philosophy and social criticism

Malefici decadenti: Joris-Karl Huysmans

di Francesco Paolella

Joris-Karl Huysmans, Malefici. Da Gilles de Rais alla stregoneria, Medusa, Milano, 2020, 107 pagine, 15 euro

La vita di Huysmans fu contrassegnata da una autentica passione per il soprannaturale, per tutto ciò che stava dietro e oltre il visibile. Huymans fu attratto dagli aspetti più scabrosi, ma anche, per tanti versi, alla moda (fortissima nella Francia dell’ultimo quarto dell’Ottocento) di quell’invisibile; egli visse frequentando circoli di occultisti, ma anche santuari e conventi, muovendosi fra alto e basso, misticismo e satanismo. In tanti suoi romanzi – pensiamo soltanto a Là-bas (1890) – questa duplice attrazione e questa duplice tensione domina assolutamente e, come dicevamo, vi si esprime l’ansia specifica della sua epoca e il bisogno di addentrarsi nei meandri dell’esoterico. Huysmans fu attratto anzitutto dai riti e dalle liturgie, dal lato estetico di quelli, dal fascino e dalla suggestione che sempre ne promana.

Le edizioni Medusa portano ora in libreria un volume che raccoglie diverse fotografie di questa passione, a un tempo letteraria e spirituale. Ne ricaviamo l’immagine di un interesse tumultuoso ma anche piuttosto ingenuo. Vale la pena anzitutto citare la cronaca di una seduta spiritica, tenutasi a casa di Huysmans, scritta da Gustave Boucher. Huysmans vi appare, appunto, come un uomo ansioso di avere e offrire «manifestazioni probanti» (pagina 89) dell’esistenza dei fantasmi.

D’altra parte, Huysmans doveva combattere due nemici, fra loro alleati: da un lato, lo scetticismo e l’incredulità dominanti; dall’altro lato, l’opinione, sempre più diffusa, che tutti i fenomeni “spirituali” (dal magnetismo in avanti) potessero e dovessero essere liquidati come segni di alienazione mentale. Il demoniaco veniva sommerso e ignorato: contro di esso, non si cercavano più i secolari rimedi liturigici, ma soltanto le terapie tipiche dell’istituzione manicomiale:

«Come distinguere, come classificare, per esempio, nela mischia di una Salpetrière o di una Sanite-Anne, gli isteroepilettici o gli alienati dagli energumeni e dai posseduti? Li si tratta come pazzi; invece di somministrare loro dei rimedi liturigici, di trattarli con scongiuri e preghiere, li si sottomette al supplizio gelato dei bagni; si fanno ingerire loro delle pozioni preparate con estratti di solanacee o vini oppiati» (pagina 59).

Quest slancio, che portava a frequentare sacerdoti, abati, veggenti più o meno imrpobabili, comportava anche la necessità di mettere continuamente in guardia anche contro il pericolo che fenomeni apparentemente folkloristici come il satanismo ancora erano per la società moderna e materialista. Si trattava, soprattutto, del rischio che dilagasse un vero e proprio «cristianesimo a rovescio» (pagina 66); la “questione demoniaca” allarmava un Huysmans convertito e sempre più affascinato dalla fede e dalle sue manifestazioni. Lottava, ad esempio contro le profanazioni come il furto di ostie: i «reati eucaristici» da qualche tempo avevano raggiunto un diffusione incredibile in ogni angolo della Francia.

Da ultimo, ma si tratta forse della parte più affascinante di questo volume, è la biografia che Huysmans fa di Gilles de Rais, il mostruoso criminale vissuto all’epoca di Carlo VII. Anche in quella figura, spinta fino ai limiti della perversione e della frustrazione, lo scrittore francese non ha fatto altro che cercare il volto di un male spirituale, assoluto. Come in una storia di vampiri, Gilles de Rais ha impersonificato l’eccesso del peccato e una ferocia non solo umana: «La sua ferocia non rimase più solo carnale, si aggravò, divenne spirituale. Volle far soffrire il bambino nel suo corpo e nella sua anima; con una soperchieria del tutto satanica…» (pagina 49). Alla fine, quel peccatore furioso scelse, però, di morire in stato di grazia, affidando alla Chiesa e ai suoi riti l’unica possibile emendazione. L’anima di Gilles de Rais, di un sacrilego eretico, torturatore di centinaia di bambini, che rappresentava, per così dire, l’anima stessa di un Medioevo violento e spirituale, era un «ammasso di gioielli incandescenti» (pagina 24) ed era anche l’anima di una specie di artista, raffinato ed affascinato da un male appunto più che umano.

 

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