philosophy and social criticism

Il violino di Chartres

Chartres

di Raffaele K. Salinari

 

«Chi vuol fare la nostra pietra artificiale, al principio della natura deve guardare. Noi siamo del metallo principio e prima natura, l’arte fa tramite noi la suprema tintura. Non c’è fonte uguale a me, né ruscello dura: sani, giovani e ricchi tutti rende la mia cura, e sono insieme veleno mortale (ma poi ristorata torno vitale). Io sono un re, il mio corpo è salutare, ma una donna desiderano l’anima ed il cuore. Io sono una regina di nobili maniere, un marito sia guida al mio corpo dolcemente. O luna, lascia che io diventi il tuo marito ed il più forte sovrano delle terra da te sarà partorito. O sole, volentieri io ti sarò obbediente, ma prima dobbiamo immergerci nel bagno naturalmente. O luna questo bagno è tanto salutare e diligente che i nostri corpi subito celestiali rende. O sole, se non ci fosse il nobile bagno non ci darebbe luce nessun astro. O luna, nell’abbraccio del mio dolce amore diventi bella e forte come il tuo signore. O sole, per quanto la tua luce superi ogni stella, tu hai bisogno di me come il gallo della pollastrella». Questi primi versi de La Canzone del Sole e della Luna, ballata alchemica scritta circa nella seconda metà del Cinquecento, illustrano bene, sotto forma di picta poesis (ovvero della correlazione tra testo poetico ed immagine emblematica) la centralità dei due astri nella preparazione della «pietra artificiale», cioè la Pietra Filosofale, metafora di ciò attraverso cui è possibile penetrare e manipolare la natura unica di tutte le cose.

Le torri della cattedrale di Chartres

Le due torri della Cattedrale di Notre Dame a Chartres si alzano imponenti verso il cielo, mentre lo sguardo si perde nel contemplare questo capolavoro dell’architettura gotica. Su ognuna delle sommità è possibile osservare un sole ed una luna, segni inequivocabili che anche qui, come in Nostra Signora di Parigi, i simboli della Grande Opera sono impressi nel cuore stesso della pietra a formare quel mutus liber che l’ermetico Fulcanelli ha descritto magistralmente nel suo Le dimore filosofali. Gli emblemi dei due astri principali, dunque, svettando sulle guglie che portano il loro stesso nome, congiungono «ciò che sta in alto con ciò che sta in basso, per il potere di una Cosa Sola», come recita la Tavola Smeraldina attribuita ad Ermete Trismegisto.

E così il sole e la luna sono l’immagine visibile e sottile di una energia ctonia altrettanto potente quanto invisibile che, lo vedremo, insieme alla luce che promana dalle splendide vetrate colorate, è in grado di orientare la mente del pellegrino in una prospettiva tale da ricongiungerlo, almeno per un solo momento, alla verità della Madre Materia, qui ipostatizzata nella figura protetta dalla cripta sotterranea che la ospita: la Vergine Nera, la divinità scura ed oscura come la terra d’Egitto, Al-Kema, da cui nascono sia il nome alchimia sia la prima fase della trasmutazione: l’Opera al nero.

Questa potenza sotterranea rende, se possibile, Nostra Signora di Chartres qualcosa di ancora più arcano rispetto a ciò che, in questo senso, già rappresenta Notre Dame di Parigi, la cattedrale in cui, ai due lati del Portale del Giudizio, ignoti Maestri hanno scolpito, a perenne memoria degli adepti, minuziosamente e con dovizia di particolari, ognuno dei passaggi del Magistero alchemico, peraltro ripresi a colori sull’emisfero superiore del grande rosone centrale.

A Chartres, invece, come scopriremo, il messaggio è molto più fisico, non soltanto simbolico dunque, come si vede dalle due torri principali, quanto decisamente sensoriale; una introduzione allo stato di coscienza che apre al significato essenziale dell’esistenza, all’estasi mistica, attraverso una sapiente ed arcana combinazione di vibrazioni visive ed acustiche, operata attraverso quel gigantesco strumento musicale che è il corpo stesso della grande chiesa.

