono delle stesse limitazioni ma contribuiscono a spostare le abitudini degli spettatori verso la visione domestica, e la Nikkatsu finirà per fallire nel 1993.
Gli original video impegnano duramente, negli anni novanta, anche il modo del pink, e divengono anch’essi palestre di formazione per giovani registi. A questa sfida il pink reagisce con un rigurgito di creatività e sperimentazione, favorito indirettamente dal crollo dello studio system, in seguito al quale la vecchia trafila professionale (assistente-aiuto regista- sceneggiatore) scompare, lasciando ai giovani esordienti un ventaglio di possibilità che vanno dal cinema d’essai alla televisione fino, appunto, al pink ed ai video.
Ed è proprio la necessità di resistere al progressivo diminuire di film e sale, a fronte della visione privata, che restituisce ai pink, dalla fine degli anni ottanta alla prima metà del decennio 2000, la capacità di trasgredire, da un lato, e quella di lanciare giovani e coraggiosi sperimentatori pronti a veicolare le proprie visioni tramite l’erotismo, dall’altra. Bastano un paio d’anni di apprendistato per diventare registi di pink. Diversi registi di successo degli anni ’90 hanno iniziato con i pink: è il caso di Morita Yoshimitsu, Negishi Kichitaro (per la Nikkatsu), Suo Masayuki (Hentai kazoku – Aniki no yomesan [Famiglia perversa – La moglie di mio fratello, 1983]), di Kurosawa Kiyoshi (Kandagawa inran senso [Le guerre di Kandagawa, 1982]), e di Takita Yojiro (Chikan onna kyoshi [L’insegnante pervertita, 1981] e ancora la serie Chikan densha [Treno di maniaci]). Le piccole compagnie di proprietà dei registi, che avevano guadagnato bene negli anni settanta, cominciarono a chiudere nel decennio successivo, con poche eccezioni, tra le quali la Shishi di Mukai Kan, che però, dopo aver lanciato Takita Yojiro, Kataoka Shuji, Sato Hisayasu e Zeze Takahisa, ha ridotto praticamente a zero la sua attività.
Tra i registi diventati produttori, ricordiamo anche Mochizuki Rokuro, che, in controtendenza, ha fondato nel 1986 la Porno-Video-Production-E-Staff-Vision, alternandosi con leggerezza tra feature films e pink; Accanto a lui rimane attiva la Tantansha della veterana Hamano Sachi, attiva dal ’71 e in grado di girare fino a 20 film in un anno. Le società che controllano il mercato sono rimaste quattro: le storiche Okura (fondata nel ’61), sorta presso l’ufficio vendite di Osaka della Shintoho, e Kokuei (fondata nel ’55 ed attiva nel mondo pink dal ’62), entrambe distribuite dalla rinata Shintoho, la Excess (X-cess), nata dalla riorganizzazione della Nikkatsu nel 1988, e la ENK, sorta nel 1983 e specializzata in cinema omosex. Come vedremo, mentre la tendenza di Okura ed in particolare di Excess è quella di film per appassionati storici, con nudo e sesso sparsi ovunque, le altre due favoriscono la creatività degli autori. Con la ristrutturazione dovuta all’assalto del video, cresce l’importanza dei produttori, che non si limitano a procurare il denaro necessario ma sono responsabili della preparazione, della lavorazione, della distribuzione e della promozione dei film. La professionalità del produttore in un mercato in compressione diventa un fattore determinante.
Il livello di qualità delle opere viene riconosciuto dai Pinku Taisho, i premi oscar del pink, organizzati dalla rivista specializzata New Zoom-up, poi divenuta PG, per molti anni consegnati presso la storica sala Kameari-za di Aoto-Tokyo, chiusa nel 1999 dopo un evento speciale di addio. Negli anni 2000, ad imitazione dei tornei di wrestling, è stato lanciato il concorso P-1 Grand Prix, una settimana di sfide durante la quale gli spettatori sono chiamati a scegliere tra due film in competizione, dopo la visione ed un dibattito con i registi, fino alla proclamazione di un vincitore assoluto (la prima edizione, del 1999, è stata vinta da Love juice di Tajiri Yuji).
Complesso il discorso per gli attori, e soprattutto le attrici. Per loro il destino è simile a quello degli attori porno occidentali: una fama da star che ha come contraltare la non rispettabilità di fronte a ruoli “normali”, molti soldi ma anche moltissimo lavoro, perché la bellezza fisica, si sa, non dura per troppi anni, sperando di riciclarsi come scrittrici o personaggi di talk show, o di rimanere nel giro reinvestendo nella produzione.
