Trenta denari. Un’Italia svenduta all’oscura gioia del denaro
Così si legge sul Corriere della Sera del 5 dicembre 1992: «Un “corvo” via fax ha gettato scompiglio nel “Telethon”, la maratona tv che raccoglie fondi a favore della ricerca sulla distrofia muscolare, in onda su Raiuno. Con un comunicato anonimo sono state rivelate le cifre percepite da alcuni personaggi che partecipano alla trasmissione. Tra gli altri, Paolo Villaggio avrebbe ricevuto 70 milioni, Gianni Minà. che smentisce. 40 milioni, i cani della Finanza 25, Topo Gigio 15. La Rai conferma di aver pagato spiegando che le cifre comprendono anche le spese dei trasporti e di produzione». Una vecchia storia, su cui non avrebbe senso tornare, se non fosse che sullo sfondo qualcosa non ha smesso di agitarsi: è «l’oscura gioia del denaro», di cui parlava Giovanni Testori in un dimenticato, “oscurato” articolo scritto nei suoi ultimi mesi di vita e apparso il 6 dicembre 1992 sul Corriere della Sera. Scritto da un letto d’ospedale, là dove Testori invitava di andarlo a prendere in caso di querela o processo. Oggi, il Telethon torna d’attualità. Di sconcertante attualità. Almeno per noi, che non accettiamo questa degradazione della pietà e della solidarietà. Nelle ore che stanno scuotendo l’Italia per lo scandalo della votazione pro-azzardo al Senato della Repubblica (alcuni approfondimenti→qui) apprendiamo che nel 2014 Telethon legherà ancor più la sua raccolta fondi proprio al settore dell’azzardo legale, grazie a un accordo con i Monopoli di Stato e le società del settore “gambling” e con il progetto “Il gioco fa rotta sulla ricerca“.
Torna allora d’attualità, di sconcertante attualità il grido di Giovanni Testori: Pietà l’è morta. Corruptio optimi pessima, ciò che era buono una volta corrotto diventa pessimo. «La corruzione puzza. Se c’è qualcosa che comincia a puzzare significa che c’è un cuore putrefatto», scriveva a pochi mesi di distanza, l’allora cardinale Bergoglio (era il marzo del 1991). Il corrotto non conosce la fratellanza, ma solo la complicità. Per lui o si è complici o si è nemici. Tertium non datur. (md)
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di Giovanni Testori
«Pietà l’è morta»: così, tragicamente così, e con il magone che ci stringe la gola, conviene scrivere sulla fronte dell’Italia, in un modo o nell’altro emergente. Le notizie di come quell’Italia si sia venduta e stia, di nuovo, vendendosi all’oscura gioia del denaro, costi quel che costi, per l’appunto, com’è nel caso presente, anche la cancellazione dell’ ultimo orpello di tenerezza e d’amore che dovrebbe salire invincibile dalle carni martoriate dei nostri figli e dei nostri fratelli, si accavallano.
Sembra che qui, da noi, il giorno non abbia più alba, ma sia sempre e solo notte. Guai, se si assiste all’operare di quest’ Italia, farsi la benché minima illusione; ormai possiamo esser certi che se con le labbra essa dice che sta operando per il bene dell’ Italia tutta e intera, dietro la schiena, con le sue luride mani, sta trafficando per aumentare senza fine il proprio malloppo; che è fatto dello sterco di Satana.
C’eravamo disposti con qualche orgoglio ad assistere anche quest’anno alla catena televisiva nominata Telethon, organizzata per raccogliere fondi contro la distrofia muscolare; e dal nostro letto d’ ospedale, l’altra sera nell’eterno nulla televisivo, l’avevamo in parte anche seguita. Di tanto in tanto il video, fra le grossolane e non certo molto faticate esibizioni dei cosiddetti artisti (fra essi v’era anche Paolo Villaggio), ci trasmetteva le immagini dei ragazzi malati che riempivano le sedi scelte alla bisogna: i loro occhi, imbevuti dello strazio di che è e sarebbe stata la loro vita, seguirono ben più dei nostri quelle esibizioni e mentre, nel senso etimologico del termine, si divertivano al dolore, forse lasciavano affiorare dal loro profondo un grazie per i benefattori, che altro non erano se non i buffoni e i ladri di turno. Quelle esibizioni infatti erano sonoramente pagate. Si andava così compiendo una delle peggiori vergogne che viltà e menzogna possono mettere in campo: quelle di trasformare un gesto di proclamata solidarietà, se davvero non si ha più il coraggio di chiamarla carità, in tornaconto; in furto.
Ieri sera, ma chissà mai quante altre volte in simili casi, sanguisughe immonde si sono appiccicate sui corpi fragili e malati dei nostri figli e dei nostri fratelli: «Trenta denar n’ha avuti . fatto n’ a gran mercato» così urlava, a proposito di Giuda, il grande Jacopone nel suo scabro “compianto” là, sotto la croce di tutti i derelitti e gli ingannati.
Per noi, e ci auguriamo che sia così per tutti coloro che si rifiutano di giocare la loro vita dentro le trame dell’ Italia emergente, questo furto è anche peggio delle tangenti; ci offende di più, più ci umilia e degrada, perché più rende difficile sperare nel cambiamento di rotta che pure il presente disastro reclama.
E questo proprio perché si applica sulla sofferenza e sul dolore: su quelle verità prime e ultime, tenendo le quali come centro e metro di cammino, la vera rivolta potrà solo iniziare. Quanto ai protagonisti, sterco e merda sulle loro presenti e future esibizioni. E che ci chiamino in giudizio. Se ancora ci saremo, andremo orgogliosi del nostro non cedimento sul banco degli imputati.
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tysm literary review, Vol 6, No. 10, December 2013
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