philosophy and social criticism

Un labirinto di narrazioni

Marco Dotti

Martino Doni, L’esatta fantasia. Mente, memoria, narrazione (Medusa, Milano 2009).

Ci si dovrebbe accostare al termine «mente» con una certa cautela. Da parte sua, Gregory Bateson invitava a non ridurne il concetto a qualcosa di assimilabile, nel migliore dei casi, all’identità individuale, ma a intenderlo come una struttura di relazioni complesse, dunque non separabile dal mondo e dalle sue «terminazioni somatiche». Proprio Bateson è fra gli autori – accanto a Edgar Morin, Andrej Oisteanu,Jerome Bruner, James Frazer e molti altri – chiamati in causa da Martino Doni nel suo ultimo lavoro, dedicato proprio alla mappa culturale (diacronica e sincronica) tracciata da quelle relazioni. In questo senso, appare elemento costitutivo della ragione umana il fatto di elaborare «fantasie» e sintesi, tentando ipotesi che spieghino il mondo e, soprattutto, rielaborando quelle stesse sintesi, ipotesi, fantasie in forma di «esperienza narrativa».

La mente, dunque, si presenta in questa chiave di lettura come un sistema in movimento, un «centro di organizzazione complesso» e al tempo stesso dinamico, in grado di istituire nessi e relazioni fra gli uomini, l’ambiente e le cose e le storie che di quei nessi, di quegli uomini e di quelle cose raccontano. Doni concentra il proprio lavoro precisamente su questo sistema di relazioni complesso e a tratti sfuggente, circoscrivendolo nell’ipotesi della «mente narrativa». Trattata alla stregua di un «concetto operativo astratto», la mente narrativa si definisce e, soprattutto, racconta e si racconta «attraverso i processi di elaborazione e organizzazione dei tentativi e degli errori» accumulati nelle pratiche di adattamento dell’uomo all’ambiente. L’autore conduce la sua ricerca – davvero ricca e a tratti, proprio per questa ricchezza di materiali, spiazzante – fra un reticolo «transdisciplinare» che mette in gioco linguistica, etnografia, antropologia, fiaba e mito, convinto che «l’organizzazione narrativa della vita e della memoria costituisca un’espressione imprescindibile dei tratti più importanti dell’evoluzione culturale.

Ciò nondimeno essa non è l’unica né è scontato che sia la migliore». Doni non si nasconde le difficoltà e l’azzardo del percorso, ciò nonostante riesce ad affascinare, convincere e soprattutto coinvolgere, grazie a quello che – con Michel Foucault – si potrebbe definire un «libro-esperienza», segnato da una molteplicità, non solo potenziale, di livelli di lettura e coinvolgimento. Non a caso, una delle immagini evocate già in apertura della ricerca è quella del labirinto, figura a cui Doni aveva già dedicato un precedente studio, Arianna e l’angelo (Medusa, Milano 2006). Il moto spiraliforme, «labirintico» sembra caratterizzare il processo della costruzione narrativa della mente, che assume una «una dinamica circolare», presentando il ritorno di alcuni temi mitici e invarianti culturali. Il volume si apre con Le dodici figlie del re e il palazzo incantato, una fiaba del folklore romeno trascritta da Petre Ispirescu. Vi si racconta di una missione eroica nel cuore di un labirinto, per salvare il cuore di una ragazza. Ma per l’eroe e non solo per l’eroe, avverte Doni, il labirinto è una prova gnoseologica, prima ancora che fisica. Anche per questo il labirinto si rivela una delle metafore più forti della vita, della mente e delle sue narrazioni.

[da Alias, 13 giugno 2009]

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