Negli anni ’90 le vecchie major hanno continuato ad esistere principalmente come distributrici e gestrici di sale, ed il cinema indipendente ha guadagnato una posizione dominante, mentre TV satellitari e via cavo e mercato video hanno modificato i gusti degli spettatori, e la rivoluzione di internet ha moltiplicato i mezzi di diffusione. Apparentemente condannato a morte, il genere pink vende cara la pelle. Una nuova generazione, quella dei cosiddetti Shitenno (i quattro re celesti) si fa notare, a partire dall’ ’89, per una serie di lavori estremamente personali, giudicati troppo intellettuali dai gestori del circuito ma accolti positivamente dai colleghi, dalla critica, e dai cinefili all’estero; i fondatori di questa pinku noberu bagu sono Sato Hisayasu (nel giro già dal 1985), Sato Toshiki, Sano Kazuhiro e Zeze Takahisa. I loro lavori estremamente aggressivi nei confronti delle convenzioni sociali, che si pongono in rapporto critico e dialettico con gli stilemi del genere, forzandone i limiti ed espandendone le possibilità, sono stati presentati nel novembre 1993 in una rassegna d’essai al circolo culturale dell’Académie Française, e successivamente all’estero, a partire dal festival di Rotterdam del ’95 e dalla Viennale dello stesso anno.
Dal punto di vista stilistico, Sato Toshiki e Sano sono più lineari e predisposti alla narrazione, mentre Sato Hisayasu e Zeze producono film più complessi. Sato Toshiki, in collaborazione con lo sceneggiatore Kobayashi Masahiro, mette a fuoco con sguardo ironico le situazioni e le relazioni del vivere quotidiano (nel 2001 vince il pink movie award con Rin no aegi [Moans from next door], episodio della serie Danchi tsuma, creata da Imaoka Shinji), mentre Sano Kazuhiro rivela una grande capacità nella creazione dei personaggi e di uno sviluppo drammaturgico, ed è anche sceneggiatore ed attore dei suoi film, che giocano coi generi convenzionali passando dall’azione, alla critica sociale, al melodramma.
Per quanto riguarda i registi meno accessibili, Sato Hisayasu è il più cupo ed ossessivo, e si concentra sulla tematica dello sfacelo dei rapporti interpersonali in una società tecnologica e disumanizzata, vicina alla realtà virtuale, dove i suoi personaggi isolati sono in contatto con il mondo soltanto tramite interfacce tecniche. In questo quadro di disgregazione sociale, il corpo rimane l’unica prova della fisicità del mondo, e con la sua stessa vulnerabilità testimonia dell’esistenza; la violenza viene imposta allo spettatore per scuoterlo ed inquietarlo. Tra i suoi lavori più noti Bondage collector: kyonyugari (1991), Mugen fuck jigoku (1991), Inju no tenshi (1994) e Mangenkyo binikunaburi (1994).
Dei nostri quattro eroi, Zeze Takahisa è indubbiamente il più vario ed articolato, per consistenza tematica, valore intellettuale e qualità evocativa; il suo stile narrativo è profondamente giapponese, legato alla presenza del paesaggio, ed allo stesso tempo attento agli eventi dell’attualità o della storia recente. Spesso introduce nei suoi lavori tematiche filosofiche, come la riflessione sulla vita dopo la morte, topos da lui abbastanza frequentato. Non c’è da stupirsi della scarsa capacità di comprensione dello spettatore vecchio stile, interessato meramente al nudo ed all’azione erotica, ed il passaggio di Zeze al cinema d’autore sembra uno sviluppo naturale del suo modo d’intendere il cinema. Tra i suoi film Kokyou soputekunikku 4 – Monzetsu higi/Karura no yume (Tecnica al sapone di alta classe 4 – Atti segreti d’estasi/Sogno di Garuda, 1994), Sukebe tenkomori/End of the world (Un mucchio di cose sporche, 1995), Owaranai sex – Yoru naku semi (Sesso infinito – Cicale nella notte, 1995), ed ancora Juyokuma ranko/Aosora (Desiderio bestiale. Furia diabolica/Cielo blu, 1989), terza parte di una serie ed ispirato ad un famoso caso criminale, e Waisetsu boso shudan – ..Kemono/No man’s land (La gang dei fuggitivi osceni – Bestie, 1991) dove fa capolino la guerra del golfo. Nel 2001 ha vinto il P-1 Grand Prix con il lungometraggio in digitale (77′) Tokyo Erotica, cinque storie di amanti destinati alla morte parzialmente ispirate dall’attentato dalla setta Aum, una narrazione astrusa che frantuma il flusso temporale, onnipresenti le tematiche della vita, della morte e della rinascita. Altri registi da citare sono Nakamura Genji e Hiroki Ryuichi.
