Un toscano in Palestina
Marco Dotti
Lucia Rostagno, Palestina: un paese normale. un toscano del settecento in Levante, edizioni q, Roma 2009.
Il 17 gennaio del 1760, all’età di ventiquattro anni, il toscano Giovanni Mariti si imbarcò a Livorno alla volta di Acri. Fuzionario con una certa pratica mercantile, cresciuto al tempo delle riforme di Leopoldo II d’Asburgo, forte di una formazione umanistica, Mariti proveniva da una «onorata famiglia fiorentina» e aveva coltivato la passione per le scienze e lo studio delle lingue. Proprio lo studio delle lingue straniere gli consentì di «guardarsi attorno» senza mediazioni, durante l’anno di permanenza ad Acri e i quasi sei trascorsi a Cipro, con frequenti incursioni nel territorio delle Palestina.
Il «mediatore», ricorda Lucia Rostagno, era quasi sempre un cristiano orientale e le informazioni rischiavano in tal modo di passare da un duplice filtro: quello del suddito ottomano di fede cristiana (appartenente quindi a una minoranza) e quello del cristiano «occidentale» che non vedeva di buon occhio né gli orientali, né i musulmani. Nessuno sa come e soprattutto in quale preciso contesto Mariti abbia studiato l’arabo, sta di fatto che la sua doveva essere una conoscenza «essenzialmente pratica» del dialetto siro-palestinese, anche perché là dove Mariti, per i resoconti di viaggio, si serve di una terminologia araba lo fa quasi sempre nella sua variante dialettale. Anche le ragioni che lo spinsero a partire per l’Oriente e, soprattutto, a una così lunga permanenza sono chiare.
Il solo accenno lo si ritrova nella prefazione al primo volume dei suoi Viaggi, volume stampato in Lucca nel 1769. Qui, Mariti accenna a un «bizzarro accidente» che lo fece allontanare dalla Toscana, «per passare pochi mesi nella Soría», sebbene – aggiunge il Mariti – «un nobile e lusinghiero impegno mi trattenne per più anni nell’Isola di Cipro nel posto ivi di Cancelliere del Consolato Imperiale, e del Toscano». Forse, commenta la Rostagno che su Mariti ha compiuto un lavoro di scavo e ricerca davvero minuzioso, fu Ottavio Watson, «negoziante inglese residente a Livorno, legato da interessi commerciali al Levante» a convincerlo allettandolo con la prospettiva di un lavoro. Lo sguardo «comune» del Mariti, al di là della valenza storico-documentaria dei suoi resoconti ampiamente antologizzati nel volume, interessa però anche per un’altra ragione. Mariti, infatti, non è un pellegrino, né uno studioso di professione, ama le scienze, la letteratura e le arti ma sempre en amateur. La sua principale attività è e rimane il commercio. Si tratta, questo va detto, di un uomo mosso da curiosità e vivo interesse per ciò che lo circonda, ma per nulla propenso a vedere nell’altro o il meraviglioso o, alternativamente, il terribile.
Ma, soprattutto, Mariti vede il Levante e vede la Palestina e, proprio attraverso il suo sguardo, riesce a desacralizzarne l’immaginario, restituendoci l’immagine di un paese reale e normale, abitato da uomini «come noi». Tutt’altra cosa, rispetto all’odierna vulgata del «paese senza storia».
[da Le monde diplomatique, maggio 2009]
This opera by t ysm is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 3.0 Unported License.
Based on a work at www.tysm.org.