philosophy and social criticism

Andare a scuola. Due esempi di spazi dell’istruzione a commento di una recente realizzazione

Arch. Luca Morganti

Sul finire del XVIII secolo il filosofo inglese Jeremy Bentham elabora uno straordinario modello architetto­nico di carcere, inteso come luogo concentrazionario per la sorveglianza dei detenuti, che chiama “Panopti­con”1. Questa “casa d’ispezione” doveva soverchiare la concezione di un potere dal carattere nascosto e miste­rioso, che il pensiero settecentesco aveva ereditato dalla tradizione dell’Ancien régime, per approdare ad un’idea, affine al liberalismo che si andava affermando, in cui la società si rendeva del tutto trasparente alla sorveglianza visiva del potere stesso. La fortuna del panoptismo è da ricercare nel aver saputo fornire una risposta all’esigen­za moderna di una rappresentazione dello spazio politi­co per la gestione del potere, mostrando che la spaziali­tà implicita della politica è anche politicità esplicita dello spazio2. L’endiadi spazio-potere è ciò che risulta dall’ela­borazione del progetto benthaminiano con una chiarez­za sconosciuta alla grande impalcatura che gli architetti “rivoluzionari”3, coinvolti nell’elaborazione della nuova scienza del costruire, stavano realizzando nel tentativo di dare nuove e più adeguate risposte alla società nella quale si trovavano a lavorare dopo la frattura epistemo­logica della disciplina architettonica in età moderna4.

Ma, come il suo stesso autore sottolinea nel sottotitolo del volume pubblicato a Dublino nel 1791, il Panottico è una figura di tecnologia politica che si può e si deve distaccare da ogni suo uso specifico. Non è possibile allora annoverare questa idea nella sfera degli oggetti utopici come fosse una invenzione onirica agli albori di un nuovo mondo, ma più propriamente occorre pensare ad un diagramma, concetto oggi al centro della riflessio­ne teorica sull’architettura, di un potente meccanismo di potere ricondotto alla sua forma ideale. La perfetta coincidenza tra forma e funzionamento, cioè tra forma circolare dell’edificio carcerario e pervasività dello sguar­do come esito della forma stessa, è una concezione ma­tura nella consapevolezza dello stesso Bentham il quale afferma appunto che il suo dispositivo è applicabile ad un numero maggiore di istituzioni tra cui le scuole.

Il Panopticon definendo l’universo disciplinare della mo­dernità segna contemporaneamente la soglia attraverso cui il potere passa nelle moderne società di controllo. Ed è in questo particolare contesto che prende forma e diviene presto egemone quella nuova articolazione dell’illusione pedagogica che esalta un modello educa­tivo disciplinare finalizzato alla formazione dell’“uomo normale”. La fitta rete d’istituzioni che concorrono nella costruzione di tale individuo, tra cui spicca ancora per centralità la scuola, mette in produzione il disciplina­mento dei corpi e delle menti componendo un’organi­ca ortopedia morale. Si trattava di trasformare la plebe in popolo e solo in un secondo momento di indurre nel soggetto l’introiezione del comando. L’autogoverno in­fine azzererà l’autonomia del singolo e sarà il corollario per l’ascesa trionfale dei totalitarismi del XX secolo5.

