philosophy and social criticism

Sensi di colpa nel pianeta delle scimmie

M. D.

Felice Cimatti, Senza colpa, Marcos y Marcos, Milano 2010

Perché non provare con le scimmie? Negli ultimi tempi, a Mark Soul le cose non andavano troppo bene. Non che gli fosse accaduto niente di speciale, solo che nulla – appunto – ma proprio nulla sembrava oramai destare il suo entusiasmo. Ecco, allora, le scimmie: quelle del Centro per lo studio della coscienza animale sul quale, in paese, da sempre correvano voci di «strani esperimenti». Scimmie usate come cavie? Fino a qui niente di speciale, perché allora quelle voci, tanto ricorrenti e insistenti? Ispettore di polizia, Soul è sulle tracce di John Sauvage, un primatologo misteriosamente scomparso proprio dal Centro. Nessuno parla, nessuno ricorda, nessuno sa più niente di quell’uomo grasso, sulla cinquantina, rispettato e al tempo stesso temuto dalla comunità scientifica, come se la sua scoparsa fosse circondata da un muro di silenzio e dall’assenza incondizionata di testimoni. Forse solo le scimmie sanno qualcosa, ma le scimmie, si sa, non parlano. Rinchiuse nella gabbie del Centro, le scimmie guardano Mark Soul con uno sguardo straziato, come di uomini da troppo tempo in galera che abbiano perso l’abitudine a tutto, fuorché al grido inarticolato.

Appena varcata la soglia del padiglione centrale, Soul annota però una strana somiglianza: «mi era capitato, a volte, di accompagnare o andare a prendere qualche sospetto in galera, anche lì puzza e rumore di disperazione, ma qui, non so come spiegarlo, qui sembrava peggio». L’investigazione sulla scomparsa del dottor Sauvage ha inizio proprio da qui, da un sospetto che come un tarlo prende la mente di Mark Soul. Un sospetto difficile da spiegare, come se entrando in quel padiglione il poliziotto avesse intravisto qualcosa che sarebbe stato meglio, molto meglio non vedere. Mark Soul non è particolarmente colto, non conosce la terminologia scientifica, ma neppure il senso di parole oramai d’uso comune. È un detective pieno di limiti, un antieroe insolito per un romanzo noir. Per capire cosa sia un etologo, deve ricorrere al vocabolario e d’altronde, come lui stesso – voce narrante – confessa, ha raggiunto la licenza media solo grazie a qualcosa di simile a un corso per corrispondenza per agenti di polizia. In sostanza, se l’è comprata. Eppure, davanti agli esperimenti condotti da John Sauvage, qualcosa lo sconvolge, qualcosa comprende, ma cosa? Che cosa voleva dimostrare lo scomparso con i suoi esperimenti? Perché quegli animali hanno tratti umani, troppo umani per sembrare scimmie «qualunque»?

Perché la direttrice del Centro per lo studio della coscienza animale parla di «bene», «male», «Auschwitz»? Cosa significa – è sempre la direttrice a parlare – il fatto che Sauvage, con i suoi contestati esperimenti, convinto che tra umani e animali non umani non ci sia poi grande differenza, stesse cercando di capire «perché, in natura, nel loro ambiente, gli scimpanzé non si comportino nel modo bestiale di noi esseri umani nel nostro»? Non di normale aggressività o violenza, trattavano però gli esperimenti di Sauvage, ma di crudeltà e sadismo, caratteristiche ritenute esclusive della specie umana, nella sua deriva tipicamente novecentesca. Noir etologico, attento e sottile, Senza colpa è il primo romanzo di Felice Cimatti, che al tema del rapporto animali umani-animali non umani ha dedicato numerosi saggi, da Mente e linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva (Carocci 2002) a La scimmia che si parla. Linguaggio, autocoscienza e libertà nell’animale umano (Bollati-Boringhieri 2000).

Al contrario di quelli condotti da Sauvage, quello di Cimatti è un esperimento riuscito, soprattutto nei punti in cui l’autore, con scrittura pacata e divertita, conduce il lettore direttamente nel cuore di un problema non da poco: come ascoltare chi, in apparenza, non ha voce e far parlare, non solo gridare, le scimmie. Ecco perché il Centro per lo studio della coscienza animale, in fondo, più che parlare degli scimpanzé finisce col parlare «di noi umani, di come ci piace credere di essere, di come – senza nemmeno rendercene conto – pensiamo di essere. Gli scimpanzé non erano che un dettaglio, un pretesto per continuare a occuparci di noi, sempre e comunque».

[da Il manifesto, 3 novembre 2010]

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