Una crisi da non sprecare
di Christian Marazzi
In queste ultime settimane, i mercati finanziari si sono rinvigoriti non poco, prima grazie alla conferma della vittoria di Joe Biden alle presidenziali americane, poi grazie all’annuncio, a pochi giorni l’uno dall’altro, dello sviluppo di due vaccini con percentuali elevate di efficacia nella lotta contro il Corona virus. Un’ulteriore spinta, i mercati l’hanno ricevuta dalla firma del più grande accordo commerciale
della storia, costituito da ben 15 nazioni, tra cui la Cina, il Giappone, l’Australia, la Corea del Sud. Anche se sull’effetto e la durata della protezione dei vaccini scoperti dalle ditte farmaceutiche occorre una certa prudenza, come Pietro Veglio ha giustamente ricordato in un suo recente intervento in questa rubrica (“plusvalore”, 18-11-2020), non c’è dubbio che un po’ di ottimismo rispetto alla ripresa economica nel 2021 sia legittimo.
Tra gli effetti più immediati sui mercati finanziari, i più significativi hanno a che fare con quella che in gergo economico si chiama “rotazione”, cioè l’aumento dei titoli azionari dei settori che più sono stati penalizzati durante il lockdown, come il finanziario, l’energetico, l’industriale e il trasporto civile aereo, e il ridimensionamento dei titoli che invece più hanno beneficiato di questi mesi di confinamento, in particolare i settori del digitale e più in generale delle tecnologie del “resta a casa”.
Ma l’effetto più interessante riguarda i rendimenti sui Buoni del Tesoro, in particolare di quelli americani, che sono immediatamente schizzati verso l’alto e che in breve tempo, se l’ottimismo dovesse continuare, potrebbero ritornare sui livelli pre-crisi pandemica (1.5%).
L’aumento dei rendimenti sui Buoni del Tesoro sono la conseguenza della migrazione da titoli a basso rendimento, ma più sicuri, verso i titoli azionari legati alla ripresa economica, quindi a più alto rendimento. Si tratta di un indice di fiducia sulla ripresa (riflazione) futura, ma si tratta anche del segnale di un possibile aumento dei tassi di interesse futuro. (Non a caso, i titoli del settore bancario sono stati premiati dall’aumento potenziale dei tassi di interesse, che per le banche significa aumento dei profitti). Sul destino dei tassi d’interesse, comunque, il dibattito è aperto. Per il momento, certo, l’aumento dei tassi a lungo termine, quello determinato appunto dai rendimenti sui titoli pubblici a dieci anni, è un segnale di ottimismo da parte dei mercati. Ma è sulla natura e la tempistica della ripresa economica che occorre riflettere.
I danni economici provocati dal Covid-19 sono e saranno pesanti e comunque, anche con la disponibilità dei vaccini, ci vorrà tempo prima di arrivare ad una immunità di gregge solida e duratura.
Una parte importante della forza lavoro messa in lavoro ridotto in questo periodo finirà in disoccupazione, dato che molte imprese dovranno licenziare per far fronte ai debiti cumulati in questi mesi. È quindi probabile che le banche centrali continueranno ad intervenire sui mercati dei titoli per smorzare l’aumento dei tassi d’interesse, anche – se non soprattutto – per evitare il collasso di un sistema finanziario che in tutti questi mesi ha ampiamente sfruttato la politica di denaro facile, drogando le valutazioni delle compagnie tecnologiche e inventando sistemi speculativi (come gli Spacs) del tutto spregiudicati.
Meglio sarebbe, però, utilizzare il basso costo del denaro per rilanciare la domanda con investimenti nei settori che in questa crisi pandemica hanno più sofferto sotto il profilo umano, sociale e culturale.