La costruzione di Chartres

Nel 1184 l‘antica basilica romanica, ultima di cinque chiese precedenti tutte diroccate, era stata distrutta da un incendio; lo sgomento della popolazione, però, si era trasformato ben presto in speranza quando, sgombrando le macerie del vecchio edificio, riapparve tra i calcinacci il lembo della tunica della Vergine; reliquia, come si può immaginare, preziosissima ed assolutamente vera, com’era in uso credere all’epoca, ed ancora oggi: il velo è sempre esposto nel deambulatorio, al lato nord, in una delle cappelle absidali. Il ritrovamento bastò dunque ad accendere nel popolo la volontà di ricostruire la Cattedrale più bella e preziosa di prima. I lavori durarono solo una trentina d’anni, un vero miracolo per quell’epoca, ed ancor più oggi; tutta la cittadinanza di Chartres partecipò con convinzione e devozione, aiutando come poteva i capi mastri che ebbero il compito di dirigere l’edificazione. Già questo fatto ha dello stupefacente: della Cattedrale, infatti, non esiste, e non è mai esistito, un piano complessivo, perché ogni capomastro si interessava di una parte specifica, certo coordinandosi con gli altri, e però usando per le fondazioni e le tecniche di messa in opera misure affatto diverse: chi l’antico piede romano(296 mm), chi quello inglese(304 mm), reale (325 mm) o teutonico(333 mm). Se ci fosse perlomeno stata una «tradizione» architettonica su cui convergere, tutta questa eterogeneità avrebbe avuto un punto di caduta comune ma, come risulta storicamente, la Cattedrale di Chartres è assolutamente unica nel suo genere: le navate, il coro, i transetti, si ergono ad altezze mai tentate prima.

Le grandi vetrate poi, uno dei suoi misteri, furono ricavate a scapito della solidità dei muri, da qui la necessità di tutti gli archi rampanti, innovativi, per sostenere il peso della costruzione ed evitare le disastrose evenienze che si verificarono, ad esempio, a Beauvais, oggi famosa per l’aeroporto in cui atterrano i voli low cost, dove il coro crollò ben due volte durante la costruzione. Ma chi erano questi mastri costruttori? Sappiamo pochissimo di loro, nessun nome è stato tramandato, o quasi. Il visitatore attento può però cogliere le loro «firme», un pesce qui, l’abbozzo di un volto li: segni importanti, non solo per ricordare la presenza dei faber ma anche perché rappresentano, in qualche modo, l’anello di congiunzione tra il gotico ed il romanico, quel periodo architettonico tanto complesso quanto fantastico che seppe dare all’umanità una visione del cosmo coerente perché piena di analogie sottili.

L’unico nome certo e documentato è quello di Villard de Honnecourt, di cui sappiamo qualcosa poiché, nella Biblioteca Nazionale di Parigi, è ancora custodito un suo quadernetto di appunti con disegni di parte della Cattedrale. Curioso particolare: tra gli schizzi ed i progetti di macchine da costruzione, vi è anche una ricetta per l’utilizzo della canapa indiana, forse come stimolante di quell’immaginazione fantastica che permetteva a queste menti visionarie di concepire l’inconcepibile.

Altro mistero irrisolto è quello dei fondi: chi pagò per erigere la Cattedrale? Chartres era, ed è, un piccolo paesino, con una modesta fiera rurale; la popolazione non poteva che provvedere all’opera attraverso la fornitura delle sue braccia e di un poco di materiale. In realtà, e questo spiega l’aura della chiesa, vi fu un massiccio intervento dei Templari, che molte storie danno legati a quella zona della Francia. I Cavalieri del Tempio, fondati da San Bernardo di Chiaravalle, come ci ricorda Victor Hugo, tornarono dalle Crociate con molta sapienza e molti segreti, tra i quali quello per costruire l’ogiva, cifra distintiva dell’architettura gotica in netta discontinuità con tutto ciò che la precedeva, segno di un innesto che molti non dubitano sia stato mutuato dai piani di costruzione del Tempio di Salomone, li dove si dice fosse custodita l’Arca dell’Alleanza, forse proprio quel «Gran Segreto» che i Cavalieri erano tenuti a celare.

