Spaventi e vermi dei bambini nuragici. Un saggio antropologico
Alfonso M. di Nola
Nando Cossu, Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e terapie magiche, Delfino, Sassari 1995.
Nella cultura popolare sarda, come del resto in tutte le altre culture popolari del paese, appaiono diagnosi e terapie spesso fondamentalmente distanti da quelle ufficiali, ed esse presuppongono una particolare visione del mondo della natura e degli animali la quale sarebbe dotata della capacità di risolvere talune malattie tra le più gravi. E’ molto difficile stabilire se in questo rapporto esistano relazioni reali fra il mezzo curativo ed il male, o se invece si tratti più spesso di suggestione. Può anche trattarsi di una vera e propria dinamica magica, anche qui trasmessa attraverso i secoli dalla tradizione e confermata da numerose verifiche, anch’esse fondate sul potere curativo attribuito all’oggetto. Un lungo libro di Nando Cossu, studioso e articolista di materia medica della sua isola affronta con minuzia le varie classificazioni di malattie subalterne, tralasciando per non comprensibile pudore quelle che appartengono alla sfera sessuale. L’opera diviene molto importante come serie di dati che si aggregano alla cultura sarda e ne ampliano la conoscenza già nota sotto molti aspetti.
Come per le altre medicine popolari ci troviamo in presenza di un sistema di rapporti assolutamente diversi da quelli appartenenti alla medicina dotta, nella quale, almeno in linea di principio, la prognosi, la diagnosi e la terapia appartengono allo stesso modello. Nelle medicine popolari uno di tali tre fondamentali elementi si distanzia per sua natura dagli altri: la causa della malattia, e quindi la diagnosi, possono essere ricercate in un mondo d’influenze e di azioni magiche e soprannaturali, mentre la terapia può avvalersi dei più disparati mezzi che nella comune credenza aiutano a far superare il male per un’azione che assolutamente non appartiene alla logica della diagnosi e della terapia. Per dare soltanto qualche esempio appartenente alla cultura sarda, in essa è molto frequente, per malattie della più diversa origine, bere urina. Come frequente è l’immergere completamente il malato nel letame fino al mento, dandogli spesso a deglutire feci umane sigillate in ostia. Ancora in un altro esempio, che richiama antichi metodi contadini, diviene particolarmente efficace in molti mali la suzione del verro di maiale che, spesso di nuovo disseccato, viene poi concesso in prestito ad altre persone perché lo facciano bollire nelle minestre mancanti di ogni condimento, per essere poi restituito ai proprietari: segno della enorme miseria di alcuni strati della popolazione.
Nel libro, che nelle sue minuzie diventa talvolta estenuante e noioso, assumono importanza le particolari malattie che provengono da paura e spavento, per esempio i vermi dei bambini che, secondo un’arcaica credenza, deriverebbero dall’aver atterrito improvvisamente un infante. Diagnosi questa che presenta dirette analogie con alcuni paesi dei Mari del Sud dove erroneamente qualche studioso ha ritenuto che il parlare a voce bassa ai bambini costituisca un fine sistema di rapporto con l’infante e che invece è sicuramente rappresentato dalla tabuizzazione del gridare e parlar forte per evitare la conseguenza dell’improvviso spavento e delle relative malattie fino alla perdita dell’anima.
[da il manifesto, 6 febbraio 1997]