Lo spazio in cui sviluppare questo tipo d’educazione è magistralmente rappresentato dal piccolo paese prote­stante della Germania settentrionale che il regista Mi­chael Haneke racconta nel suo ultimo film “Il Nastro Bianco”. Qui la comunità dominata dal Barone si fa cari­co di assegnare una gerarchia di ruoli che compongono un unico organismo relazionale teso ad autoriprodursi a cascata come microcosmo nelle più minute realtà. Il vil­laggio si stringe attorno alla villa del suo signore, lo spa­zio chiuso non permette nessun tipo di fuga, o di rivolta, tutto è sapientemente orchestrato nell’accerchiamento delle storie private: il grande spazio davanti alla villa, la larga strada che connette la chiesa alla scuola passando in rassegna le abitazioni del Pastore, dell’Intendente, del Medico e del Maestro, il retro con i rifugi dei contadini. Ed è una claustrofobia che invade anche gli interni: dal­la tavola ovale nella casa del Pastore dove si celebra il rito quotidiano del ritrovo famigliare per la condivisione del pane, all’aula scolastica con i tavoli rigorosamente schierati in ossequio alla cattedra del docente, uno spa­zio che intrattiene un particolare rapporto tra altezza e lunghezza da farlo assomigliare ad una scatola rettan­golare, per certi versi più simile alla gabbia dell’uccellino che il figlio minore del Pastore vorrebbe liberare che ad un luogo per l’educazione. In molti hanno conosciuto questo tipo di aula poiché ha segnato per molto tempo il modello, mai discusso, della facoltà di impartire lezioni facilmente adattabile ad ogni formula educativa, che si trattasse della trasmissione del comando o della ideolo­gica e persuasiva coercizione della volontà del singolo.

L’architettura contemporanea costituisce il riflesso ed il luogo di applicazione nonché di verifica delle trasforma­zioni del XX secolo, nel tentativo di costruzione di un mondo “moderno”6 è impegnata fin dal suo nascere nel cercare una risposta concreta alle nuove soluzioni che si stavano cercando in campo pedagogico. Nella fase di espansione dei processi di industrializzazione il compito assegnato all’architetto dalla divisione capi­talistica del lavoro è quello della riorganizzazione della produzione che deve superare, una volta per tutte, la dicotomia qualità e quantità (artigianato-industria) che aveva contraddistinto il dibattito fino a quel momen­to. In Germania l’architetto Hermann Muthesius, sulla scorta della tradizione inglese dell’Arts and Crafts, rior­ganizza radicalmente le scuole di artigianato teutoniche in qualità di consigliere del Dipartimento Prussiano del­l’Educazione. Nella prospettiva tracciata da Muthesius la formula di Fritz Schumacher segna il passo alla nascita del Werkbund: la qualità è “lo strumento per unire la gioia al lavoro”, la produzione industriale scopre l’essen­zialità estetica con una vocazione etica laddove entram­be “si fanno economia”7. Se Il Werkbund è l’esperienza che segna il punto di sutura tra le tesi dell’avanguardia architettonica e il grande capitale tedesco, è perché la nuova pedagogia è pronta a concepire un individuo adattato, dotato di autocontrollo ma non di autono­mia. Di li a poco sulle ceneri di questo esperimento si organizzerà la scuola del Bauhaus. Prima ancora che gli architetti costruissero i loro edifici scolastici, l’architettura moderna na­sceva nel segno dell’istruzione presentan­dosi essa stessa come una scuola.

Al di là di ogni eccessiva euforia con la qua­le si è passati al vaglio della verifica storica di questo eroico esordio dell’architettura contemporanea il Movimento Moderno, nelle sue manifestazioni più riuscite, met­te seriamente in discussione il paradigma disciplinare educativo che aveva ereditato, scontrandosi con resistenze ancora oggi dure a morire. Certo, con la nuova architet­tura non siamo di fronte ad un movimento di liberazione collettivo al quale attingere senza riserve per una critica sistemica della società, di fatto le contraddizioni non tar­deranno a manifestarsi8. La vitalità con cui il Moderno si è presento sulla scena è stata un’auto rappresentazione che non sempre ha tenuto conto della varietà di un’epoca assai controversa. Anzi quando molto più tardi la crisi dell’ordine fordista dovrà rior­ganizzare il sistema spingendo all’estremo il principio dell’adattabilità dell’individuo inventandosi l’“uomo flessibile”, l’espe­rienza avanguardista patirà la deriva di essere messa a valore nel ciclo riproduttivo del consumo.