Il labirinto e le vetrate

All’interno della Cattedrale è possibile ammirare il famoso labirinto, il cui sviluppo complessivo supera i 250 metri. I fedeli lo percorrono ancora adesso in ginocchio, come una sorta di pellegrinaggio verso uno dei luoghi santi della cristianità: il centro del dedalo, infatti, viene assimilato a Gerusalemme. Il significato sacro del labirinto è di derivazione romanica, l’architettura che più di ogni altra ha saputo e voluto rappresentare in pietra le gerarchie cosmiche cristiane. Che il labirinto di Chartres sia inserito all’interno di una cornice microcosmica che vedeva, in quei secoli, l’oggettiva difficoltà per un pellegrino di recarsi a Gerusalemme, e dunque la necessità di sostituirla con altri «luoghi santi» – Compostela, Loreto, e naturalmente la stessa Roma – esalta la sua natura di vestigia della spiritualità medioevale, come ci dice Victor Hugo nelle pagine di Notre Dame de Paris quando descrive il passaggio dal romanico all’ogivale architettura gotica.

Per lo scrittore francese, infatti, il romanico è l’estrema propaggine architettonica di un mondo ordinato gerarchicamente attorno all’indefettibile monoteismo cristiano; ma già il gotico, con le sue guglie scagliate verso il cielo, come una sfida non solo alla fisica ma alla divinità stessa, testimoniano di una umanità che lentamente si vuole affrancare da questa subalternità, pur restando ancora immersa nella fede. «Prendiamo ad esempio il medio evo: nel suo primo periodo, mentre la teocrazia organizza l’Europa, mentre il Vaticano riunisce e riclassifica intorno a sé gli elementi di una Roma fatta con la Roma che giace crollata intorno al Campidoglio, mentre il cristianesimo va cercando tra le macerie delle civiltà anteriori tutti i piani della società e ricostruisce con quelle rovine un nuovo universo gerarchico, di cui il sacerdozio è la chiave di volta, si scorge dapprima emergere da quel caos, e poi a poco a poco sorgere dagli scavi delle morte architetture greca e romana, sotto il soffio del cristianesimo, quella misteriosa architettura romanica, sorella delle costruzioni teocratiche dell’Egitto e dell’India, emblema inalterabile del cattolicesimo puro, geroglifico immutabile dell’unità papale. Tutto il pensiero d’allora, in verità, è scritto in quel cupo stile; ci si sente dappertutto l’autorità, l’unità, l’impenetrabile, l’assoluto; Gregorio VII; il prete dappertutto, l’uomo giammai; dappertutto la casta, il popolo mai. Ma ecco le Crociate: un gran movimento di popolo, qualunque ne siano le cause e gli scopi, sprigiona sempre, dal suo ultimo precipitato, lo spirito della libertà… L’Europa è cambiata. Ebbene; anche la faccia dell’architettura è cambiata. Al pari della civiltà essa ha voltato pagina e il nuovo spirito dei tempi la trova pronta a scrivere sotto la sua dettatura: essa è tornata dalla Crociate con l’ogiva, come le nazioni ne sono tornate con la libertà…».

Anche le famose vetrate di Chartres sono un’attrazione magnetica per ogni visitatore. Il loro segreto è ancora nascosto nelle lastre originarie, circa la metà di quelle attuali, in cui i colori fondamentali, il rosso ed il blu, furono ottenuti combinando sapientemente il silicio presente nella sabbia fluviale con scaglie di oro ed argento, i due metalli simbolo del sole e della luna, i principi maschile e femminile dell’Opera; separati in natura ma ricomponibili nella loro dualitudine proprio per mezzo del Magistero alchemico.

