philosophy and social criticism

L’Iran minimalista di Fariba Vafi

Marina Forti

Approdare alla scrittura non è stato facile per Fariba Vafi. Oggi è una delle scrittrici di maggior successo in Iran: ha pubblicato una raccolta di racconti e quattro romanzi che sono divenuti in breve dei best seller, ha ricevuto i premi letterari più prestigiosi del paese. La sua figura rappresenta bene una nuova generazione di scrittori (in gran parte scrittrici, per la verità) apparsi sulla scena letteraria dell’Iran dopo la Rivoluzione islamica del 1979. Questo è un aspetto dell’Iran poco noto all’estero, dove pure ne sono apprezzati il cinema e le arti visive: un effetto collaterale della rivoluzione è stata una grande produzione letteraria, narrativa, poesia, saggistica. E le donne sono protagoniste: come autrici ma anche editrici, fondatrici di riviste letterarie, giornaliste, blogger. Certo, l’Iran è il paese dove imperversa la censura, dove vigono rigide regole della morale islamica, e alle donne sono imposti limiti precisi, ma – nonostante la censura e le limitazioni, o forse proprio per questo – una nuova generazione di autrici si è creata un proprio spazio.

Fariba Vafi è tra le più note. Nata nel 1962 a Tabriz, capoluogo di provincia nel nord del paese (dove la lingua parlata è l’azeri), cresciuta in una famiglia tradizionale, dopo essersi diplomata alla scuola statale ha cominciato a lavorare come operaia in una fabbrica di abbigliamento. In cerca di indipendenza economica ha frequentato la scuola di formazione della polizia femminile islamica a Tehran; tornata a Tabriz, ha trovato lavoro come guardia carceraria, dove però non ha resistito più di tre mesi. Nel frattempo si era sposata, aveva avuto due figli… Fin da adolescente, ci dice, voleva fare la scrittrice: «A scuola scrivevo bene e tutti mi incoraggiavano. Ho continuato a inseguire questo sogno anche quando facevo altri lavori, anche nei momenti della mia vita in cui mi sembrava impossibile realizzarlo». Nel 1988 è stato un traguardo pubblicare il suo primo racconto.

C’è quindi un po’ di lei nella protagonista-voce narrante di Come un uccello in volo, il suo primo romanzo – prosa scarna, quasi minimalista, ma elegante, attenta ai particolari. Vediamo una moglie e madre riluttante («sono stufa di dovermi occupare costantemente dei bambini, del muro scrostato, dello scaldabagno rotto, degli scarafaggi che non scompaiono con nessun insetticida») che combatte con le difficoltà quotidiane del vivere e un marito indifferente, si sente schiacciata dal ruolo che per tradizione le è assegnato («Non sono una madre, non sono una figlia, non sono una moglie…»): si sente come «un uccello migratore» «rinchiuso in gabbia», finché trova dentro di sé la via per uscirne.
Quando è uscito in Iran, nel 2002, Come un uccello in volo ha avuto un successo fulminante e ha sbancato i premi letterari. Ora per la prima volta viene pubblicato in Italia, tradotto dal farsi da Hale Nazemi e Bianca Maria Filippini per la neonata casa editrice Ponte33 di Firenze. La casa editrice merita una nota a sé: fondata da tre studiose della lingua e cultura iraniana, nasce con il progetto di far conoscere la letteratura contemporanea dell’Iran. «In questi anni abbiamo visto emergere un linguaggio nuovo, una prosa snellita rispetto a quella dell’antica tradizione persiana», ci dice Felicetta Ferraro, cofondatrice di questa impresa editoriale insieme a Irene Chellini e Bianca Maria Filippini. «È una letteratura che è riuscita a trovare una sua forma specifica nonostante la censura e tutte le difficoltà, un po’ come è successo per il cinema». Però è poco conosciuta all’estero («stenta a emergere anche perché non corrisponde all’immagine che l’occidente si attende», nota Ferraro – spesso qui si confonde la letteratura iraniana con quella della diaspora: una letteratura di denuncia, per lo più riassunta nel cliché di copertine con foto di donne velate). Certo non rientra in questo cliché Fariba Vafi che giorni fa ha conquistato il pubblico della rassegna «Incroci di civiltà», a Venezia.

In Iran a scrivere oggi sono soprattutto le donne, e con successo. A cosa è dovuto questo fenomeno?

La rivoluzione e poi la guerra hanno catapultato le donne sulla scena sociale. Quando poi la vita è ripresa normalmente, è stato naturale per le donne cominciare a studiare e farsi avanti in tutti i campi, anche in quello letterario. Anch’io, come tante altre, ho cercato di capire quale fosse il mio posto nel mondo e scrivere è stato lo strumento più immediato ma anche più efficace. L’allargamento della classe media negli ultimi decenni ha rotto il monopolio che esercitava sulla letteratura un gruppo ristretto di persone, provenienti quasi sempre da strati sociali privilegiati. Sempre più persone hanno travasato le loro esperienze nella scrittura. Per le donne scrivere è diventato più facile via via che la società si è modernizzata e le famiglie sono diventate più piccole. Le donne hanno avuto più spazio e più tranquillità per scrivere. Inoltre, l’aumento del livello di studi le ha rese più consapevoli di sé.

Nel libro che Ponte33 ha appena tradotto in italiano, Come un uccello in volo, la sua protagonista si rifugia nel silenzio…

Attenzione, il silenzio di questa donna non è passivo. Non è neanche aggressivo. È un silenzio critico, pieno di domande. Nel suo silenzio, la protagonista guarda gli altri, osserva, s’interroga, e infine trova se stessa. È una sorta di riflessione che le serve per valutare la sua vita, per capire come proseguire.

L’Iran non viene mai nominato direttamente. È un problema di censura o una sua scelta letteraria?

La storia che racconto può accadere ovunque. È vero che molto dipende dal contesto nella quale è ambientata, ma a me importano i rapporti tra le persone, ciò che accade al loro interno, non all’esterno.

Quale pensa sia il ruolo di uno scrittore nella società iraniana attuale?

Scrivere, e ancora scrivere. In una società nella quale esprimersi diventa sempre più difficile, scrivere un bel racconto o un bel romanzo e tenere viva la letteratura è un compito importante e una grande responsabilità.

[da il manifesto, 23 maggio 2010]

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