Renato Turci un “maestro di provincia”
M. D.
Critico letterario e poeta, nato il 10 ottobre 1925 a Longwy, in Lorena, dal ’41 abitava e lavorava in quella che in poco tempo sarebbe divenuta la sua «vera patria di provincia»: Cesena.
L’incontro con la città e la cultura romagnola avvenne grazie alla mediazione di Renato Serra, del quale Turci si sarebbe segnalato, negli anni, come uno dei principali studiosi, curandone gran parte dell’opera e dei carteggi inediti. Su tutte, va quanto meno ricordata l’edizione critica delle quarantasette lettere che Serra indirizzò a Fides Galbucci, confluite nel volume Saetta che ferisce e vola, edito nel 2001 da Le Monnier per i “Quaderni della Nuova Antologia”. Di queste solo sedici, già apparse nel 1929 sulla rivista “Pegaso”, erano conosciute prima che Turci le ritrovasse e le pubblicasse con un titolo che, indirettamente, richiamava le tematiche del Jean-Christophe di Romain Rolland, opera amata dalla Galbucci e dal suo illustre corrispondente, che non a caso se ne servì per redigere lettere di rara sensibilità musicale, quasi fosse «la scrittura stessa», come una nota a lungo trattenuta, a rimanere «sospesa sopra il silenzio». Apriva il volume un saggio dello stesso Turci, sobriamente titolato Lungo viaggio verso Renato Serra, in cui dietro alla scrupolosissima ricognizione dei testi, non era difficile riconoscere un contrappunto condotto proprio su questo registro della scrittura serriana. Archivista, vicedirettore e poi presidente della Biblioteca Malatestiana, nel 1970 con Cino Pedrelli e Bruno Pompili aveva fondato il periodico “Il lettore di provincia” che, nel titolo e nella “missione”, si ispirava proprio all’insegnamento di Serra. Un insegnamento che in Turci si univa a quello di Jean Paulhan, altro suo grande compagno di viaggio al cui metodo critico, in più di un’occasione, dedicò saggi di grande rilievo.
Raffinato traduttore, a Turci – scomparso a Cesena il sette gennaio 2007 – si devono le versioni di Braque il maestro, edita a Milano in un’ormai introvabile plaquette con prefazione di Sergio Solmi, degli Scritti sugli hain-teny e sui proverbi malgasci (Ripostes, 1993), La chouette et le hibou: apologo metafisico, oltre a una singolare raccolta di Haiku (Longo, 1992). Fra i suoi ultimi lavori, prezioso, per stile e impostazione, rimane Un quadrilatero letterario. Serra, Vailati, Paulhan Ungaretti, edito da Il ponte vecchio di Cesena a cui seguì la ristampa di una raccolta poetica, Malcantone, dedicata all’omonima località cesenate. «Il vento», vi si legge, «accumula neve su Malcantone./A letto/dopo un tozzo di pane/e un po’ di vino/il calore viene per tutti».
Raro esempio di fedeltà a un rigore che sapeva essere concretamente antiretorico e duramente «provinciale», come ultimo saluto a Turci non sarebbero certo dispiaciute le parole che Serra indirizzava a un amico, poco prima della partenza per il fronte del Pogdora che gli fu fatale. Non «mi farà male», scriveva Serra, riprendere «contatto con la vita comune», con tutte le cose con «di cui è fatta una strada, e, infine, la vita».
[Articolo apparso su “il manifesto” l’otto gennaio 2007]
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