philosophy and social criticism

Testa di cane. Nota su Jean Dutourd

di Francesco Paolella

Nota su: Jean Dutourd, Testa di cane. Cronaca spassosa di una vita infelice, ISBN, Milano 2013.

Ora che siamo vittime della complessità (e dei discorsi sulla complessità), ora più che può essere un buon esercizio ritornare alla metamorfosi, mettersi nei panni di esseri dall’apparenza mostruosa e sul limite dell’umanità.

Edmond, il protagonista di questo romanzo uscito più di sessanta anni fa in Francia da Gallimard, nasce come bambino perfettamente sano, ma con una testa di cane (e di uno spaniel per di più, si lamenterà sempre). Edmond non sa dire cosa sia, impiega un’esistenza (inevitabili umiliazioni, illusori successi, un vasto patrimonio accumulato, un matrimonio folle) per scoprire la propria identità, per lasciarsi vincere dalla propria natura. La sua vita si rivelerà alla fine una rincorsa verso l’istinto.

Una testa di cane, che sa pensare, la testa di un ragazzo cartesiano, che avrebbe voluto fare il politico, essere un nuovo Napoleone. Edmond cerca con ostinazione, in ogni modo, non risparmiandosi in niente, il buon che può venire (se buono si può definire) dalla sua condizione. Vuole essere orgoglioso di sé, più di quanto non lo sia realmente.

Cresce, come tutti, vedendosi attraverso gli occhi degli altri, subendo il terrore dei genitori, più traumatizzati di lui. Decide di essere un uomo, vuole esserlo. E’ una illusione ovviamente e, in fin dei conti, una crudeltà che si infligge da solo.

Vorrebbe soprattutto potersi riconoscere in un suo simile, lo cerca nei libri, nella mitologia, fa un lungo viaggio in Egitto. Desidera di poter finalmente perdere questa sua unicità e così pesante da sopportare. Ma al contempo vorrebbe non dover rinunciare a nulla della propria individualità. Questo conflitto lo spinge a ribellarsi tanto al pietismo quanto all’irrisione altrui.

Nessuno lo tratta con spontaneità (e come potrebbe?). Cerca una sua uguaglianza nei cani, nel possedere dei cani, che sono la sua vera ossessione.

La ricerca della propria autenticità e il desiderio di essere un atomo perso nella massa, di mascherarsi fino a rendersi invisibile, lo portano più volte alla disperazione.

Divenuto adulto e abbandonato dalla famiglia, sceglie la strada del cinismo: non può pretendere che una donna lo ami? Sfrutterà a proprio vantaggio i desideri, la curiosità di donne dai gusti particolari. Decide di affidarsi al denaro: un uomo con la testa di cane non può vivere povero. Il lusso può nascondere. Dopo aver dovuto lasciare un posto da impiegato di banca per le umiliazioni subite da una collega, si crea una fortuna in borsa, e solo per potersi mimetizzarsi meglio. Ma è vinto da una forza invincibile, che non riesce a riconoscere né ad accettare. Soltanto in pochi momenti può sentirsi forte, può tentare la via della vendetta.

«L’aspetto più sbalorditivo della sua nuova condizione [la ricchezza] era il fatto di avere dei domestici che lo chiamavano “signore” e gli mostravano rispetto. “Quanta strada ho fatto dai tempi della banca” pensava con orgoglio. “Adesso ho dei bei vestiti, del buon cibo, e soprattutto, soprattutto, ho al mio servizio un uomo e una donna. Come un despota, impartisco ordini a due esseri provvisti di un volto umano, due esseri che, in teoria, sono di una razza superiore alla mia» (p. 80).

Ma sono solo momenti. Edmond, che ha voluto per anni un’anima per poterla mostrare, alla fine è spinto, per una «fatalità canina», a vivere sempre più come un cane, lavorando come guardiacaccia.

Alla fine, vinto dal proprio istinto, si lascia essere semplicemente un mostro.

Questo libro di Jean Dutourd non è cupo. Usa l’assurdo con leggerezza. E maneggia il mostruoso tenendosi sempre un po’ distante dall’orrore. Insomma l’atmosfera non è quella di Freaks di Tod Browning, e nemmeno quella di The Elephant Man da David Lynch. Né, d’altra parte, si cade nel campo, sempre un po’ morboso, della teratologia. Siamo più vicini a Guglielmo il Dentone, all’Alberto Sordi aspirante giornalista nel film I complessi (1965). Penso in particolare alla sua volontà di ferro, alla caparbietà con cui vuol far valere le sue doti di speaker televisivo, nonostante la dentatura. Ecco che in questo passo, Edmond sta appunto cercando lavoro. E si propone anche come supplente di liceo (è laureato in lettere, oltre che in legge):

«“Signor ispettore generale” disse Edmond “lei è un ipocrita. Mi rifiuta una supplenza perché ho una testa di cane non perché non sono abilitato”. “Giacché mi costringe a dirlo, in effetti è così. Giudichiamo sia inopportuno imporre agli studenti un professore con una testa di cane, tanto più che si tratta di un professore di lettere. Il corso dei loro studi, e perfino della loro crescita individuale, potrebbe esserne spiacevolmente, oltre che irrimediabilmente, turbato”» (p. 59).

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tysm literary review, Vol 6, No. 9,  November 2013

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ISSN:2037-0857