Il successo degli Shitenno si deve alla lungimiranza di Sato Keiko, presidentessa della casa di produzione Kokuei e produttrice, con lo pseudonimo di Asakura Daisuke (pseudonimo usato da diversi produttori della Kokuei negli anni ’60 e ’70 prima di venir ereditato dalla Sato), che ha sostenuto i progetti dei quattro di fronte alle minacce di boicottaggio dei gestori di sala, ed ha inoltre proseguito sulla strada del pink d’autore producendo i film più importanti dei registi della generazione successiva, Ueno Toshiya, Imaoka Shinji, Kamata Yoshitaka, Enomoto Toshiro, Tajiri Yuji, Meike Mitsuru e Sakamoto Rei, noti come Shichifukujin, i sette dei della fortuna, legittimati, come i loro predecessori, da una rassegna all’Académie nel marzo 2000. Formatisi tutti come assistenti della “banda dei quattro” e da essa fortemente influenzati, questi registi, rispecchiando i mutamenti sociali, hanno prodotto film più introspettivi e meno provocatori, dove la sessualità viene vista nuovamente come un tentativo di mediazione per una ricostruzione dei rapporti umani e le insicurezze e le speranze della gioventù di fine millennio emergono con delicatezza ma in modo preciso. Tra le loro opere almeno OL no aijiru – Love juice di Tajiri, che narra di una relazione tra una trentenne ed un’adolescente descrivendo la chiusura emozionale di entrambi risolta dal sesso come mezzo di comunicazione, il delicato Sex friend, esordio di Sakamoto con un pizzico di soprannaturale, entrambi del ’99, il post-atomico Hitoban ni nanto demo (Glitter) di Enomoto (’97), Gusho nure hitotsuma kyohi (Despite all that, ’99) di Imaoka, il poliziesco Abunai jiyu – Kemono no shitatari di Kamata (No woman no cry, ’98, scritto da Zeze), la commedia Shirokata to hitotsuma – Shitagaru aniyome (La moglie di mio fratello vuole farlo, ’98) di Ueno, Hakui inran – Nureta mama nido sando (Bagnata per la seconda e terza volta, esordio dell’anno per il 1997), Harenchi famiri – Newaza de ippatsu (Una famiglia in calore, ’02), l’esilarante Hanai Sachiko no karei no shogai/The glamorous life of Sachiko Hanai (2005), nel quale una prostituta resa onniscente da un proiettile in testa si trova al centro di un intrigo spionistico finalizzato a recuperare il dito clonato di Bush, Noko furin torareta onna/Bitter sweet (2004-05, uscito nei circuiti d’essai), e l’ambizioso ed onirico Furin tsuma – Jihono (Snow, woman, 2000), tutti di Meike, ai quali si può aggiungere Isshukan – Aiyuku nikki (One week, 2000) di Kobayashi Masahiro. I loro film più rappresentativi sono marcati dalla presenza della diva Sasaki Yumeka, che ha recitato in Sara (’98) di Kamata, Stop using sex as a weapon (’98) e Second-hand love (2000) di Meike, Shirokata to hitotsuma (’98) di Ueno, Summer we strained our ears (2001) di Enomoto. Sasaki ha recitato anche con registi delle generazioni precedenti, come Hashiguchi Takuaki, Fukamachi Akira e Watanabe Mamoru, e con gli Shitenno (Only tonight, Moans from next door e Blue sky di Sato Toshiki, Japansuke ed il classico Tokyo Erotica di Zeze). Tra le altre dive del pinku si possono ricordare Hayashi Yumika (più di 400 film dal 1989 alla morte misteriosa nel 2005, a soli 35 anni), Hazuki Hotaru (One week), Kubota Azumi (Love juice), Konatsu (Bitter sweet), Kuroda Emi (Hanai Sachiko) e Sasaki Mayuko (Tokyo Erotica, Kemono no shitatari).