Tuttavia l’eredità intellettuale del Moderno passa anche attraverso figure in grado di aggiornare, nell’immediato dopo guerra, le istanze internazionaliste del movimento spingendole per esempio verso le spiagge dell’informale9. Mi riferisco in particolare alla figura di Hans Scharoun che elabora un (anti-)linguaggio facendo dell’asintattica composizione di spazi un teatro del trau­ma. L’eresia permanente di questa non-for­ma lo porta a sperimentare un approccio al progetto di fattiva relazione con quanto è generalmente molto distante dagli interes­si degli architetti. Nei primi anni cinquanta Scharoun pone le premesse per un ripen­samento sistematico dell’edilizia scolastica, prima con il progetto della Scuola di Dar­mstadt del 1951 mai realizzato, in cui in realtà vi sono già elencati tutti gli elementi concettuali della produzione successiva, e poi con la Geschwister-Scholl-Gymnasium costruita per la città di Lünen nel 195610. Per capire quale sia la preoccupazione che sottende a questo secondo progetto oc­corre però tornare all’epoca del primo, o meglio, alla relazione che l’architetto ten­ne a Darmstadt dal titolo “Mensch und Raum” nella ormai celeberrima conferenza del 1951 (quella nella quale, tanto per in­tenderci, parteciparono tra gli altri i filosofi Ortega y Gasset e Martin Heidegger che per l’occasione scrisse il saggio “Costruire abitare pensare”). Questo momento segna fortemente la concezione dello spazio del­l’architetto di Brema, concezione che ora si fa più matura e consapevole. Un primo problema, del tutto interno all’idea di architettura del maestro, risiede nel fatto che non è possibile descrivere la scuola di Lu­nen: non c’è un ingresso principale dal quale cominciare a tessere un racconto, ma una serie di entrate e di uscite che rendono totalmente permeabile l’edificio; non esiste un fronte specifico da abbracciare con lo sguardo per inquadrare il fabbricato nella sua compiutezza, ma la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un manufatto av­viene solo per scoperte successive. Anche la visione ze­nitale non rende giustizia dell’articolazione della scuola. Vi sono aule disposte a grappolo nel versante sud e altre verso nord con interni ad anfiteatro, mentre un terzo tipo è posto ad un livello superiore. Già di per sé l’aula non risponde a nessuna rigida logica geometrica, a que­sta si accede da un ingresso-spogliatoio pensato come gradiente di passaggio tra l’aula, un ipotetico privato, ed il fluido ambiente di collegamento, uno spazio deci­samente pubblico. Si entra quindi nello spazio principale che a sua volta è diviso in un ulteriore ambiente ricreati­vo interno. Questi momenti sono sottolineati da altezze e dimensioni differenti, caratteristica che permette di sfruttare l’ingresso della luce naturale giocando con i di­slivelli, e dal rapporto che instaurano con la corte interna la quale intrattiene, a sua volta, relazioni sempre diverse con l’area esterna. Insomma, l’unica cosa che è possibile dire, a guadare bene la pianta, è che non esiste una ge­rarchia tra gli spazi interni destinati alla comunicazione e al pubblico e quelli “privati” delle singole aule.

Nella scuola di Lünen c’è tutto ma non si riconosce nul­la. La nozione di rappresentazione è scardinata nella sua distinzione fondamentale senza escludere tuttavia la funzione della relazione. Esiste relazione certo, sen­za però alcuna vocazione specifica, una relazione qua­lunque, come atto singolare che precede e definisce il formarsi degli elementi della relazione stessa. Il carattere dello spazio nella scuola di Scharoun assomiglia a delle singolarità in divenire piuttosto che ad entità costituite, e qui, in vero, risiede la sua forza didattica. Nella spari­zione degli elementi di riconoscibilità si apre il possibile di un’appropriazione degli spazi nonostante la loro forte semanticità. La forma è, per così dire, sformata ma po­trebbe sempre ricomporsi. Forse a ricostruirla dovranno essere proprio gli alunni e con loro chi utilizzerà quegli spazi per uno scopo o per l’altro. E’ sempre più stretto il margine per poter ripensare ad una diversa educazione fuori dalle morali costruite su codici deontologici o su discorsi di Verità, l’architettura oggi è impegnata a fare altro, non credo, nonostante le migliori intenzioni, che qualcosa possa nascere da qui, “toccherà alle collettività di allievi e di professori il compito di strappare la scuola dalla glaciazione del profitto”11.

