Dare una voce. Nota sull’ultimo lavoro di Alfonso Cariolato
Gianluca Pulsoni
Continuare a pensare, a scrivere, a parlare, a ragionare, a dire, nonostante tutto e tutti e, nonostante i tempi di bassa, bassissima stagione culturale che viviamo. Con questo imperativo etico possiamo comprendere meglio, forse, lo sforzo originale, di argomentazione e stile, che esprime Dare una voce, la filosofia e il brusio del mondo volume uscito da poco per la dinamica LineaBN-La Carmelina Edizioni di Ferrara. Si tratta di un piccolo eppure già preziosissimo libro: l’ultima fatica di un filosofo tra i più interessanti che abbiamo in Italia, benché forse uno dei meno conosciuti dai lettori, ovvero Alfonso Cariolato, assegnista presso l’Università di Padova e autore già di due libri molto importanti, in italiano, come Il luogo del finito e I sensi del pensiero e di cui è appena uscito in Francia l’Existence nue. Essai sur Kant per Les Èditions de la Transparence, con prefazione di J. L. Nancy, nonché curatore della versione italiana, presso Donzelli, del libro che lo stesso Nancy ha dedicato al cinema di Kiarostami, L’evidenza del film.
Ora, la ricerca di Alfonso Cariolato va da anni avanti con assoluto rigore quantomeno in due direzioni, lo sviluppo teoretico di alcuni concetti e di alcune tematiche e il dialogo con alcune esperienze altre dalla filosofia: come l’arte, il cinema e la poesia. In questo libro però, tali direzioni si trovano a convergere in un esempio di co-esistenza di espressività e riflessione che, nel campo della scrittura filosofica attuale, oggi, in Italia, non ha poi così molti esempi. Nello specifico, infatti, possiamo considerare quest’opera anche come anche una vera e propria composizione, dove molte singolarità espressive sono convocate in un unico disegno: e questo non solo per lo stile di Cariolato, che produce scarti e gioca sulle variazioni di registro, ma anche per il dialogo interno al libro che c’è tra scrittura e immagine, data la presenza di un bellissimo port-folio di riproduzioni fotografiche a firma di Michela Agostini, dal titolo La superficie del fuori: immagini di cortecce d’alberi captate in “profondità”, in modo da far risaltare la loro connotazione astratta. Tale co-esistenza tra tensione artistica e riflessione filosofica però, come si potrà intuire, è anni luce lontana dall’essere considerabile come mero esercizio di stile: non perché sia qualcosa di più, ma perché è, in realtà, qualcosa di altro. E questo perché il lavoro del filosofo coniuga forma e contenuto sotto la stessa intenzione e lo stesso fine: mostrare la molteplicità che c’è, da sempre, nel mondo, a partire dall’atto filosofico per eccellenza, “il prendere la parola” e perciò il chiedere la presenza del filosofo, e perciò della filosofia stessa, nella polis contemporanea. Per “inquadrare” questo excursus Cariolato parte dalla filosofia greca e dal rapporto che iniziò a istaurarsi tra poesia e filosofia – “spazio nomade” che è da anni campo di ricerca del filosofo – per poi focalizzare il proprio discorso sulle qualità di senso e corporee della voce. Perché però proprio la voce, e non altro? È chiaro: se si devono cercare di capire tutte le possibili implicazioni sociali e politiche che nascono dalla filosofia e confluiscono, attraverso il linguaggio, in modo più o meno latente, nella nostra contemporaneità, il mezzo ideale su cui soffermare lo sguardo e soprattutto posare l’orecchio, per intendere, è la voce. Ovvero uno degli strumenti capaci di segnare l’esistenza della parola e della presenza degli uomini nel mondo. Ed è a partire perciò dalla voce, dalla “voce del pensiero” che, ci dice Cariolato, è possibile convocare tutte le voci del mondo e delle cose, far risuonare e risaltare la pluralità del mondo e perciò toccare l’intensità della vita. Perché la voce, in quanto supporto del linguaggio, nella sua assolutezza distinta dalla parola, viene considerata dal filosofo come la traccia in comune che hanno gli esseri, da sempre, per far brillare la loro presenza.
Una traccia però, che, benché necessariamente afona, non ha nulla a che fare col nichilismo, nonostante la filosofia non sia immune a questo rischio. Ma è proprio però da questa afonia sempre più indifferenziata e rumorosa, trait d’union tra pensiero e cose, che ‹‹la filosofia […] si affaccia sull’eccesso delle partizioni delle voci›› ma ‹‹non […] per escluderle, né per farle diventare altro da ciò che sono››, perché ‹‹la filosofia è una voce che convoca, nel semplice suo esserci, tutte le altre voci, e così si afferma››. E perché ‹‹se vi è una voce del pensiero, questa non consiste nel negare o nell’obbligare le altre voci a farsi sua immagine e somiglianza. Non si tratta di una misteriosa voce del senso che vuole al di là di tutto imporsi sulle cose; piuttosto, è una voce che si afferma scuotendo il senso dato in un mondo dove tutte le voci si agitano insieme, riecheggiano, si imitano, partecipano… Comunicazione. Brusio. Un pensiero aperto a questo passaggio››.
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