philosophy and social criticism

Sofisticata Bucarest

di Matei Martin

A Bucarest, Ceausescu è ancora onnipresente: i bloc, caseggiati popolari costruiti negli anni ’70-’80, portano l’impronta inconfondibile dei suoi architetti; il Parlamento è ospitato nel Palazzo del popolo, costruzione faraonica collocata sopra le rovine di un vecchio quartiere borghese; le fabbriche e le officine della periferia della città, che nella famigerata «età dell’oro» funzionavano a tutto regime per alimentare l’economia pianificata, sono ora in rovina, abbandonate e inutili… A volte, lo spettro del dittatore riappare a sorpresa persino nelle strade del centro della capitale. Un artista visuale ha riempito i muri con uno stencil il cui messaggio duro e diretto si sovrappone alle tracce meno vistose della presenza del Conducator. Sotto il volto caricaturale di un Ceausescu con ali da angioletto c’è scritto: «Arrivo in cinque minuti». Per chi è nato dopo la caduta del dittatore, il messaggio non ha probabilmente alcun significato. Chi ha fatto in tempo a conoscerlo ha di che angustiarsi…

Spazi undeground

Ogni giorno, alcune centinaia di migliaia di persone si spostano con la metropolitana, da un capo all’altro della città, da una periferia all’altra. Passano sottoterra nel treno in corsa, ciascuno con le sue preoccupazioni, immerso in pensieri o lo sguardo appuntato sulle appariscenti foto dei rotocalchi. Per la maggior parte di loro, Piazza dell’Università è solo una fermata lungo il percorso; sono in pochi a ricordare che vent’anni fa qui ci sono stati eventi decisivi, che qui venne conquistata la libertà di scrivere (e di leggere) i magazine che sfogliano impazienti ogni mattina; pochi pensano al fatto che proprio nell’edificio che sovrasta i binari della metro si formano i letterati, gli architetti, i matematici di domani; pochi sanno che sul lato opposto del boulevard, nell’edificio che accoglie il Teatro Nazionale, esistono almeno tre sale in cui si rappresentano, settimanalmente, pièce teatrali con attori che essi conoscono soltanto dalla tivù o da quegli stessi giornali. Alcuni di loro – pochi in verità – vanno a questi spettacoli soltanto per applaudire in maniera frenetica quanto insipiente dei volti noti.

La partecipazione degli abitanti di Bucarest al fenomeno culturale è prevalentemente passiva, non intenzionale. Eppure, la scena delle arti contemporanee è estremamente vivace. Non necessariamente al Teatro Nazionale – dove l’imperativo classico non lascia spazio all’innovazione – quanto piuttosto nei piccoli club del centro storico della città, o nei celebri teatri privati lungo Calea Victoriei: Green Hours e il Teatro Act (quanto celebri possono però essere questi teatri se arrivano solo a 80 e 150 posti?). In particolare queste piccole iniziative sono riuscite a creare un’impronta propria e un pubblico fidato. La più parte è costituita da persone giovani, studenti o free-lancers, che biffano quasi tutti gli avvenimenti culturali e stabiliscono i propri percorsi sulla mappa della città. Vedono gli stessi spettacoli, visitano le stesse gallerie d’arte, ascoltano la stessa musica, leggono gli stessi libri. Diversamente però dai pendolari di cui parlavo prima, questi aficionados della cultura underground sono in permanenza connessi fra loro e con il mondo che frequentano.

Dallo spettacolo teatrale rappresentato sulla terrazza del Nazionale, in una sorta di Biergarten pensile, vanno al concerto di piano di Johnny Raducanu, all’Art Jazz Club; le proiezioni di film europei della sala cinematografica dell’Istituto Francese trovano un pendant nei cocktail after hour del Museo Nazionale d’Arte contemporanea; i dibattiti su temi sociali o culturali del Museo del Contadino Romeno possono continuare, ad esempio, con gli spettacoli del Centro Nazionale di Danza. Mentre nella libreria Carturesti, omaggio onomastico al più importante scrittore romeno contemporaneo (edito in Italia da Voland), nel centro della città, trovano di tutto: presentazioni di libri, atelier letterari, gallerie d’arte, spettacoli e perfino sala da tè/bar, dove ritrovarsi fino a notte inoltrata.

Lo spazio underground ha creato le proprie vedette e le proprie figure mitiche. Quando a un angolo di strada compare il volto di Ceausescu disegnato su un muro, sorridono ironicamente e pronunciano immediatamente il nome dell’artista. Dumitru Gorzo è oggi uno dei più quotati artisti visuali, invitato in numerose gallerie e biennali d’arte. Se il valore della sua opera si basa sul talento, le quotazioni e la fama sono in buona misura dovute ai soggetti polemici che egli tratta e all’attenzione che si ritrova, nei suoi disegni, verso alcuni fantasmi del passato. È diventato cool quando ha presentato il bozzetto in lardo della Cattedrale della Redenzione della Stirpe o la statua equestre del voda Stefan cel Mare, popputo e con una corona di latta in testa. O quando si è saputo che ha tappezzato la città di stencil con Ceausescu.