Progetti: la scuola di Falciano

Progetto architettonico

Ing. Gilberto rossini

Arch. Fabio Ferrini

Arch. Luca Morganti

Arch. Fausto Venturini

Progetto strutturale

Ing. Fabrizio Castiglioni

Progetto impiantistico

Ing. Massimiliano Mazza

Committente

Eccellentissima Camera

Impresa Costruttrice

CES s.a., RSM

Anno

2006 / 2009

Note:

(1) Jeremy Bentham, Panopticon, or The Inspection-house. Containing the Idea of a New Principle of Construction, Applicable to Any Sort of Establishment, in which Person of Any Description Are to Be Kept under Inspection…, in The Works of Jeremy Bentham, published under the superintendence of his executor, John Bowling, Edimborough, Tait, 1838-1843, ristampato a New York, Russel and Russel, 1971 vol. IV. La traduzione parziale è in Jeremy Bentham, Panopticon. Ovvero la casa d’ispezione, a cura di Michel Foucault e Michelle Perrot, Marsilio, Venezia 1982. Per un approfondimento sul tema si veda anche Janet Semple, Bentham’s Prison. A study of the panopticon penitentiary, Oxford University Press 2003

(2) Carlo Galli, Spazi politici. L’età moderna e l’età globale, Il Mulino, Bologna 2001

(3) Emil Kaufmann, Tre architetti rivoluzionari: Boullée, Ledoux e Lequeu, Franco Angeli, Milano 1993

(4) Manfredo Tafuri, Per una critica dell’ideologia architettonica, in Contropiano. Materiali Marxisti,

n. 1 gennaio-aprile 1968, poi ripreso ed ampliato in id., Progetto e Utopia. Architettura e sviluppo capitalistico, Laterza, Bari-Roma 1973

(5) Alessandro Simoncini, Ben educati, Appunti su potere e soggettività nella crisi della pedagogia moderna, in “Studi sulla Formazione”, 2, 2008

pp. 85-98 ed anche in “T-ysm”, n.0, 2010

(6) Francesco Dal Co, Abitare nel Moderno, Laterza, Bari-Roma 1985 e id., Teorie del Moderno. Germania. Architettura. 1880-1920, Laterza, Bari-Roma 1985

(7) Manfredo Tafuri, Teoria e storia dell’architettura, Laterza, Bari-Roma 1968, ed anche Francesco Dal Co

e Manfredo Tafuri, Architettura contemporanea, Electa, Milano 1976

(8) Il riferimento d’obbligo per un approfondimento sull’argomento rimane ancora: Francesco Dal Co

e Manfredo Tafuri, Architettura contemporanea, cit.

(9) Dove per informale non si intende la tipizzazione del movimento artistico nato dalla profonda crisi etico politica conseguente agli orrori della seconda guerra mondiale e quindi coevo alle vicende che qui

si tenta di narrare. Sull’informale si veda Paolo Godani, L’informale. Arte e politica, Edizioni ETS, Pisa 2005

(10) Si veda tra gli altri: Paolo Vincenzo Genovese,

Hans Scharoun Scuola a Lünen, Testo & Immagine, Roma 2001

(11) Raoul Vaneigem, La scuola è vostra. Dedicato agli studenti, Tropea, Milano 1996, citato in Alessandro Simoncini, Ben educati, cit., p.85