Una parola ancora si può spendere per Yoshiyuki Yumi, la migliore tra le poche donne registe (tra le altre, Hamano Sachi e Tama Rumi), con un passato di attrice, punta di diamante, assieme a Araki Taro e Kunizawa Minoru, della Okura noberu bague, l’ultima generazione di registi lanciati dalla casa di produzione Okura, specializzata in film che cercano un compromesso tra l’innovazione e la vendibilità, meno vivace della Kokuei ma decisamente più varia rispetto ai film della X-cess, casa legata alla Nikkatsu e caratterizzata da produzioni commerciali. La Okura è stata anche una delle case leader nello sviluppo del pink per omosessuali, il barazoku eiga (cinema della banda delle rose), sviluppatosi a partire dal 1983; la produzione di una decina di titoli all’anno, spesso con esiti interessanti, dipende esclusivamente dall’Okura e dalla società specializzata ENK, col favore della quale sono usciti lavori interessanti e creativi di registi come Niizato Mosaku, Tomomatsu Naoyuki, Suzuki Akihiro e Kajino Ko.
BIBLIOGRAFIA
Su pinku eiga, roman-poruno e cinematografia giapponese dal 1960 a oggi:
Yamane Sadao: “Come nasce un “roman porno”, in AA.VV. “Schermi giapponesi/Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – 1. La tradizione e il genere”, progettato dalla Direzione della Mostra con Hasumi Shigehiko, Yamada Kouichi e Satoh Tadao, per essa curato da Marco Mueller, ‘Quaderni della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema’ n. 17 (92), collana diretta da Lino Miccichè, NuovoCinema/Pesaro – Marsilio Editori S.p.A., Venezia, giugno 1984, pp. 227-238 (“Kannou tekina eiga no nikutai no tanjou genba”, originariamente in “Hanashino Tokushu”, 2/1983, trad. Satoh Mitsuko, rev. Maria Teresa Orsi e Sagiyama Ikuko);
Ogawa Toru e Takechi Tetsuji: “Autori e censura. Il processo a Takechi Tetsuji. Tre interventi su ‘Neve nera’”, in AA.VV. “Schermi giapponesi/Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – 2. La finzione e il sentimento”, progettato dalla Direzione della Mostra con Hasumi Shigehiko, Yamada Kouichi e Satoh Tadao, per l’Ufficio Documentazione curato da Vito Zagarrio, ‘Quaderni della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema’ n. 18 (93), collana diretta da Lino Miccichè, NuovoCinema/Pesaro – Marsilio Editori S.p.A., Venezia, giugno 1984, pp. 129-136 (Dossier su ‘Kuroi yuki’, originariamente in “Eiga Geijutsu”, 7/1965 e 10/1966, trad. Kawabata Kyoko, rev. Maria Teresa Orsi e Sagiyama Ikuko);
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Satoh Tadao: “per una storia del movimento” in AA.VV. “Racconti crudeli di gioventù – nuovo cinema giapponese degli anni 60”, a cura di Marco Mueller e Dario Tomasi, 6° Festival Internazionale Cinema Giovani/Fondazione Giovanni Agnelli – EDT Edizioni di Torino, Torino, (ottobre) 1990, parte 1 (Storie, teorie e pratiche), pp. 3-24 (in particolare il paragrafo ‘La comparsa dei film erotici’, pp. 15-16) (trad. Maria Teresa Orsi);
Yamane Sadao: “La quantità della qualità: autori e generi” in “Racconti crudeli di gioventù”, op. cit., parte 1 (Storie, teorie e pratiche), pp. 45-64 (in particolare pp. 61-63) (trad. Dario Tomasi);
Oshima Nagisa: “Wakamatsu Kohji: discriminazione e carneficina” in “Racconti crudeli di gioventù”, op. cit., parte 2 (Le stagioni del nuovo cinema), pp. 159-162 (originariamente in “Eiga Hihyou” 10/1970, trad. in AA.VV. “Cinema giapponese degli anni ’60” [1], quaderno informativo n. 41, Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, Pesaro, 1972, pp. 86-87);
