philosophy and social criticism

Premessa a “Braque il maestro”

Sergio Solmi [*]

Prefazione a Jean Paulhan, Braque il maestro, traduzione e nota bibliografica di Renato Turci, s. n. [edizione di 600 esemplari a cura dell'”Associazione degli amici di Sergio Solmi”, Tipografia Ottavio Capriolo], Milano 1984, pp. 9-11.

Come si diceva, non si parlò di Braque. Né, a quel tempo, conoscevo il libro qui tradotto dall’amíco Turci , Braque le Patron, che ripescai più tardi non so su quale bancarella. In una lettera di Paulhan a Braque del 1951, l’autore spiega la ragione di una tale denominazione. Patron nel senso cristiano della parola (« patrono », in questo caso, della pittura moderna): « ce que les Orientaux appellent le gourou ». Mi pare che Turci abbia reso ottimamente il senso di questo titolo con Braque il maestro.

Mentre ho conosciuto personalmente Pícasso, non ho mai conosciuto Braque (morto nel 1963). Ma, paragonando i due pittori, confesso che la mia preferenza va al secondo. Certo non disconosco la grandezza del primo, il suo getto d’invenzione continuo, tale da fertilizzare un mezzo secolo di pittura francese   e non solo francese. Le due salette del Museo dell’arte moderna di Parigi, dedicate rispettivamente ai due pittori, si equivalgono: ma ivi Pícasso e attentamente selezionato. I quadri dell’ultimo periodo, paurosamente moltiplícantisi qualefrutto di mezza giornata di lavoro, mi persuasero assai meno: pur riconoscendo lo spirito polemico e atrocemente umoristico che in qualche modo li giustifica.

Quanto mi incanta in Braque è la sua continuita con la tradizione francese. Pure nella frantumazione cubística, a guardar bene, nessuna vera e propria rottura col passato. Attraverso lo scardinamento delle forme, continua a svolgersi un sottile filo sotterraneo di tradizione, tale da far pensare (ne sembri un paradosso) alla nettezza di Chardin eforse di altri pittori antichi e moderni.

Non sono un critico d’arte professionale, perciò le presenti considerazioni vanno prese in senso relativo. Nessuno nasce senza padri, del resto, e dirò una cosa ovvia osservando che gli

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antenati di Picasso vanno principalmente ricercati fra gli Spagnoli, dal Greco, a Goya e a Muríllo (l’ultima mostra da me veduta era un « Omaggio a Murillo »: un Murillo, naturalmente, trasformato in puro « picasso »).

Tralasciando questo discorso, che mi sembra un po’ ozioso, dirò che, per tradurre il libretto, nessuno poteva essere meglio indicato di Renato Turcí. Nato in Francia da rifugiati italiani, e precisamente a Longwy, in Lorena, credo non molto distante da Domrémy, paese nativo di «Jehanne, la bonne Lorraíne qu’Englois bruslerent a Rouan » (così come canta Víllon nella Ballade des dames du temps jadis), Turci fece scuole francesi, e il francese fu la sua prima lingua. E gia possedeva il gusto della pittura. Sedicenne ritornò in Italia, e precisamente a Cesena, città piena di ricordi storici, dove fa il bibliotecario alla Malatestiana (erede, in qualche modo, di Renato Serra) e dirige la redazione di un’interessante rivista di severi studi storici e letterari, « Il lettore di provincia », ben nota agli studiosi, a cui collaborano alcuni dei migliori critici, giovani poeti e narratori d’Italía. Il lettore vedrà così in bella veste il Braque di jean Paulhan, tradotto nel modo quanto più possibile aderente.

Milano, settembre 1978

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