Tendenza «Ostalgia»

La verità è che solo da quando è diventato uno spettro Ceausescu ha cominciato ad acquistare valore. Egli impersona il più noto cliché sulla Romania, è un’autentica vedette che appare nei film, a teatro, al cinema, in letteratura. Se un tempo era all’origine del terrore e della censura, ora si è trasformato in un promoter per l’arte romena d’oggi. Negli ultimi anni l’Istituto Culturale Romeno, il Ministero della Cultura e le case editrici hanno massicciamente promosso la letteratura contemporanea. Hanno puntato sulla narrativa e (in modo specifico) sugli autori che raccontano la propria vita sotto il comunismo. Tale strategia – se è davvero stata una strategia – ha dato i suoi frutti: sul mercato librario occidentale proprio questi sono i libri richiesti. «Sono venuto a conoscere il comunismo romeno in gran parte grazie alla letteratura. La finzione dice molto più di quanto possa dire un libro di storia o di sociologia» mi ha confessato una volta Alistair Ian Blyth, traduttore in lingua inglese di svariati libri romeni. In verità, la letteratura è un metodo assai efficace di riutilizzazione del passato. In mancanza di uomini politici o di istituzioni che s’incarichino di gestire la memoria del comunismo, quasi dappertutto, nell’ex blocco socialista, la letteratura svolge un ruolo di ricostituente della memoria. Ed è, di fatto, un rimedio necessario.

Soprattutto da quando la «Ostalgia» è diventata una tendenza definita, le storie personali del tempo del comunismo hanno cominciato a essere richieste all’Ovest. L’interesse è suscitato in primo luogo dal contesto politico: le due ultime ondate di allargamento politico hanno portato nell’Unione Europea paesi della cui cultura non si conosceva nulla o quasi. Trasposto nella finzione, il comunismo diventa un paesaggio mitologico popolato da figure singolari. Le persone dei paesi ex-socialisti hanno intrattenuto rapporti mitizzati con lo Stato e con i leader politici dal momento che la realtà in cui hanno vissuto è stata così fragile da avere bisogno di puntelli per comprenderla. Appunto per questo la letteratura, il teatro e il cinema di qui sono tanto interessanti: gli artisti mirano a far crollare tale sistema di miti. Il comunismo è innanzitutto una storia personale, e per questo la maggior parte dei romanzi abbonda in riferimenti autobiografici. In Romania non si è però avuta la fiumana di letteratura (anti)comunista come è accaduto nella Germania post ’90. (Il fenomeno è rimasto anzi isolato, sebbene romanzi come I ragazzi di viale Baiut di Filip e Matei Florian, Il paradiso delle galline e Sono una vecchia comare comunista di Dan Lungu siano in breve tempo diventati dei successi letterari.)
Dopo decenni di censura e di compiti che il partito unico assegnava agli artisti, la libertà ha comportato un’attenzione per la realtà immediata, per i piccoli drammi quotidiani. La letteratura e la drammaturgia post ’90 sono disimpegnate e depoliticizzate. I critici e gli storici della letteratura e del teatro, che si immaginavano dovessero apparire decine di romanzi e di pièce conservati nei cassetti, si sono ingannati: il raccolto è stato piuttosto misero. Alla letteratura e al teatro apparsi in quegli anni sono stati per l’appunto rimproverati l’assenza di una problematica, il narcisismo, il disincanto. Così è: forse proprio nel periodo della transizione (con tutti i sommovimenti economici, sociali e politici) avremmo avuto bisogno di una letteratura e di una drammaturgia che entrassero in consonanza con i problemi presenti e scottanti. Ritengo che l’assenza del dato politico sia appunto un effetto delle delusioni, del disgusto per tutto ciò che pertiene alla vita pubblica. Il ripiegamento sulle esistenze individuali può essere letto come un manifesto: l’assenza della politica è in realtà comunque un gesto politico.

Lacerti di storia recente

Se nei testi di letteratura e di teatro i temi politici o sociali sono marginali, la cinematografia li illustra in maniera quasi ossessiva. C’è, in questo, anche una forma di opportunismo, poiché i film sono dei prodotti culturali che si rivolgono, in via di principio, a una platea mondiale, sicché i temi trattati devono essere compresi dal più ampio numero di persone. Dal momento che i cliché sul comunismo e su Ceausescu sono diventati i riferimenti più noti sul mondo romeno, era naturale che venissero illustrati su pellicola in tutti i modi possibili: in 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni (4, 3, 2… di Cristian Mungiu) si parla di un aborto clandestino in un periodo in cui l’interruzione di gravidanza era vietata per legge; in A est di Bucarest (titolo originale A fost sau n-a fost, di Corneliu Porumboiu) si discute – nella forma di una lunga trasmissione televisiva – se in una piccola cittadina di provincia ci sia davvero stata una rivoluzione nel dicembre 1989; dietro la parola in codice Il foglio sarà azzurro (regia di Radu Muntean) c’è una storia di finzione riguardo alla rivoluzione dell’89; mentre Racconti dell’Età dell’oro (coordinato da Cristian Mungiu) è un puzzle con cortometraggi realizzati da più registi sulle leggende urbane del comunismo. Anche i documentari seguono lacerti della storia recente: Alexandru Solomon, ad esempio, ha realizzato almeno due film sul comunismo: La grande rapina comunista, su come sei agenti del regime avessero rubato un’auto con il denaro della Banca nazionale, e Cold Waves (sui giornalisti dell’emittente radiofonica anticomunista Free Europe).

