“Avremo bisogno di più morti”. La Svezia, l’eutanasia, il marketing della morte
di Marco Dotti
Il giornalista svedese Carl-Henning Wijkmark descrive una giornata “qualunque”, in un centro congressi “qualunque”, nei pressi dello stretto dell’Oresund, durante un simposio organizzato dal Fater, inquietante “comitato interno” del Ministero degli Affari esteri. Il tema è “La fase terminale della vita umana”. Il libro, scritto nel 1978, tradotto in italiano da Carmen Giorgetti Cima nel 2009, per le edizioni Iperborea, è attualmente — e per noi lettori: inspiegabilmente — fuori commercio. Ma è di stringente attualità.
A dettare l’agenda del simposio e a occupare la scena sono le controverse “opzioni” di politica sociale di un certo Caspar Storm, “esperto di bioetica” che nemmeno troppo velatamente si dichiara figlio di un positivismo giuridico e di un realismo politico estremi.
Preoccupato dall’allungarsi dei tempi della vita media, dalla crescente disoccupazione e da un possibile conflitto fra generazioni, Storm è uno spin doctor che propone le proprie “ricette” lanciando le sue parole d’ordine all’interno delle istituzioni, mascherandole dietro altre parole all’apparenza più rassicuranti come “riformismo”, “progresso” e “assunzione di responsabilità” e, soprattutto, lasciando che, con il mutare dei tempi, maturino e diano i loro frutti.
Si tratta, però, di frutti avvelenati, difficili da digerire a cuor leggero e non solo per Aksel Rönning, l’intellettuale (sorta di alter ego di Carl-Henning Wijkmark) che nel racconto si fa carico del ruolo di antagonista rispetto alle idee e al sistema di valori di Storm.
Avremo presto bisogno di più morti, per dirla in modo brutale. Ma come fare? Morire è considerato innatu- rale. Adesso più che mai. E la radice del male non è in primo luogo il fatto che l’eutanasia sia illegale, ma che lo sia perché così pochi chiedonol’eutanasia. In gran parte è ovviamente dovuto ai notevolissimi pro- gressi fatti nel campo della terapia del dolore, il che di per sé è magnifico, si capisce. Ma c’è anche quella che viene definita “la nuova paura della morte”, ed è lì che dobbiamo intervenire. Abbiamo bisogno di un nuovo atteggiamento nei confronti della morte e dell’invec- chiamento, e non solo da parte degli anziani. Deve tornare a essere naturale morire quando il periodo attivo è passato. Dobbiamo risolvere il problema con gli anziani, non contro di loro
Come evitare, si chiede Storm, che le nuove generazioni non garantite né sul piano economico né, tantomeno, su quello sociale e soprattutto assillate da problemi di precarietà e disoccupazione, si scontrino con schiere informi di anziani ex-lavoratori che non la vogliono smettere di consumare senza produrre e di attivissimi pensionati i quali, oltre ad essere garantiti da iperprotezioni sanitarie e pensionistiche, continuano a rivendicare un ruolo attivo all’interno della società? Uno svedese su quattro, osserva il “moderatore” che prepara il campo alle proposte di Storm, è in pensione di anzianità, mentre uno su otto pur trovandosi in età produttiva è in pensionamento anticipato, infine ben il settantacinque per cento delle risorse sanitarie viene letteralmente “sprecato” per la cura di malati cronici o senza speranza.
È compatibile tutto questo, ci si chiede, con una moderna politica di assistenza sociale? Il problema, per Caspar Storm e i membri del Fater è capire come operare all’interno di un sistema socialdemocratico senza incorrere negli eccessi ideologici di un Mogens Glistrup — il politico danese che, per anni, ha sostenuto la soppressione di ogni forma e tipo di assistenza sociale — o dei sostenitori di Milton Friedman che, proprio negli anni in cui Wijkmark dava alle stampe La morte moderna, proproneva le proprie ricette per la riforma di società e mercato. Se per Friedman “nessun pasto è gratis”, per Caspar Storm gratis non lo è neppure la morte.
E, dal suo punto di vista, fa parte delle più amare ma assolutamente “naturali” verità il fatto che i più deboli, gli “inadatti”, gli “inadattabili” — in uno spettro che va dai portatori di handicap ai malati terminali, dai lavoratori in pensione ai nullafacenti — non dovrebbero essere di peso alla società e, data la scarsità delle risorse, possibilmente togliersi di mezzo da sé. La sacralità del valore umano, per Storm, regge finché ci sono i mezzi, ma in un frangente storico-economico in cui la scarsità delle risorse si erge a sistema, allora la realtà “va guardata in faccia”. Nessuna idea di sovversione politica, però, anima Storm e i suoi accoliti.
La riforma riguarda, soprattutto, l’ambito della “mentalità” e del comportamento dell’uomo comune e si propone di “aumentare la domanda di eutanasia all’interno della società” preparando così il terreno a quelle riforme che, altrimenti, verrebbero percepite come radicali e contrarie alla dignità umana. Il problema, per i membri del Fater, è individuare e far condividere dalla coscienza dell’uomo medio la logica che presiede al cosiddetto “human value” che non è equivalente a valore umano, anzi il contrario, l’utilità che un certo individuo continui a vivere valutata in denaro”. Il tempo è passato, e ora ci troviamo al dodicesimo anno di crisi. La posizione dei medici come casta si è ovviamente indebolita da quando dalla scarsità di un tempo si è passati all’attuale disoccupazione nella professione. Le questioni riguardanti la fase terminale della vita umana non sono più loro esclusivo privilegio. Considerazioni di ordine economico sono intervenute anche in questo campo per preparare la strada alle riforme necessarie. Suppongo che non ci sia bisogno di descrivere la situazione, qualche rapido cenno può senz’altro bastare. La piramide demografica ha attualmente la forma di un sigaro, ma se tutto continuerà a procedere come ha fatto finora, rischia di passare rapidamente a quella di un fungo. I bambini di cui ci privano gli aborti, ce li ritroviamo moltiplicati per tre sotto forma di anziani improduttivi al vertice della piramide. Uno svedese su quattro è in pensione di anzianità, e uno su otto in età produttiva è in pensionamento anticipato. Il settantacinque per cento dei costi della Sanità va alla cura di malati cronici o senza speranza, in un settore in cui il tetto è stato raggiunto e sfondato già da più di quindici anni — Carl-Henning Wijkmark
Mascherandosi dietro il paravento della laicità, della scienza e delle sue sorti (sempre magnifiche e progressive), il Fater propone due precisi strumenti di riforma: il marketing dell’idea di eutanasia come “obbligo volontario” e il “lobbing” sulla sua opportunità pubblica e sulla sua praticabilità sociale.
“Recht ist vas dem deustschen Volke nützt”, diritto e “rettitudine” coincidono con la volontà e il bene del popolo, sosteneva Adolf Hitler. E questo positivismo giurico estremo, debole ma non necessariamente inconcludente, è esattamente quello che l’umanista e giusnaturalista Rönning rimprovera a Storm, con una differenza: se in Hitler la volontà di ingannare si legava a una catastrofica megalomania arrivata chissà come e chissà perché nelle stanze del potere, nel caso dei membri del Fater — e dei loro epigoni di ogni ordine e grado — quella volontà si coniuga con una non meno catastrofica e sconcertante ignoranza della natura perversa del potere stesso.
Si possono non condividere molte delle critiche che, attraverso la voce di Rönning, Carl-Henning Wijkmark rivolge alla società del suo e del nostro tempo, ma questo non toglie che La morte moderna sia un libro di straordinaria e, per troppi versi, perturbante attualità.