Max Tessier: “Breve storia del cinema giapponese”, collana ‘Strumenti’, Lindau s.r.l., Torino, 1998 (gennaio 1999) (ed. or. “Le cinéma japonais. Une introduction”, Paris, Éditions Nathan, 1997, trad. Dario Buzzolan) (in particolare al cap. VI “1960-1970. Le ‘nouvelles vagues’ e il declino delle majors” il paragrafo VI.4 ‘La rivoluzione sessuale sullo schermo’, pp. 91-93, ed al cap. VII “1973-1980. Fine delle sperimentazioni e nuovi indipendenti” il paragrafo VII.2 ‘Le ultime cartucce delle majors’, pp. 97-102 ed il quadro ‘La censura cinematografica in Giappone’, p. 99);
Ohkubo Ken: “Il nuovo cinema e le sue radici”, in AA.VV. “Il cinema giapponese oggi – Tradizione e innovazione/Pesaro Film Festival – XXXVII Mostra Internazionale del Nuovo Cinema”, a cura di Giovanni Spagnoletti e Dario Tomasi, con la collaborazione di Olaf Moeller, Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus – Lindau s.r.l., Torino, (giugno) 2001, parte prima (Gli elementi strutturali), pp. 17-34 (in particolare i paragrafi ‘La Nikkatsu e il “roman porno”‘, pp. 21-23 e ‘Dalla Directors’ Company all’ATG’, pp. 23-26);
Ronald Domenig: “”Pretty in Pink”, la storia e il significato dei “pink eiga” nel cinema giapponese”, in “Il cinema giapponese oggi”, op. cit., pp.40-50;
Maria Roberta Novielli: “Storia del cinema giapponese”, prefazione di Oshima Nagisa, collana ‘Saggi Cinema’ a cura di Giorgio Tinazzi, Marsilio Editori s.p.a., Venezia, giugno 2001 (in particolare al cap. “Un mondo giovane: l’era dell’individualismo” il paragrafo ‘Le formule di successo del cinema erotico’, pp. 246-251, ed al cap. “Il lungo silenzio” i paragrafi ‘Nuovi nomi dal mondo del super-8, dello sperimentalismo e della pornografia’, pp. 262-270 e ‘Romantico, erotico, quasi pornografico’, pp. 293-295);
Roland Domenig: “Carne vitale: il misterioso mondo dei Pink Eiga/Vital Flesh: the Mysterious World of Pink Eiga, in Far East Film 4 (catalogo)/Nickelodeon numero speciale 99-100, direttore responsabile Giorgio Placereani, editor Stephen Cremin, editor saggi e interviste Richard James Havis, Centro Espressioni Cinematografiche, Udine, aprile 2002, sezione saggi, pp. 48-55 (trad. Carla Carbonera, Daniela Persi, Francesca Giorgetti, sup. Giorgio Placereani).
Per le schede filmografiche e biografiche:
AA.VV. “Racconti crudeli di gioventù”, op. cit., parte 5 (strumenti) – dizionario dei cineasti e degli attori, pp.267-286 (in particolare pp. 284-285);
AA.VV. “Il cinema giapponese oggi”, op. cit., parte 3 – ritratti: 27 registi, a cura di Olaf Moeller, Roberta Novielli e Dario Tomasi, pp.139-185 (in particolare pp. 147-148, 162-163 e 184-185);
Maria Roberta Novielli: “Storia del cinema giapponese”, op. cit., indice dei film per registi, pp.319-331;
Far East Film 4 (catalogo) op. cit., sezione schede, pp. 77-141 (in particolare pp. 73, 84, 93, 109, 112, 115, 118, 119, 120, 125) e sezione star a Udine, pp.142-143;
Far East Film 8 (catalogo) )/Nickelodeon numero speciale 2006 118-119, [direttore responsabile Giorgio Placereani, editor Stephen Cremin], editor saggi e interviste Richard James Havis, Centro Espressioni Cinematografiche, Udine, [aprile] 2006, sezione schede, pp. 83-139 (in particolare pp. 93, 102, 136-137).
Interviste e comunicati stampa:
Roland Domenig: “Skin Racers: The P-1 Grand Prix”, comunicato stampa, Far East Film 4 (aprile) 2002;
“Miss ‘Pink’: scambio di battute con l’affascinante attrice giapponese Sasaki Yumeka”, in FMM – Filmaker’s Magazine presenta Daily Far East Film Festival, 23 aprile 2002, Udine/Roma (intervista a Sasaki Yumeka di Silvia Giagnoni e Maria Stella Ziggiotti);
“Tra metafisica ed Eros – immagini sfocate, sovrapposizioni temporali, e lotta tra la vita e la morte”, in FMM – Filmaker’s Magazine presenta Daily Far East Film Festival, 23 aprile 2002, Udine/Roma (intervista a Zeze Takahisa di Maria Stella Ziggiotti).
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