Quanto alla drammaturgia, solo per l’ultimo decennio è possibile parlare di tentativi sistematici nello spazio socio-politico. Come già il cinema, il teatro con o su temi del comunismo reale ha oggi un mercato in Occidente, dal momento che gli stereotipi più forti sulla Romania sono legati al passato recente e/o alla transizione. Le pièce sul comunismo, sulla transizione e sul post-transizione non hanno però tratto origine da motivi commerciali. Il momento dell’anniversario (vent’anni dalla caduta del comunismo) ha significato un’illustrazione via via più accentuata della storia e ha incoraggiato la riflessione su ciò che c’è stato e ciò che si è perduto.

La comparsa di testi politicamente e socialmente impegnati, intorno all’anno 2000, è però anche una conseguenza della politica culturale (indipendente); essa è venuta a sovrapporsi al lancio, nell’ambito dei corsi dell’Università di Teatro, del progetto DramAcum (Drammaturgia adesso), con il quale si promuovevano in maniera sistematica le creazioni drammaturgiche della giovane generazione. Andreea Valean, Gianina Carbunariu, Alexandru Berceanu, Radu Apostol e il loro professore, Nicolae Mandea, sono tra i primi che hanno ragionato sulla questione e hanno fatto ricorso a un nuovo tipo di stilistica.

Terapia di gruppo

Esemplare, ad esempio, lo spettacolo messo in scena da Alexandra Badea (da un testo di Mihaela Michailov): Il complesso Romania. Lo spettacolo prodotto qualche anno fa non ha un legame diretto con DramAcum, ma si inscrive nello stesso campo d’interessi. Costituito da una serie di momenti presi dalla vita quotidiana sotto il comunismo (e dagli anni successivi alla caduta della cortina di ferro), lo spettacolo è una sorta di terapia di gruppo: il pubblico rivive, insieme con i protagonisti, il passato recente. Non è un esercizio semplice. Molti dei nostri riflessi di oggi sono il frutto di una storia traumatizzante, che ancora non abbiamo superato. Chi non è riuscito a trovare, dopo gli anni ’90, una conferma alle promesse della rivoluzione, è emigrato all’Ovest. La messa a confronto di chi è partito con chi è rimasto è solo uno degli obiettivi che l’autrice ha inteso perseguire…
L’emigrazione e il recente passato sembrano essere temi privilegiati per il teatro e la letteratura. Tra quelli che hanno dato forfait ricordiamo pure la poetessa Saviana Stanescu. Oggi docente in un’accademia tetrale di New York e drammaturga di successo, si annovera tra coloro che sono riusciti a vedere realizzato il proprio American Dream.

Nella pièce Waxing West, montata al teatro La Mama, però, parla degli immigranti perdenti. Il testo segue il destino di una giovane estetista che lascia la Romania per una nuova vita in America. I suoi tentativi di adattamento nella terra promessa vanno in malora a causa dei fantasmi dei due dittatori Ceausescu. Il sogno americano si tramuta così in incubo. La sua storia e quella degli spettri che la minacciano assomigliano alla storia della Romania post-dicembrina, invasa in permanenza da ex ufficiali e profittatori del regime totalitario. Questo messaggio della presenza continua di Ceausescu non ha potuto non essere colto quando lo spettacolo è stato rappresentato a Bucarest e a Sibiu.

Come si presenta in teatro il postcomunismo? Se vi immaginate che nel mirino dei giovani drammaturghi ci sia solo il comunismo totalitario, vi ingannate. Anche il capitalismo caotico e folle è un tema, almeno per la regista Theodora Herghelegiu, autrice di uno spettacolo intitolato Supermarket. Anche se il consumismo è diventato una seconda religione e il mall, il nuovo tempio della realizzazione spirituale. Messa in scena al teatro Arca in forma di music-hall, la pièce di Theodora Herghelegiu è un manifesto anticonsumista, una riflessione attenta e divertente sulle illusioni di questa nuova società. Nel microcosmo del supermercato, fra scaffali e vetrine, si producono drammi più e meno grandi, conflitti, storie d’amore…

Là dove storici e sociologi hanno fallito, si apre uno spazio formidabile per la letteratura e il teatro. (Ri)narrando, capirai – parrebbe essere questo il motto degli autori. Senza proporre una versione definitiva sui riscontri, senza formulare condanne, romanzi e pièce di teatro presentano solo versioni possibili di queste storie. Se le comprenderemo, avremo maggiori chance di accettare il presente. E di non sobbalzare più ogni volta che, a un angolo di strada, Ceausescu ci dice «Arrivo in cinque minuti».

Traduzione dal romeno di Bruno Mazzoni

[da il manifesto, 1 agosto 2010]

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