Il violino della Cattedrale

Ma la determinante esoterica di Chartres, ciò che esalta e porta ad effetto le vibrazioni luminose che emanano dalle vetrate, il suo arcano affatto unico, è la sua funzione di enorme strumento musicale, capace di poter suscitare un’energia mistica potente, avvertibile chiaramente da chi sa come evocarla ed ascoltarla. Michael Maier, nel suo trattato Atalanta fugiens, mette in relazione le fasi della Grande Opera con altrettante fughe musicali e tavole che illustrano simbolicamente i processi operativi per arrivare alla ricomposizione tra l’uomo ed il Mondo, tra il dentro ed il fuori di noi.

La musica è un veicolo ineguagliabile per raggiungere la consapevolezza dell’Unità. Gli alchimisti medioevali chiamavano il loro Magistero Arte della musica. In una nota immagine dell’Ampitheatrum sapientiae aeternae (1609) di Khunrath, sul tavolo dell’alchimista si vedono rappresentati strumenti musicali a corda, mentre una scritta sotto di essi accenna alla musica sancta ed all’armonia delle sfere cosmiche. Ma il vero strumento del sacrificio musicale, cioè della comunione con l’insieme della Creazione, è fatto col proprio corpo, sommo strumento vibratile di ricongiungimento tra il macro ed il microcosmo.

E allora, per descrivere il funzionamento e la struttura di questo gigantesco produttore di vibrazioni sonore che è la Cattedrale di Chartres, dobbiamo discendere ben oltre la cripta della Madonna Nera, la Madonna del Sottosuolo che regge e collega la parte celtica della Cattedrale con quella cristiana. «Nel medio evo», dice ancora Victor Hugo, «quando un edificio era completo, ve n’era altrettanto sottoterra che fuori. A meno che non fossero stati costruiti su palafitte, come Nostra Signora di Parigi, avevano sempre un doppio fondo. Nelle cattedrali, vi era in certo modo un’altra cattedrale sotterranea, bassa ed oscura, misteriosa, cieca e muta, sotto le navate superiori che riboccavano di luce e risuonavano di suoni d’organo e di campane, giorno e notte».

Come vedremo bene proprio a partire da questa descrizione generale, la Cattedrale di Chartres è una decisa eccezione, non per la sua architettura inferiore, bensì per il ruolo attivo che questa svolge nell’economia dell‘intero edificio sacro. La cripta della Madonna Nera, infatti, è a sua volta collegata al pozzo di origine celtica che rappresenta la base originaria della costruzione. Il pozzo, a pianta quadrata, è profondo 37 metri – esattamente l’altezza dal pavimento alla navata – e pesca in un bacino particolarmente ricco di corsi d’acqua sotterranei, carsici ma in movimento perenne, che hanno condizionato non solo la morfologia idrogeologica del terreno su cui è stata edificata la Cattedrale, ma la sua pianta stessa.

A differenza delle altre chiese gotiche, e non solo, infatti, come Notre Dame di Parigi, quella di Chartres non è orientata secondo un asse est-ovest, che consente cioè di cogliere al massimo nel corso della giornata l’intensità dei raggi del sole in ascesa ed in discesa, bensì lievemente spostata verso nord-est. Questa particolarissima declinazione è chiaramente testimoniata dalla piccola meridiana sormontata da un angelo, ancora visibile sull’angolo destro della facciata, che ci indica con precisione lo scostamento dell’asse dalla direttiva canonica.

Il suo angelo è stato oggetto anche di una poesia di R.M. Rilke, i cui versi recitano così: «La bufera che scuote la forte cattedrale, come la furia del pensiero che nega, ci spinge a un tratto con più tenerezza verso di te, attratti dal tuo sorriso, angelo sorridente, sensibile figura che hai la bocca di cento bocche fatta, e non ti accorgi che le nostre ore si allontanano da te, e dalla colma meridiana su cui stanno, a un tempo tutti i numeri del giorno, ugualmente reali, in profondo equilibrio, quasi ricche e mature fossero tutte le ore. Che sai tu, che sei di pietra, del nostro essere? E forse hai anche più beato il volto quando volgi alla notte il tuo quadrante?». La meridiana non è dunque li come semplice strumento astronomico, ma come segno visibile di una originalità cercata e peculiare. Perché l’originale disposizione, cos’ha ordinato in questo senso la planimetria della Cattedrale?

Sono proprio i fiumi sotterranei a darci la risposta. La chiesa, infatti, risulta costruita, nella sua estensione di superficie, come una enorme nave che solca, tagliandoli perpendicolarmente, i corsi d’acqua che in profondità corrono paralleli gli uni agli altri, come le onde di un mare infero, o come le corde liquide di un enorme violino. Ed a questo punto capiamo il significato del pozzo celtico, detto Pozzo dei Forti, come venivano chiamati gli iniziati ai culti druidici che qui si riunivano, ben prima che il cristianesimo si impossessasse del luogo: il suo scopo è quello di ricevere ed immagazzinare parte di queste acque che fluiscono, per così dire, sotto la chiglia della Cattedrale.

E qui entra in gioco un altro elemento architettonico fondamentale per comprendere il funzionamento del tutto: il titanico pilastro di pietra che collega la base del pozzo al pavimento della chiesa, attraversando la cripta della Madonna Nera. Questa colonna funziona esattamente come la cosiddetta «anima del violino», il piccolo cilindro di legno che viene sapientemente inserito dal liutaio nella cassa al di sotto del ponte affinché il suono abbia quella particolare caratteristica che ogni strumento porta con sé. Ebbene è proprio la colonna che trasmette e modula verso il pavimento di pietra della Cattedrale le onde sonore prodotte nel pozzo dal continuo passaggio dei fiumi sotterranei.

Chi cammina sul pavimento della chiesa, dunque, si muove sulla superficie di una cassa armonica in continua vibrazione, provocata dal passaggio sotterraneo delle acque che si trasformano in onde sonore trasmesse poi all’impiantito, e dunque a tutto corpo architettonico sovrastante, mercé l’enorme colonna di pietra sottostante. Le correnti telluriche, quelle che da sempre muovono con i loro invisibili campi di forza la migrazione degli uccelli, qui sono state per così dire imbrigliate a favore dell’umanità, come forza ancestrale al servizio dello spirito.

Chi conosce l’arcano, dunque, lo visualizza e si pone in cammino circumdeambulando tutta la cattedrale, a partire da una pietra particolare, detta «solstiziale» – situata nel prolungamento del muro sud della navata in mezzo alla navata laterale del transetto – riconoscibile poiché solo una volta l’anno, il 21 giugno, solstizio d’estate, un raggio che parte da un foro posto nella vetrata di S. Apollinare, al mezzogiorno vero, non quello degli orologi ma del sole, la illumina per pochi secondi.

Muovendo da li, chi faccia il giro perimetrale assorbe, al tempo stesso, sia le vibrazioni luminose delle vetrate, sia l’energia sonora prodotta dalle acque sotterranee. Infine, dopo il tragitto circolare, tornati presso la pietra solstiziale, si rimane per un momento in meditazione, o in preghiera, o in semplice silenzio interiore, come più aggrada alla natura di ciascuno, unendosi così alla costruzione tutta e restituendole una parte dell’energia accumulata; un sacrificio di riconoscimento per i pensieri elevati che abbiamo potuto coltivare nei preziosi istanti in cui siamo stati alimentati dall’acque e dalla luce, le potenze generatrici della Grande Madre che sempre veglia su di noi.

 

 

tysm literary review

vol. 12, no. 19

september 2014

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